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A colloquio con Andrea Autullo sulla schiettezza recitativa

LA SPONTANEITA’  DI UN ATTORE DI BORGATA, RICCO DI BUON SENSO E GRINTA DA VENDERE

Una conversazione con Massimiliano Serriello

Ha davvero grinta da vendere, Andrea Autullo. Basta vederlo nei panni del cane sciolto della criminalità romana in Cattivi & cattivi. Il suo personaggio è così estremo da divenire l’emblema del Rischio e della Minaccia. È uscita fuori la sua anima nera. Certamente Stefano Calvagna in cabina di regìa gli ha dato una mano ad andare oltre i limiti dei caratteristi condannati ai ruoli fissi. Il rapinatore che interpreta non si domanda se è giusto o è sbagliato quello che fa: lo fa e basta. Agisce. Con ferocia ed estrema determinazione. Quando cresci in borgata, come Andrea, nativo di Montemario, devi giocoforza misurarti con la crudezza oggettiva di determinate realtà. Ciò rende più svegli. Ma anche sensibili.
Basta pensare alle parole di Pier Paolo Pasolini sull’essenza nascosta della Roma periferica che è riuscito a cogliere meglio di chiunque altro nei suoi film e nelle splendide poesie: «Stupenda e misera città, che m’hai insegnato ciò che allegri e feroci gli uomini imparano bambini, le piccole cose in cui la grandezza della vita in pace si scopre, come andare duri e pronti nella ressa delle strade, rivolgersi a un altro uomo senza tremare. Stupenda e misera città che mi hai fatto fare esperienza di quella vita ignota: fino a farmi scoprire ciò che, in ognuno, era il mondo».

Proprio al Pigneto, dove Pasolini girò Accattone, rendendo allusivi ed emozionanti persino i cumoli d’immondizia disseminati lungo le sterpaglie e i casamenti popolari, nella sala principale del Nuovo cinema Aquila, Andrea, sulla scorta del ghigno feroce, pronto ad accendersi di colpo, e del timbro di voce romanesco ed estremamente sprezzante, ha fatto saltare dalla poltrona parecchi spettatori. Se è vero che la noia è l’unica incognita da evitare a tutti costi nella Settima Arte, Andrea, come si suol dire, sta già un pezzo avanti. 

 

Eppure dietro quella maschera così brutalmente persuasiva, che richiama alla mente il grezzo ed esaustivo carattere di autenticità impresso da Adamo Dionisi sin dagli esordi ai brutti ceffi impersonati per Massimiliano Bruno e Paolo Virzì, c’è un ragazzo dal cuore d’oro, senza filtri, e dalla grandissima, indomita passione per la fabbrica dei sogni. Condividiamo la stessa scala di valori, la sana impertinenza, il gusto della battuta per stimolare l’arguzia l’uno dell’altro, il piacere di riportare a memoria i dialoghi più belli dei film capolavoro degli anni Ottanta e Novanta. La notizia della dipartita di Rugter Hauer contribuisce a insediare un’ombra di mestizia nell’allegria del citazionismo ed evidenzia, a dispetto dei segnali dialogici e delle frasi smozzicate sul grande schermo con realistica pregnanza significante, la capacità di pronunciare alla perfezione l’inglese.

Per lui sul set, compresi gli attrezzisti e i tecnici, sono tutti parigrado. Nella vita contempla l’egemonia dello spirito sulla materia. Parliamo di Walter Chiari, indimenticabile accanto ad Anna Magnani in Bellissima di Luchino Visconti, ma condannato all’oblio per aver posto l’accento sulle mascalzonate commesse dai politici dell’ipocrita Repubblica post-bellica. Lo sguardo di Andrea arde di una luce intensa ed empatica ogni qual volta l’argomento della conversazione cade sui fuoriclasse della recitazione statunitense. Il suo mestiere lo vive con impegno ed entusiasmo. Il valore terapeutico dell’umorismo lo mette in riparo dai colpi di rimbalzo dovuti ai ciclici stalli occupazionali del settore. Al posto del sarcasmo pungente e dell’eccessivo disincanto di chi ostenta una corazza cinica, ma vive sotto pressione, contempla un giusto fatalismo. L’importante, in quest’ambiente, è non gettare mai la spugna e farsi trovare pronti. La stoffa non gli manca. A dargli l’opportuna autostima è stato, in primis, il sottovalutato, seppur talentuoso, Domiziano Cristopharo.
Il passato nel genere hard gli ha permesso di partecipare in seguito a horror erotici che, lungi dall’adottare gli stilemi posti in essere nel mercato del proibito, riescono ad appaiare il linguaggio dei corpi all’analisi degli stati d’animo, al dramma della psicopatologia ed echi surreali carichi di senso. Niente a ché vedere, ovviamente, con il profondo carattere d’ingegno creativo del provocatore per eccellenza Lars von Trier; tuttavia la mistura di toni beffardi ed empiti onirici, connessi alla diffusa presenza del nudo e ai diversi brividi colti quasi dal vivo, trascende la grossolanità dei prodotti sovraccarichi di manierismi. Quel che è certo è che nel volto di Andrea, ripreso attraverso un’arguta inquadratura di profilo, c’è un mondo che non naviga in superficie. 

In Baby Gang il gioco fisionomico si fa più sottile. L’aderenza a un altro personaggio che sa alla perfezione dove il diavolo tiene la coda, a parte un breve soprassalto di rabbia nei riguardi dei “poppanti” diventati adulti a sue spese, passa attraverso la sottorecitazione. Segno che, all’occorrenza, sa mutare segno per imprimere sfumature inopinate ai criminali periferici. Il successo di critica del film, accostato a La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi ma in possesso di un mix superiore di nerbo ed estro giacché frutto del lavoro di sottrazione, anziché dell’aggiunta di truculenti particolari, ripaga l’intera troupe dei sacrifici compiuti in uno stato di emergenza. Senza uno script a disposizione.
Ma col desiderio di lasciare il segno. Con un’opera di denuncia che colpisce allo stomaco e nel finale, col passaggio in bianco e nero, alla ricerca del tempo perduto caro a Proust, tocca l’anima. Merito anche di Andrea e del talento genuino nell’assottigliare il confine tra arte ed esistenza. Speriamo di vederlo ancora al cinema ad anteporre alle vane inquadrature pavoneggianti la fragranza della schiettezza.

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1). D / In Cattivi & cattivi la tua interpretazione dello spietato criminale ribelle risulta particolarmente efficace in virtù del timbro di voce che gli dai. Accetteresti di essere doppiato per ottenere più pose o pensi che perderesti la parte più importante del tuo modo di recitare?
R /
La maggior parte dei complimenti che ho ricevuto dalla critica e dal pubblico riguarda proprio il tono di voce rude legato al feroce personaggio di Cattivi & cattivi. Preferirei, quindi, potermi esprimere sfruttando questa mia prerogativa. Poi, dinanzi alla possibilità di beneficiare di parecchie pose, se ne può discutere: si tratterebbe, nel caso, anche di qualche soldino. Si lavora pure per questo. Però, potendo scegliere, preferisco recitare con la mia voce, anche perché i film stranieri è bello vederli in originale. Quando sono doppiati, benché bene, si perde sempre qualcosa di importante. Facci caso.

2). D / Non c’è dubbio. Unire la fisicità all’autonomia di conferire un’intonazione autentica ed emozionante alla propria voce permette all’attore di perfezionarsi e lavorare al meglio sul personaggio. Joe Pesci in originale incide ancora di più.
R /
Joe Pesci (nella foto) ha una voce stridula, quasi squillante, che rende i personaggi interpretati nei film di Scorsese dei folli assoluti. Degli psicopatici trascinanti. Per me è il numero uno. Conosco a memoria le battute e tutte le scene con lui presente. Tra i tic, spassosissimi, che fa vedere insieme alla mimica facciale e naturalmente quel timbro, che è solo suo, n’esce fuori qualcosa di unico. 

3). D / Pensando a Joe Pesci, come a un caratterista che ruba la scena pure a De Niro, credi che il passaggio dai ruoli da duro a quelli comici – poiché l’attore americano citato è spesso esilarante anche nei contesti di estrema violenza – sarebbe un progresso per quanto ti riguarda o quelle parti truci hanno più spessore?
R /
No, non penso che abbiano più spessore. Mi piacerebbe fare qualcosa di diverso che porti da una situazione di sparatorie e di violenza a un’altra fatta di divertimento e di umorismo. Forse per il mio fisico, associato al volto che ho, sono più tagliato per vestire i panni del duro nei noir metropolitani.
Però c’è un progetto in ballo per cui, se tutto andrà a buon fine, avrò un ruolo, come lo chiamo io, B-Face: da una parte duro, dall’altra simpatico. Io, inoltre, fondamentalmente, ho una vena allegra. Da giullare. Chi mi conosce, sa bene quanto mi piaccia ridere, far ridere, mettere in mezzo la gente, affibbiando soprannomi. Molte persone il nomignolo che gli ho dato se lo trascinano dietro. C’è uno che lavorava con me che battezzai, per via dei suoi capelli, “Er doppia punta”. Ed è chiamato ancora così a tanti anni di distanza. L’ironia mi viene naturale.  

4). D / Sì: è una tua qualità spontanea. Ed è, quello dei soprannomi, un tratto distintivo del modo di scherzare romano. In MMA Love Never Dies di Riccardo Ferrero si scherza poco, invece: è un thriller tinto di giallo con tanta azione. Come ti sei trovato sul set?
R /
Devo dire bene. Sinceramente. Non si è creato lo stesso clima d’intesa, né la stessa tranquillità, che c’era con Stefano Calvagna dietro la macchina da presa; però è proceduto tutto senza intoppi. Riccardo Ferrero lo conosco da una vita.
Dal 1996 quando ebbi una piccola parte nel film Italiani di Maurizio Ponzi. Striscia la notizia mostrò anni dopo la scena in cui mangiavo nel vagone ristorante perché parevo il sosia di Ibrahimovic
Mi avevano messo addosso un vestito stretto, da maniaco sessuale. C’era una che mi stava sempre a guardare. Le dissi: “Signò! Me mette a disagio”. Più che un vestito avevo un tutù.

5). D / Nel cast di MMA c’è un attore di notevole calibro: Tomas Arana (nella foto). Che nel cult Il gladiatore interpreta Quinto. Ti ha messo a disagio o si è dimostrato umile?
R /
È una persona fantastica. Come tutti i grandi attori è umile, non si atteggia affatto. Anzi: mette a suo agio gli altri componenti del cast. Il film non è male: c’è molta azione e un po’ di mistero. Se la cava, pure se ha delle pecche.

6). D / Ferrero ha unito la tensione adrenalinica col labirinto d’ipotesi dei mistery. L’esperimento è riuscito a metà. In Italia, per te, fare qualcosa di lontanamente simile a I soliti sospetti è inattuabile?
R / I soliti sospetti
è un capolavoro inimitabile. Per me non si batte. Parlo anche fluentemente ungherese. Quindi la sequenza quando quello che esce dal coma ripete con paura il nome di Kaiser Soza, insieme ad altre parole in lingua magiara, è ancor più godibile. Il colpo di scena finale, con Kevin Spacey che smette di zoppicare e Kobayashi che lo aspetta, è mitica.

7). D / Sempre per la regìa di Calvagna, con cui stai stabilendo un’intesa degna di nota, in Baby Gang impersoni un altro tipo “caruccio”: il malfattore che fa entrare il gruppo dei ragazzetti protagonisti nel giro delle squillo minorenni. Ho notato, alla proiezione stampa, che eri protettivo nei loro riguardi. Credi che la solidarietà possa prevalere sulla rivalità che impera nel cinema?
R /
È vero: nel cinema c’è molta concorrenza. Troppa. E anche invidia, cattiveria inutile. Da parte mia, invece, non ci può essere alcun tipo di gelosia. Un film incentrato sulle gang giovanili non può avere il sottoscritto, a quarantotto anni, come protagonista. Non si può fare Pierino dopo una certa età. Tolto questo: il fatto di essere protettivo con i giovani attori del cast, nel giorno della proiezione stampa, quando sono state fatte le domande, e in altre circostanze uguali, è un’altra faccenda. Io mi trovo bene con i critici cinematografici ma, come ti dicevo l’altro giorno, in un gregge di pecore si nasconde sempre un cane maremmano.
Magari il giornalista che sembra più buono, arrendevole e mansueto diventa aggressivo di colpo e punta a mettere in difficoltà con domande pungenti. Un ragazzetto, privo della malizia necessaria a capire queste dinamiche, rischiava di essere messo in mezzo. Sarebbe stata una cosa brutta per un attore giovane, con pochi peli sul petto, che si affaccia ora nel mondo del cinema. Con gli occhi che sognano. Come sottolinei giustamente tu. Magari è visto come un bersaglio facile. La protezione nasce da questo motivo. Poi invece sono stati tutti gentili coi “pischelli” del cast. Il film è piaciuto perché tratta con sincerità di cose vere. Che succedono in borgata. Ma anche ai Parioli vengono commessi gli stessi reati. Solo che nel primo caso avvengono per necessità; nel secondo, per vincere la noia. È diverso.

8). D / Qual è, a parer tuo, il modo migliore per ottenere un dialogo tra attore e regista in grado di dare buoni frutti?
R /
La linea di comprensione tra attore e regista rende tutto più semplice. Stefano Calvagna, comunque, è un martello. Riesce sempre a tenere alta la concentrazione per valorizzare l’espressività migliore e spingere ogni attore ad aderire subito al proprio personaggio. Senza cedimenti ed esitazioni. Se una scena non lo convince, la fa ripetere finché non viene come vuole lui.
Ed è giusto così
. Io non ho poi tutta questa grande esperienza. Tuttavia dal mio punto di vista è necessario trovare un punto d’incontro. L’attore deve stare a suo agio. Come giustamente dici te: se un regista s’impone, senza cercare il dialogo e spiegare le cose che vuole, e come le vuole, il risultato finale è deludente. Io, per esempio, mi sono trovato benissimo pure con Domiziano Cristopharo
(nella foto) in Hyde’s Secret Nightmare perché non lascia nulla al caso e rispetta l’impegno degli attori. Il film, come horror erotico, mi ha dato la possibilità di esprimermi in un ruolo importante proprio grazie alla sua capacità di dirigere al meglio. In chiave anche visionaria. Ho molta stima di Domiziano e del suo talento creativo. Gli auguro di ottenere il successo di critica e di pubblico che merita. Dovrebbe, infatti, avere altri palcoscenici rispetto a quelli che gli hanno concesso sino ad adesso. Lavorando con budget esigui, se non nulli, tira fuori prodotti che sembrano fatti con tanti soldi, per la qualità dell’insieme, che hanno inoltre un valore artistico indiscutibile.Risultati immagini per Domiziano Cristopharo Poi calcola che Domiziano è stato quello che più mi ha spinto a perseverare nella carriera dell’attore. Mi ha detto: “Continua, che sei bravo!”.

9). D / Si dice che chi non sa dare una mano agli amici, non sa prendere a calci i nemici. Concordi?
R /
C’è un altro detto simile che dice: chi morde la mano che lo aiuta, bacia i piedi che lo prendono a calci. La gratitudine, comunque, è la base della vita. 

10). D / Nel cinema la riconoscenza è merce rara. Ci sono anche attese spossanti che talvolta esacerbano gli animi. Il titolo di una celebre commedia scritta da Edoardo De Filippo, “Gli esami non finiscono mai”, ben si presta a rendere l’idea di precarietà e d’indugio. È più faticoso sostenere i provini e attenderne l’esito o adattarsi sul set alle necessità tecniche delle riprese?
R /
I provini servono soprattutto ad attori poco noti. Gli attori noti non fanno provini. Oggi le apposite agenzie hanno voce in capitolo e scelgono gran parte del cast di un film. Io, personalmente, non so se merito o no: faccio il mio. Non mi creo grandi problemi al riguardo. Vado avanti con le mie forze. Anche perché non ho un’agenzia dietro che spiana la strada. E nemmeno la voglio. Per di più, a essere sinceri, ma lo sai, perché ho avuto già modo di dirlo, il cinema italiano attuale, da spettatore, mi piace poco. “Il grande salto” di Giorgio Tirabassi, con Ricky Menphis, costituisce un’eccezione. Almeno è divertente. 

11). D / Si capisce che Tirabassi è un esordiente dietro la macchina da presa. Mi persuade più come attore. La storia però è arguta: la sceneggiatura l’ha scritta il compianto ed estroso Mattia Torre insieme a Daniele Costantini. Autore, quest’ultimo, come regista, del sottovalutato ma convincente film da camera I fatti della Banda della Magliana. Tornando a noi: pensi che la capacità di adattarsi sia importante quanto la spontaneità?
R /
Come hai scritto nella recensione del film Baby Gang, Stefano è stato bravo soprattutto nel dirigere il cast per ottenere l’autenticità necessaria. Le battute avevano il tono giusto proprio perché nessuno ha cercato né preteso l’inquadratura che lo mettesse in mostra. Sarebbe stato nocivo proprio per la spontaneità. A me non frega nulla di sembrare più fotogenico. Posso piacere o meno: sono così. Sul set bisogna essere naturali e sentire la fiducia. Sono le cose che contano di più

12). D / Il clima d’intesa e di collaborazione che avete creato ha contribuito quindi alla riuscita espressiva di Baby Gang?
R / Siamo diventati come una famiglia. Ci incontriamo con le rispettivi mogli. Andiamo al mare insieme, a mangiare una pizza. Abbiamo piacere di vederci fuori dal set perché sul set abbiamo lavorato con gioia. Scherzando sempre, anche per smorzare la tensione e perché ridere fa bene allo spirito. Però al momento giusto siamo stati capaci di diventare seri. Concentrati. La professionalità conta pure tantissimo. Il clima d’intesa, nel quale si ride e si scherza ma poi si fanno le cose con concentrazione, ha dato sicurezza a tutti loro. Soprattutto ai ragazzi esordienti. È importante che non ci siano ‘scazzi’ per fare lavoro di squadra. Ti racconto un particolare: volevo un caffè e me lo sono andato a prendere portandolo pure a una giovane assistente che lavorava sul set. Lei aveva paura che qualcuno la vedesse perché, a parere suo, era una cosa insolita. L’ho tranquillizzata dicendole che stavamo lavorando entrambi e una cortesia in questi casi deve essere normale. Io mangiavo insieme a tutti. Senza farmi problemi delle gerarchie e del fatto che gli attori spesso stanno solo tra loro. È pure vero che stiamo parlando di me, mica di una star. Comunque neanche gli attori noti hanno il diritto di mettere in soggezione quelli meno noti. È con la serenità che si ottiene l’esito migliore. Ed è per questo che ritengo, con la sua disponibilità, Tomas Arana un grande esempio. Molti attori vanesi, che si atteggiano per aver fatto mezza cosa in più degli altri, dovrebbero imparare da lui.

MASSIMILIANO SERRIELLO

 

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