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A colloquio con Francesca Artegiani sul senso d’appartenenza e il futuro della Città Eterna

LA FEDELTÀ AL RADICAMENTO STORICO PER PRESERVARE ROMA DALL’INCURIA

Una conversazione con Massimiliano Serriello

Per lei i vincoli di sangue e di suolo, l’egemonia dello spirito sulla materia, il radicamento nella Città Eterna, in attesa dell’esito delle imminenti elezioni amministrative, non pagano affatto dazio alle mere banalità scintillanti dell’assillante propaganda. L’autoironia la spinge piuttosto a scherzare sui canonici santini elettorali che la ritraggono nella lista civica del candidato sindaco Enrico Michetti (nella foto).

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Dall’adorato padre d’origine marchigiana ha appreso il valore terapeutico dell’umorismo, per stemperare nell’ironia la punta di spina del dolore, oltre agli immancabili e gratuiti attacchi ad personam, nonché l’orgoglio di costruire qualcosa di solido. Di stabile. Di duraturo. Mattone su mattone. Invece di farlo, come si suol dire, sulla sabbia. L’attaccamento protettivo alla Città Eterna, afflitta dalla piaga dell’inerzia, dell’edonismo, nascosto dietro gli ormai arcinoti esuberi d’aggettivi sprecati in nome della mendace e presunta uguaglianza, del contrattualismo, privo, sia in prassi sia in spirito, dell’effettiva, mutua solidarietà delle persone giocose ma al contempo alacri, abituate ad arrotolarsi le maniche, senza accampare scuse né battere la fiacca, passa attraverso la fragranza, inconfondibile, dell’assoluta spontaneità di tratto. L’antidoto ideale contro i miasmi dell’ipocrisia.

A Francesca Artegiani (nella foto), infatti, la furbizia levantina delle solite caste, che aprono sottobanco stabilimenti balneari in montagna e circoli alpini al mare, non passa neanche per l’anticamera del cervello. Ha imparato sin da piccola a diffidare dei colpi di gomito, degli infertili segni d’ammicco, dell’improntitudine congenita degli incalliti proseliti del Bottegone.
Foraggiati dalla chiesa senza Dio dei clan di partito. Avvezzi ad anteporre ai santi in paradiso le maniglie per aprire le porte utili, le discipline di fazione, le mire opportunistiche. Celate dietro l’esaltazione della presunta libertà, l’ingannevole livellamento ugualitario, le battaglie salariali, l’arma dello sciopero, la negoziazione dell’aspra lotta di classe, l’integrazione totalitaria e autoritaria intenta ad aggirare i limiti entro cui operare.
Francesca Artegiani il senso del limite lo conosce bene. Al pari degli atti di pudore, di generosità, lontani anni luce tanto dalle sbavature patetiche quanto dall’autocelebrazione. Nella sana consapevolezza che non si possono estrarre conigli dal cilindro. Occorre però in primo luogo prendere distanze siderali dalle confusioni concettuali, dall’opera di proselitismo dei reclutatori volti ad accrescere in filigrana il prestigio personale. Meglio andare incontro alle persone. E, ancor più, alle effettive necessità dell’Urbe. Della quale conosce alla perfezione, per filo e per segno, i quartieri ricchi, agiati ed elitari e quelli poveri, abbandonati a se stessi. Bisognosi di un’opportuna inversione di tendenza. Fondata sulla benaugurante concretezza. E non sulle ciance.
Il cicaleccio che all’atto pratico non aiuta in alcun modo a instaurare un sano ed equo clima di dialogo. Di confronto. Tra reazionari e progressisti. Tenendo presente che una buca nel manto stradale non è né di destra né di sinistra. Va solo coperta. Per la decenza. Per la sicurezza. Per i diritti dei cittadini chiamati a votare secondo coscienza. Ed è per questa ragione che Francesca Artegiani ha voluto scattare fotografie riguardanti lo stato d’abbandono, d’indefessa precarietà delle strade capitoline con l’asfalto prossimo allo sgretolamento. Con i lavori in corso e le scuse di rito affisse sul cartello (nella foto). Ai limiti del ridicolo involontario.

Il mestiere di architetto, che svolge da diverse primavere con zelo ed entusiasmo, le ha formato il carattere. Ne ha temprato la scorza. Nei cantieri. Sul pezzo. E anche nella gestione di un B & B. A contatto con i turisti. Soddisfatti dalla pulizia delle camere. Indignati tuttavia per il sudiciume imperante nel centro storico. Il patrimonio artistico di Roma d’altronde non è un diritto: è un valore irrinunciabile. Da difendere con le unghie e con i denti.
Scendere nell’agone politico è un conto: vengono periodicamente tesi infiniti calappi all’avversario di turno per portare l’acqua al proprio mulino e garantire la validità allo specifico corredo d’idee. Da tradurre in pratica. Destinato, viceversa, spesso a rimanere prassi. Per cedere il passo ad alcuni calcoli specialistici alieni alla dedizione disinteressata degli individui realmente sensibili nei confronti del territorio, della struttura urbana, del potere attrattivo della metropoli. Per risolvere, o almeno allentare, la palla al piede della raccolta dei rifiuti, dei trasporti, della manutenzione delle strade. Con il ripristino, sennò, rimandato alle calende greche. E l’extrema ratio di restringere la Ciclabile sulla Pineta Sacchetti, perché le ambulanze non passano e l’ospedale Gemelli ha messo il Comune con le spalle al muro, è divenuto oggetto di scherno per molti cittadini con la battuta sempre in canna.

Per l’emergenza abitativa, spada di Damocle delle famiglie che versano in condizioni d’indigenza, pur conservando l’idonea operosità nelle loro professioni e l’inderogabile dignità, le cose vanno fatte seriamente: il territorio demaniale dove costruire a costo zero costituisce una soluzione per uscire dal tunnel dell’indeterminatezza. Gli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica destinati all’assistenza abitativa (ERP) sono regolati dalla Regione. Non esistono riforme a costo zero. Nondimeno in questo caso c’è un costo zero per le istituzioni.
Il Comune, ai sensi della legge, indice il bando di concorso per l’assegnazione delle suddette case popolari. Restano, comunque, parecchie le gatte da pelare per Roma Capitale: dall’organizzazione dei mercati ai rifiuti; dalla gestione di opere idrauliche e fognature alle misure di disciplina del traffico.
Tirato in ballo da Paolo Bonacelli in Johnny Stecchino. Ciò nonostante la commedia all’italiana non c’entra nulla coi bisogni delle periferie a rischio. E aderire alla lista civica, insieme a personaggi dello spessore di Pippo Franco (nella foto) sul versante della cultura, sugli scudi a custodire la Storia con la “s” maiuscola della Capitale d’Italia, non significa buttare fumo negli occhi, fare atto di presenza e cadere vittima delle invereconde lusinghe che attraggono da sempre infiniti politici di professione.

Francesca Artegiani intende piuttosto ragionare in termini eminentemente pratici sui contenuti. Sulla polpa. Sull’indispensabile sostanza. Per provare sul serio a rigenerare le aree attanagliate dal degrado. Basti pensare al Corviale, allo scempio architettonico dei 1.200 appartamenti rimasti in sospeso tipo la Nona sinfonia di Beethoven, a San Basilio, a Tor Sapienza, al Ponte di Nona, al Laurentino 38.
Anche il vizio di cavalcare il malcontento, di sporcare le cose pulite, di rimanere ipersensibili per le faccende proprie e insensibili, alla prova del nove, per quelle degli altri è una musica che deve finire. Il nonno contadino Francesco, trasferito dalle Marche a Roma, dopo aver rinunciato al sogno americano su sprone dell’assennata consorte, portò gli otto figli a vivere a nord-ovest della capitale, nell’area urbana di Selva Candida, dimostrando di possederne a iosa di sensibilità. Il terreno preso nelle vesti di mezzadro gli permise di garantire alla sua progenie un futuro migliore.
Nel rispetto della forza della consuetudine, della fedeltà ai luoghi identitari. Ivi compresa l’università della strada. Frequentata dal padre di Francesca insieme alla scuola. Riuscendo ad appaiare il rispetto per le leggi, il desiderio di riscattare le umili origini e la passione per la lingua latina. Per le parole cariche di senso. Accompagnate dai fatti. Dal fermo desiderio di lasciare una traccia profonda. Sulla falsariga del capostipite bucolico. Ricordato con legittimo orgoglio, affetto e un filo di comprensibile commozione dall’omonima nipote. Divenuta architetto. Passata indenne, ai tempi del Liceo artistico Ripetta e dell’università, dall’alveo marxista. Restando fedele ai princìpi impartiteli dal nonno e dal padre sulla scorta della saggezza popolare. Che mancherà sempre all’appello agli intellettuali, o presunti tali, schiavi dei dogmi dottrinali. Nata a Viale Regina Elena, a differenza del fratello, nato in casa, come si usava allora, a Casalotti, Francesca Artegiani conosceva sin da bimba l’importanza delle pareti portanti, dell’incremento urbanistico, iniziato con la prima palazzina edificata dal papà, imprenditore edile, a via dei Gozzadini, ed ergo dei quartieri sicuri vicino alle Mure Aureliane e alle Terme di Diocleziano. Le radici di Roma Caput Mundi, con buona pace del consueto babau dovuto all’involuzione spacciata per progresso dai seguaci del materialismo utilitaristico, rappresentano la spina dorsale della tradizione. La sua forza significante.

Francesca Artegiani adora le vicende del passato autoctono, le conquiste dell’antica Roma nel campo pure dell’arte, della cultura, dell’architettura. Gli appelli pietistici li lascia volentieri ai demagoghi. L’amore per il disegno, i precetti domestici a base di pane e mattoni, il carattere d’ingegno creativo legato a doppio filo con l’assennatezza, con la caparbietà dei faticatori di buccia dura, ma dall’animo pulito, l’hanno spinta, quando è stato necessario, a prendere il toro per le corna. A non abboccare all’amo delle conventicole. In particolare quelle che preferiscono tagliare le gambe a chi le ha lunghe.
Francesca vorrebbe, al contrario, allungarle a chi le ha corte. L’impegno profuso a Lourdes nelle file delle sorelle della Famiglia Onlus ha contribuito ulteriormente a cementarne l’abnegazione. Dopo essere stata una figlia devota e una mamma prodiga, adesso vuole dedicarsi a Roma. Nei limiti delle possibilità concesse. All’insegna dell’illimitato slancio inisito nel legame con un territorio che, Massimo Decimo Meridio docet, riecheggia nell’eternità.

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1). D / Per l’Osservatorio nazionale dei Servizi di Architettura e Ingegneria (Onsai) il settore è in ripresa. Eppure molti professionisti sono di parere opposto. La lettera-appello lanciata dagli architetti romani ai candidati-sindaco parla chiaro. Serve ulteriore chiarezza?
R / Personalmente, con dei miei colleghi, quando c’era Matteo Renzi al governo, abbiamo messo in risalto la necessità di maggior chiarezza per ascoltare tutte le parti in causa e combattere le sabbie mobili della burocrazia. Per affrontare il problema dell’amianto che attanaglia le scuole di Roma. Ci offrimmo di risolverlo. Ho potuto mandare mio figlio alle scuole private. Per fortuna, essendo lui figlio unico, me lo sono potuto permettere. Ma bisogna pure pensare ai genitori che questa fortuna non ce l’hanno. Non c’è sicurezza nelle scuole. Manca tutto. Compreso un autentico piano d’interventi.  Le operazioni di ripristino, di rimozione e di smaltimento sono ancora ferme. E anche allora Renzi non rispose alla nostra proposta.

2). D / Era in altre faccende affaccendato? R / Con le scuole belle per la precisione. Ricordi?

3). D / Come no: i fondi furono spesi soprattutto per i lavoratori che svolgevano le pulizie nelle scuole più che per le scuole stesse. Bisogna andare al sodo pensando ai lavoratori insieme agli istituti altrimenti gli interventi finanziati fanno un buco nell’acqua?
R / Hai capito al volo, Massimiliano. Ed è uno spreco impiegare senza un criterio ad ampio raggio dei fondi che potevano e dovevano essere usati pure per occuparsi della grande manutenzione. Non solo ed esclusivamente di quella piccola. Tra l’altro noi ci eravamo proposti di fornire un aiuto a titolo gratuito. Portando la nostra competenza. L’edilizia scolastica è un’altra cosa. Alla scuola, ancor prima che la bellezza, bisogna garantire la sicurezza. Mettendo la parola fine, una volta per tutte, alla presenza dell’amianto. Che invece imperversa.

4). D / Non ci piove: la messa in sicurezza non può essere rimandata a date da destinarsi. I costi e i tempi delle pratiche a senatoria nel Comune di Roma sono soggetti a problemi burocratici. L’esperienza maturata sul campo può snellirli?
R / Il patrimonio di conoscenze ed esperienze dei professionisti può dare una bella mano a sveltire pratiche che hanno di norma tempi biblici. È necessario però che le pratiche vengano istruite e risolte con solerzia. I tempi vanno rispettati.
Se una pratica la porto al mio Municipio, non può divenire una «pratica inevasa». Irrisolta. La pratica va definita. Spedita. Perché se la porto come architetto o come proprietario dell’immobile significa che ne ho bisogno il prima possibile. Non può finire in una pila di fogli. Insabbiata.
Con il Covid, e i problemi che ne conseguono, esacerbati dallo smart working, le mancate risposte sono aumentate. La colpa non è dei dipendenti pubblici nello specifico, ma del sistema che va contro la validità degli atti abitativi. L’esito rapido delle opere di senatoria così è impossibile. Ai telefoni non risponde nessuno. All’ufficio condoni non c’è modo nemmeno di pagare l’ultima trance prevista per beneficiare di quello che poi diventa un diritto. E invece niente.

5). D / A dispetto della possibilità di avvalersi della Delibera 40/2019 in merito al “silenzio assenso”. Il contrattualismo ostacola chiunque voglia vincere l’inerzia dell’amministrazione comunale?
R / Senz’alcun dubbio. Il contrattualismo, per interesse, è una tegola in testa. E lo è anche l’ormai vecchia politica clientelare. Sono patologie specifiche che permettono ad alcuni posti nell’amministrazione pubblica di diventare intoccabili. Così viene data la precedenza alle pratiche clientelari. E ai nuovi giovani è sbarrato l’accesso. A Via Pinturicchio intanto i cantieri proseguono a oltranza. Perché la proroga, la domanda per proseguire i lavori, è sepolta nella fila delle rimanenze. Ai tempi antichi, quando Roma è divenuta Caput Mundi, non era così. Le cose sono cambiate. In peggio.

6). D / L’attività economica esplicata dalla pubblica amministrazione è avversa alla fedeltà al radicamento storico?
R / Ahimè, sì. Il pensiero politico di sinistra contrario al radicamento storico, al conservatorismo nell’accezione migliore, privilegia gli adepti della loro parrocchia. Le relazioni di tipo utilitaristico in questa maniera dilagano.

7). D / Non c’è autonomia di giudizio secondo te nemmeno da parte dei giornalisti che lavorano in Rai, designata dall’Istituto italiano di statistica ad amministrazione pubblica a tutti gli effetti giacché inserita nel perimetro sotto il controllo statale?
R / In Rai se non sei schierato politicamente in quella direzione specifica, a sinistra, non vai da nessuna parte. O, se non altro, fai enorme fatica. Ho un’amica che lavorava nella televisione pubblica: ha preferito andare in pensione. Ad appena sessant’anni. Per disperazione. Gli autori televisivi sono sottoposti ad aut aut pesantissimi: le trasmissioni leggermente orientate verso destra le chiudono dopo tre puntate. Non c’è quindi nessun clima di dialogo.

8). D / La dialettica tra progressisti e conservatori è invece fondamentale. Per non cedere alle opinioni di schieramento. Nell’ordine degli architetti che aria si respira?
R / L’Ordine nazionale si occupa di unire gli interventi maturati sul proprio territorio di pertinenza. Nel rispetto in teoria delle competenze. Ma se in pratica non arriveranno le sovvenzioni del Recovery Fund per la Capitale d’Italia, previste per di più dal Fondo per la ripresa stanziato dall’Unione Europea, le opere pubbliche rimarranno ferme al palo. Così come il trasporto pubblico. Ampiamente deficitario. In tal modo continueremo a sbranarci tra noi. Altro che solidarietà!

9). D / La solidarietà corporativa nella Nazione e nella Capitale, estranea agli accordi sotto banco, può contribuire ad attrarre investimenti in aree degradate?
R / Balza agli occhi che la qualità architettonica e urbana dei quartieri di Roma costruiti durante il Ventennio sia durata nel tempo. La sensibilità nei confronti delle zone dove manca la manutenzione e il degrado aumenta di giorno in giorno è degna di nota. Le opere di riqualificazione necessitano tuttavia di tempi rapidi. Che invece gli uffici tecnici allungano sempre di più. Le Amministrazioni non si sintonizzano con l’interesse legittimo del quartiere perché non lo vivono il quartiere. Non lo conoscono. Se non a malapena. 

10). D / C’è chi dall’interno dei quartieri, a contatto col popolo, senza i filtri della politica, esamina i princìpi bioarchitettonici con cui sono costruite certe abitazioni. Prendendo in considerazione anche il loro parere sull’emergenza abitativa, la Regione e il Comune di Roma potrebbero mandare a buon fine le pratiche ferme al palo?
R / Ma certamente. Chi vive il territorio, ne ha a cuore il futuro, ne ricorda il passato, valorizzato dagli strumenti urbanistici adottati in armonia con la natura, e poi falcidiato dalle colate di cemento, studia le agenzie immobiliari, prende confidenza con le dinamiche delle ditte di costruzione, individua abitazioni dignitose per chi sta in difficoltà e può dare così un contributo di rilievo. Col cuore si può. E anche con la forza di volontà. Bisogna unire il cuore con il cervello. Occorre cercare una soluzione. Io, da architetto, se in cantiere sorge un problema, lo devo risolvere in tempi rapidissimi. Se quel problema non risolto comportasse un allagamento, il mio diverrebbe un disservizio. Quindi non lo risolvo perché sono brava. Ma perché rientra nei miei compiti. E perché amo fare il mio lavoro al meglio. Chi opera sul territorio è come un chirurgo: lui opera sull’essere umano. Noi sul suolo pubblico e privato. Che è altrettanto sensibile. È vietato sbagliare e aspettare. Certi lavori rimangono per lunghi anni. Alcuni pure per secoli. A Roma dal 1960 non è stato fatto più nulla: rattoppano di qua e di là. Basterebbe un camioncino per eseguire i lavori di somma urgenza. E due geometri che noi paghiamo in ogni isolato. Sono dipendenti del Comune. Cosa fanno tutto il giorno?
È naturale che chi vive il disagio sulla propria pelle si adoperi. E anche che chi è particolarmente sensibile sull’emergenza abitativa, pure se non lo tocca direttamente, si dia da fare. Individuando i territori demaniali a costo zero per le istituzioni. Ma anche i dipendenti del Comune, compresi i geometri, anche senza metterci il cuore, non devono battere la fiacca. E devono fare le cose col cervello. È una questione di competenze. Ma anche di coscienza ed efficienza. Oggi i geometri escono con i computer. Prima erano muniti di penne e taccuini. Sia come sia le buche vanno guardate. Pure i lampioni. E poi bisogna rivolgersi all’organo preposto per il territorio. Per le buche inoltre non ti puoi rivolgere sempre alla stessa ditta che ci mette un filtrino di catrame e amen. Le aree a forte densità abitativa necessitano di attenzione. Invece pure le procedure degli appalti di opere pubbliche per la riqualificazione territoriale e la sicurezza stradale lasciano molto a desiderare.
Il generale Mario Mori (nella foto), intervistato di recente a Quarta Repubblica, ha detto che nella mafia c’è un gruppo di potere che per anni ha deciso gli appalti, spartendosi i proventi, con il risultato di riempirsi le tasche. A scapito del territorio. Distrutto dagli scempi edilizi. La vera mafia è quella che crea disservizi. Che danneggia il territorio. Che all’interno di un perimetro costruisce male. Senza rispettarne il carattere verde. Ma solo per profitto. Senza coscienza. Io mi sono presa il patentino per fare il fascicolo del fabbricato: vuol dire andare là, dentro, sennò scoppia la caldaia. Chi costruisce ed è in difetto, deve pagare. Se per una palazzina sono previsti venti appartamenti, va controllata la piantina. Se ci fossero determinati controlli, le palazzine non crollerebbero più.

11). D / A Roma sono state tagliati l’80% delle risorse per la manutenzione delle strade.  Con la scusa che alcune sono strade di viabilità secondaria impera l’accidia?
R / Innanzitutto la via Flaminia che porta a Piazza del Popolo non è certo secondaria. Là fanno tanto fumo e poco arrosto per esempio. Mesi di lavoro, che creano traffico e danno l’impressione che il Comune si stia impegnando. Invece, a parte il restringimento di carreggiata e la messa in sicurezza dovuta alla scarsa stabilità della scarpata di sopra alla strada, c’è molta incertezza e poca efficienza in quei lavori: fanno finta di togliere le rotaie. I cantieri sono stati aperti in coincidenza dell’apertura delle scuole: è uno spot pubblicitario per le elezioni. Roma è una città mortificata. A noi architetti piange il cuore.

12). D / I parcheggi e gli autobus più piccoli sono un modo per rimediare all’impasse delle aree archeologiche?
R / Mi hai tolto le parole di bocca. Roma è una città stratificata. E sotto la sovrintendenza è tutta rossa. Appena trovano un coccio fermano il cantiere. I cantieri che al nord durano un anno da noi ne durano dieci. Direi di non toccare il terreno storico della città: facciamolo diventare un museo a cielo aperto. Le aree intorno al raccordo dove fare parcheggi non mancano. Si può vedere se appartengono a dei privati. Capire se si possono affittare. E far circolare solo autobus piccoli ed elettrici. Che quindi non inquinano. Parlano tanto di ambiente ed ecologia.  È il momento di passare dalla teoria alla prassi.

13). D / Smaltire una grande quantità di rifiuti, passando dalle parole ai fatti, è un’impresa proibitiva. Ci sono solo piccoli impianti. Non c’è economia circolare che, creando un altro prodotto, può divenire un risparmio. La Regione è competente per l’individuazione delle aree. Ne approva tutto il ciclo dello smaltimento. Il Comune fa la proposta. E poi devono creare degli impianti per la plastica, per l’umido, per il vetro. Il privato, più portato alla managerialità, può dare una mano al pubblico?
R / Potrebbe dare una mano risolutiva. Nulla a che vedere con gli scempi edilizi e i disastri comportati dalle infiltrazioni illegali negli appalti. Il problema è che se il privato non unge gli ingranaggi al pubblico, la sua attitudine alla managerialità va a farsi benedire.
Stiamo sempre là: il sistema clientelare della politica, di chi detiene il potere, di chi dà il via libera a questo e a quel progetto, con la scusa di tenere a bada lo spionaggio industriale e gli illeciti nelle gare, dà l’appalto a ditte raccomandate, se non complici ed empie, che sanno fare poco e male le cose. Ragion per cui delegano il lavoro in subappalto alla ditta più piccola. Con il risultato che il pesce grande mangia quello piccolo. Così pure l’imprenditore capace, che risolverebbe il problema, con a disposizione risorse di provenienza legittima e la capacità manageriale, deve piegarsi agli obiettivi istituzionali. E agli interessi. Ufficiali e ufficiosi.

14). R /  Nel nord non si vedono rifiuti per le strade. Pensi che la termovalorizzazione sia una soluzione, nonostante i soliti brontoloni preoccupati dall’aumento della tassa sui rifiuti?
R / La tassa sui rifiuti, se vengono riciclati, creando, come dici tu, energia, può essere tranquillamente ammortizzata. Magari poi io spendo più per la tassa sui rifiuti ma molto meno per la bolletta energetica. È tutto un gioco di equilibri. I termovalorizzatori hanno un costo. Però dopo, oltre a recuperarlo appieno, si risolve definitivamente il problema dello scempio dei rifiuti abbandonati. E si potrebbe fare davvero la raccolta differenziata. Pensa, nei piccoli comuni funziona. Ho un’amica che ha casa a Marina di San Nicola, vicino a Ladispoli, e la raccolta, gli imballaggi, il secco, l’umido sono organizzati in maniera ineccepibile. La gestiscono dei privati che hanno vinto gli appalti. Sono piccoli centri: c’è meno corruzione. Più è grande la città, purtroppo, più è grande la corruzione. Peccato perché ci sono ancora fior di galantuomini che le cose le sanno fare. Senza neanche pavoneggiarsi.

15). D / Il diritto al merito e al comando va a braccetto, per te, Francesca, con la signorilità dei galantuomini lontani, come recita anche un adagio dell’Arma dei carabinieri, dal trionfalismo?
R / Io ho aderito alla lista civica proprio perché Michetti è davvero così. Lo dimostra il fatto che va poco in televisione: rifugge dalla sovraesposizione massmediatica. Ed è quello che mi ha convinto. E vada come vada, ormai siamo agli sgoccioli, rivendico con orgoglio la scelta che ho fatto. Non per un asservimento politico. Ma per un convincimento umano. E per Roma.

MASSIMILIANO SERRIELLO

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