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Giuseppe Dosi il poliziotto di altissimo livello e la grande arte dell’investigazione. II

 Il brevissimo mezzo secolo delle Istituzioni e il lungo secolo del
Grande Genio di Giuseppe Dosi in acronimo G&G 1891-1981   

Raffaele Panico

Nella parte prima dell’articolo Giuseppe Dosi […] L’Ascesa, il declino e la Ri-nascita con il secondo dopoguerra abbiamo seguito una narrazione intrecciata alla grande storia, legata alle questioni del Regno d’Italia fino al tramonto della monarchia e il passaggio del testimonio alla costituenda Repubblica italiana. Narrazione deludente amara e sul punto dell’onore irricevibile per la tetra infamante vicenda del “caso Girolimoni”, risolto di fatto dal dottor Giuseppe Dosi, tetra al punto di costargli un marchio d’esclusione dalla vita professionale; esattamente per la “Verità” Dosi: nel 1936 viene arrestato; poi finisce nel manicomio giudiziario; infine espulso dall’Amministrazione. Una “Morte civile”! Un vero e proprio oltraggio alla Sua persona che, proprio con l’inizio della tragedia bellica, a far data dal giugno 1940 si dilegua via via la cupa ombra gettata anche sulla storia d’Italia. Gli esperti, gli analisti diciamo gli addetti ai lavori le alte sfere militari sapevano sin da subito che “la guerra era persa”.

A volte l’iter personale dell’uomo di genio lega, senza volerlo, doppi fili alla storia di istituzioni, le quali impersonate da umane volontà volte a temer d’essere limitate per sempre nelle proprie mire ed ambizioni che solo dall’invidia son mosse, nel loro intento a togliere di mezzo l’uomo di genio attraverso sconsiderate azioni per “morte civile e professionale”, seguono loro stessi l’amara sorte di ritorno. Difatti è solo attraverso le fasi convulse del secondo conflitto mondiale che il Nostro, ritorna agli alti ranghi della Polizia di Stato e subito reinserito nel quadro delle relazioni internazionali. Persecuzione ingiusta per Dosi che attraverso la narrazione, un io-narrante, tra storia e biografie a modo di Plutarco delle “Vite parallele”, o un’interrogazione tra il divino e l’umano, trascendente e immanente, tra destino e il fato o volontà e libero arbitrio dell’uomo che fa dire a Torquato Tasso “Ei giusto il volo spiega ma nel moto inegual dei nostri affetti è quella dismisura e quel soverchio e noi pur la rechiamo là suso al cielo”. Ebbene, la mala-azione contro Dosi, è tutta nell’aver lasciato libero il mostro, il presbitero inglese che aveva commesso lo strazio e quell’infinito crimine contro l’umanità cui dà voce nel fuoco della Geenna tombale ed eterna nel Nuovo Testamento il Cristo Nazzareno; e, aver al contempo, accusato un innocente, il falegname Girolimoni di tali reati, finisce infinitamente tale mala-azione col creare per legge del contrappasso la fine di Mussolini, del Regime e persino della Monarchia. Si obietterà, esposizione ardita barocca e indefinitamente astrusa e prosaica? E come dirla in termini umani altrimenti…!   

Il lungo passaggio è al fine dovuto per l’esercizio allo spirito della giustizia tanto innata quanto acquisita, rivolta dall’uno e ridata per tutti, attraverso l’arte dell’esprimere la coscienza dell’Uno e del Tutto nella storia intesa come super coscienza o coscienza in espansione.

Passiamo al Punto Primo. Tra le tante indagini di Giuseppe Dosi una è proprio a tutela della vita di Benito Mussolini. In occasione della ricorrenza della vittoria della Grande Guerra il 4 novembre del 1925, veniva organizzato dal deputato social-unitario Tito Zaniboni un attentato alla vita di Mussolini. L’attentatore munito di un fucile austriaco di alta precisione avrebbe esploso il colpo fatale da una finestra d’albergo posta di fronte al balcone di Palazzo Chigi, dove avrebbe dovuto affacciarsi Mussolini per celebrare appunto la vittoria del IV Novembre1918.

Punto Secondo. Altra verità accertata, su cui allora però si ventilavano voci complottiste circa un tentativo maldestro di eliminare Gabriele D’Annunzio. La cosa ebbe un grande rilievo ed eco per la grande fama, nella nuova Italia uscita da Vittorio Veneto, dopo 42 mesi di guerra, che raggiunse il Poeta e il Comandante, dal Discorso sullo scoglio di Quarto all’Impresa di Fiume, Gabriele l’annunciatore e quasi l’Arcangelo dell’Italia nuova e bella e grande Patria; l’ideatore e l’autore del bel gesto bellico, a partire dal Radioso Maggio, con la “Beffa di Buccari” e il guerriero dei cieli che bombe letali non semina ma migliaia e migliaia di semi di pace – i volantini –  con il “Volo su Vienna” e la parola anzi il verbo “pace e libertà”. Per il D’Annunzio, proprio per lui, il poliziotto Dosi, abile nei travestimenti, si portò alla sua Villa, camuffandosi da pittore per ascoltare sul posto dalla viva voce i fatti sull’incidente del 13 agosto 1922: era stato gettato o era caduto accidentalmente dalla finestra della sua Villa di Gardone Riviera, rompendosi la testa e lasciando sul terrazzo la rossa chiazza di sangue? Detta caduta, dolosa o colposa, soprannominata il “volo dell’Arcangelo”!  Giuseppe Dosi giunse sotto false sembianze alla Villa del D’Annunzio oggi, il “Vittoriale degli Italiani”. Camuffato da esule cecoslovacco e da ex ufficiale impegnato sul fronte bellico italiano, era claudicante, un tale Karol Kradokwill, “impossessatosi” di una parlata con forte accento tedesco ma in un italiano facile a capirsi. Era lì, per dipingere paesaggi, un po’ come anni dopo il Churchill sul lago di Como “stilava” acquarelli, per assicurarsi che del famoso carteggio tenuto con il “Fu” Mussolini nulla restasse in circolo. Il Nostro pittore in realtà, conversando interrogava, il personale, i paesani attorno alla Villa, le maestranze e conversava anche con il D’Annunzio, il quale, insospettitosi poi, lo allontanò chiamandolo – udite udite – “lurido sbirro”. Così il rapportino di Dosi giunse redatto ai suoi superiori di Polizia: “Secondo gli accertamenti da me compiuti nell’ambito della Villa, non sarebbe andata del tutto esclusa l’ipotesi del fatto colposo, più di quella di un avvenimento casuale” non perseguile aggiungeva. Si pensava difatti ad un attentato perché, D’Annunzio, già Comandate della Reggenza Italiana del Carnaro, postosi al Governo della città Stato di Fiume dove in 16 mesi si elaborava la nuova liturgia del potere politico, non solo in Italia ma nell’intera Europa post bellica, in Italia con il novello saluto Romano, allora fiumano e memore delle corporazioni di una Italia post imperiale Romana e Latina, nata dalla poesia del Trecento; Fiume la città della promulgazione della Carta del Carnaro dell’8 settembre 1920, una Costituzione modernissima e avanzata, ad esempio il voto alle donne, redatta dall’anarco-sindacalista Alceste De Ambris, dove si coagularono energie di un movimento sì fondato sul senso e coscienza di Nazione ma di chiara esposizione socialista radicale e repubblicana, mai becero nazionalismo. 

Racconterà poi Dosi a Renzo Trionfera, in un’intervista rilasciata al settimanale L’Europeo”, il 3 agosto 1956: “Ventiquattro giorni dopo la presentazione del mio rapporto (di poliziotto ai suoi superiori; Ndr) avvenne la marcia su Roma… Soltanto a distanza di qualche anno Gabriele d’Annunzio seppe che l’artista e mutilato cecoslovacco che egli aveva accolto nel suo “rifugio” era un funzionario di Pubblica Sicurezza italiano. Mi qualificò scherzosamente «lurido sbirro»”.

Quel “Volo dell’Arcangelo” veniva ipotizzato da alcuna cronaca e pubblicistica storiografica come doloso per escludere d’Annunzio dalla scena politica dato che, il Comandante D’Annunzio, l’eroe di Fiume aveva disapprovato che suoi legionari fiumani in parte erano passati allo squadrismo delle camice nere. Voleva tentare di pacificare gli animi e riconciliarli, tra gli squadristi da una parte, che manganellavano i quadri dirigenti dei scioperanti e quanti erano pronti a scioperare per i loro diritti. Per spirito di riconciliazione Nazionale si era organizzato un incontro triumvirato tra Gabriele D’Annunzio, Benito Mussolini e Francesco Saverio Nitti per il 15 agosto 1922. Il “Volo dell’Arcangelo” impedì tenersi l’incontro.  L’Italietta che lo stesso D’Annunzio cacciò dal portone principale, quell’Italia bizantina levantina, rientrava dal davanzale della finestra col “Volo dell’Arcangelo”, era un uomo di 59 anni, perché alla sua età non occuparsi del Supremo Interesse Nazionale, anziché confabulare dilettarsi fin tarda sera con relazioni che si hanno in età d’adolescenza? Volo colposo dato che, con lui, c’erano due sorelle, una al pianoforte e l’altra presso di lui seduta sul balcone col davanzale molto basso dal piano di pavimentazione. La sorella pianista accortasi che il D’Annunzio corteggiava la sorella più piccola alzatasi gli diede una spintarella, un piccolo scatto di disapprovazione, ed Egli cadde di basso. Se D’Annunzio non fosse caduto dalla finestra e l’incontro con lui, Mussolini e Nitti fosse avvenuto forse, la storia dell’Italia avrebbe avuto altro futuro, un radioso corso nell’avvenire? Non lo sapremo mai!  Fatto sta che l’accurata inchiesta di Dosi partiva da questo terribile dilemma per il futuro dell’Italia e dell’Europa intera.

Questa è la genialità di Giuseppe Dosi: Dimostrare! Maiuscola a caratteri cubitali la sua arte del camuffamento e del travestimento da attore teatrale sul pro-scenio della Grande Storia, doti che gli consentivano muoversi in maniera circospetta, accurata; lui preciso ed esatto, non è solo il Commissario, è molto di più ed oltre un funzionario. La scena della Grande Storia Mondiale è certificata dagli incarichi post bellici. La Repubblica italiana lega il suo nome al ruolo che ricoprì nella ri-nascita dell’Interpol.

Questo l’intreccio tra persone e fatti mostruosi: il caso inenarrabile orribile del mostro romano lasciato scappare e coperto dal regime fascista è  I m p e r d o n a b i l e, intrigo con pesante presenza del regime fascista a guida di un uomo solo dal pulpito di piazza Venezia. Il focus è la rinascita del Grande Genio a partire dall’ultimo rilevante ruolo ricoperto dal dottor Giuseppe Dosi. L’importante incarico internazionale di altissimo livello ricoperto – ovviamente – prima del 1956 quando venne posto in congedo con il grado di ispettore generale capo della Polizia. Con il contribuito alla ri-nascita dell’Interpol, ricordiamo, l’organizzazione dedita alla cooperazione tra le polizie nel Mondo intero per il contrasto al crimine internazionale. La struttura si è detto era in verità una Istituzione già esistenze. Istituzione pensata durante un simposio internazionale tenutosi nel Principato di Monaco ai bagliori del primo conflitto mondiale, nel 1914, la strutturazione avvenne poi nel 1923 a Vienna come “International Criminal Police Commission”. Nel 1942 dopo la morte di Reinhard Heydrich, uno dei più pericolosi e spietati gerarchi nazisti, pianificatore dello sterminio del popolo ebraico, si giunse ad una divisione della struttura. Reinhard Heydrich era il presidente dell’Interpol perché succeduto ad altri ma, dopo l’Anschluss, la sede era rimasta a Vienna, dopo l’annessione dell’Austria da parte del Terzo Reich nel 1938. Il non intervento dell’Italia garante della sovranità con la firma dei Protocolli di Roma, a favore dell’indipendenza del Paese oltre le Alpi, come nel precedente tentativo sventato nel 1934 quando Roma aveva schierato le divisioni del Regio esercito italiano al confine di contatto tra Italia e Austria. Rimasta la sede a Vienna quindi nel Terzo Reich a seguito delle vicissitudini dei mesi a seguire fino allo scoppio della guerra nel settembre 1939, solo nel 1942 parte della “International Criminal Police Commission” si trasferiva a Berlino e l’altra parte nei Paesi alleati contro l’Asse Roma-Tokio-Berlino e il Patto d’Acciaio italo-tedesco. Anche per questa dimenticanza forse, la Germania, sembrava imbattibile e vinceva su tutti i fronti di guerra fino al 1942. A termine del conflitto la sede della “International Criminal Police Commission” venne stabilita infine a Lione, in Francia. Nel 1946 adottò come indirizzo telegrafico Interpol, contrazione delle parole in inglese di international police – “polizia internazionale”, e dieci anni più tardi cambiò la denominazione ufficiale in The International Criminal Police Organization – INTERPOL, spesso abbreviata in ICPO-INTERPOL, appunto su proposta di Giuseppe Dosi.

In questa seconda parte dedicata alla genialità del dottor Giuseppe Dosi, le capacità investigative espresse durante il Regno d’Italia, attraverso le fasi dell’ascesa e del declino di un regime che finiva per appropriarsi indebitamente dei paradigmi legati alla liturgia e alla celebrazione delle gesta del Risorgimento italiano, faro questo anche per altri popoli europei oppressi dalla corti imperiali dell’epoca, nell’Europa centrale e orientale fino ai Balcani e l’Asia minore.

Brevissimo quel mezzo secolo appena, breve e grave per le istituzioni e persone che Dosi ha servito e mal hanno riposto a Lui tra il 1922 e il 1946 segnate dalla fine del Regime, la morte di Mussolini e la fine della Monarchia, quelle mala-azioni sono tornate indietro e al contrario dell’arte-fatto con un moltiplicato prezzo. Lungo invece è stato il secolo per il genio del nostro dottor Giuseppe Dosi, scomparso a Sabaudia, città di Fondazione dedicata e battezzata alla nobilissima antica dinastia dei Savoia ad un tempo europeissima ed italianissima nei secoli – la monarchia Sabauda. Il lungo Secolo della vita di un Grande Genio che con un acronimo oserei coniare per Lui G&G ad onore e memoria del dottor Giuseppe Dosi, scomparso quasi Novantenne in Provincia di Littoria-Latina il 5 febbraio 1981

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