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Autore: Chiara Francesca Caraffa

Impegnata da sempre nel sociale, è Manager del Terzo Settore in Italia, ove ricopre ruoli istituzionali in differenti Organizzazioni Non Profit. Collabora con ETS in Europa e negli Stati Uniti, dove promuove iniziative per la diffusione della consapevolezza dei diritti della persona, con particolare attenzione all'ambito socio-sanitario. Insegna all'International School of Europe (Milan), dove cura il modulo di Educazione alla salute. Cultrice di Storia della Medicina e della Croce Rossa Internazionale ed esperta di antiquariato, ha pubblicato diversi volumi per Silvana Editoriale e per FrancoAngeli.

DONARE IL SANGUE SIGNIFICA SALVARE VITE

DONARE IL SANGUE SIGNIFICA SALVARE VITE

La sensibilizzazione e il reclutamento dei giovani è fondamentale

L’importanza dei donatori e del loro contributo è grande anche in anni come questi: la pandemia, difatti, non ha certo ridotto il bisogno di sangue ed emoderivati, indispensabili alla vita. Durante l’estate e durante le festività – invero potremmo dire in ogni momento dell’anno – questo dono risulta particolarmente prezioso.

È una sola la voce delle organizzazioni impegnate nella raccolta, unanime il loro appello: il numero di donatori disposti a donare sangue sicuro regolarmente, apportando così un beneficio alla salute di tutti, deve aumentare!

I dati mondiali della donazione

Ogni anno nel Mondo si contano in media 118,5 milioni di donazioni di sangue, il 40% delle quali raccolte nei Paesi ad alto reddito, dove risiede solo il 16% della popolazione. Sono 79 le Nazioni che raccolgono il sangue prevalentemente tramite donazioni volontarie e non remunerate, garanzia di maggiore sicurezza sia del prodotto sangue che delle scelte etiche che sono alla base della donazione.

In 56 Paesi, invece, più del 50% del totale della raccolta avviene tramite donazioni familiari o remunerate.

Una buona notizia: le donazioni volontarie e non remunerate sono tuttavia aumentate di 7,8 milioni nel quinquennio 2013 – 2018.

L’intervista

Per comprendere quale sia la situazione sangue in Italia abbiamo incontrato Massimo Ferrarini, presidente di Avis – Comunale Milano.

Dopo molti anni da donatore, ora governa la sede che ha visto i natali dell’Associazione italiana volontari del sangue.

  • Come si è avvicinato a questa istituzione, fondata proprio a Milano il 27 maggio 1927?

«Sono donatore da oltre 20 anni, mi sono avvicinato ad Avis Milano dopo aver conosciuto l’attuale direttore generale, Sergio Casartelli. Con la mia azienda forniamo le colazioni dei donatori a prezzi calmierati, annualmente doniamo strumentazione medica richiesta e accogliamo l’unita mobile 2/3 volte l’anno in azienda, coinvolgendo donatori anche delle aziende a noi vicine».

«Nella nostra comunità di oltre 5.000 clienti contribuiamo a diffondere la cultura del dono. Tutti i nostri collaboratori e dipendenti vestono una divisa che, oltre al logo aziendale, mette in mostra il logo “Avis Milano” presente in tutta la nostra comunicazione».

  • Qual è stato il messaggio principale dell’edizione 2021 della Giornata mondiale del donatore di sangue?

Lo slogan scelto dall’Oms per le celebrazioni di quest’anno era “Give blood and keep the world beating”. Un modo per celebrare il ruolo dei donatori che, con la loro scelta etica, volontaria e non remunerata, periodicamente contribuiscono a salvare vite umane e ad assicurare terapie salvavita per tanti pazienti.

Donare durante la pandemia

Recentemente il direttore del centro nazionale Sangue, Vincenzo De Angelis, ha ricordato che: «Il risultato degli sforzi che abbiamo messo in campo insieme alle strutture regionali di coordinamento e alle Associazioni e Federazioni del Civis – di cui fanno parte Avis, Cri, Fidas e Fratres – è che la donazione rimane una procedura assolutamente sicura». Concludendo che «non si hanno notizie di focolai tra i donatori o gli operatori dei centri di raccolta. I donatori non rappresentano quindi una categoria più a rischio di contrarre il virus».

  • Presiedere Avis – comunale di Milano oggi significa(anche) affrontare il difficile percorso di ripresa dopo la pandemia. Quali sono state, e sono ancora, le maggiori criticità cui fare fronte?

«L’Associazione deve fare i conti con la penuria di medici e infermieri precettati per la vaccinazione di massa. Questo è un serio problema che rischia di prolungarsi per una possibile terza dose di vaccino anti Covid-19. È paradossale il fatto che le unità mobili di raccolta – UdR non riescano a recarsi presso le aziende, i cui dipendenti e collaboratori si sono resi disponibili alla donazione, per mancanza di personale medico e infermieristico».

  • Vi sono altre criticità?

«Sì. Pur trovandoci in una situazione di autosufficienza di sangue, dobbiamo inoltre fare i conti con la compatibilità del gruppo sanguigno. Spesso ci troviamo con scorte purtroppo non utilizzabili, mentre mancano quelle necessarie per mancanza di compatibilità. Dobbiamo e possiamo fare di più, In Italia ci sono circa 60 milioni di abitanti, 30 milioni potrebbero essere donatori. Oggi purtroppo i donatori sono meno di tre milioni: dobbiamo diffondere una maggiore cultura sociale».

Ringraziare i donatori e motivarli

In una pubblicazione sull’impegno dell’Associazione durante la guerra e la resistenza di diversi anni fa, troviamo queste righe:

“Questa è una storia raccontata da coloro che l’hanno vissuta, uomini e donne che, in tempi drammatici per il nostro Paese, hanno trovato il coraggio e la generosità di pensare anche agli altri”.

  • Presidente, potrebbero essere le sue parole di ringraziamento e attestazione di stima da indirizzare ai volontari in occasione della Giornata mondiale del donatore?

«Sicuramente l’anno che ci lasciamo alle spalle è stato un anno drammatico, da molti punti di vista. Il lockdown, la paura, l’incertezza, le aziende e le scuole chiuse hanno colpito duramente il mondo delle donazioni di sangue. Il volontario, donatore di sangue, è mosso da un grande senso di solidarietà e condivisione. Lo dice bene lo slogan di quest’anno dona sangue e permetti al Mondo di continuare a battere. Oggi più che mai i volontari dimostrano di essere persone coraggiose, degne di tutta la nostra stima e che dovrebbero essere ringraziate quotidianamente per quello che fanno».

I valori sottesi alla donazione di sangue

  • Donare il sangue è molto più di un gesto: per farlo con costanza occorre seguire regole comportamentali ben delineate. Potremmo definire il dono del sangue come uno stile di vita?

«È vero che donando si fa anche del bene a sé stessi. Il sistema sanitario ha però la necessità di ricevere un prodotto, un’unità di sangue con i parametri corretti e che si possa trasfondere. Il donatore quindi viene sottoposto ai primi controlli per ottenere l’idoneità a donare.

Questo è il minimo sindacale. Il donatore ben controllato dona una sacca di sangue utilizzabile per la trasfusione. Avis ha il dovere di preoccuparsi della sua salute e di accompagnarlo nel corso della sua vita, tutelando e monitorando il suo stato di salute per quanto nelle nostre possibilità».

Avis – Comunale Milano si impegna a prendersi carico della salute del donatore e del suo stile di vita.

  • Questiagisce con gratuità, il suo dono è anonimo e non retribuito. È così in ogni parte del Mondo?

«Nel Mondo ci sono tre modalità di raccolta del sangue: donazioni volontarie, la famiglia del malato, un pagamento. Puntare ad avere un sistema volontario e non retribuito, come in Italia, è uno degli obiettivi dell’Oms, perché in questo modo il volontario si reca per spirito solidaristico e lo fa con regolarità, dando seguito a un’analisi della salute periodica e garantendo così standard di sicurezza elevatissimi».

Positività emotiva per il benessere della collettività

  • Quali sono i valori che entrano in gioco nel donatore di sangue?

«Donando sangue si salvano vite, va tutelato il sistema trasfusionale italiano e i pazienti che necessitano di terapie trasfusionali. Donare è un gesto semplice, che ti fa stare bene, ti fa stare dalla parte giusta, ti gratifica, perché non farlo? Spesso si incontrano persone affrante, perché non idonee alla donazione. È confortante vedere come queste, probabilmente afflitte da un senso di colpa per la loro innocente inidoneità, si prodighino nel cercare persone loro vicine, spingendole a diventare donatori.

Diamoci da fare, coinvolgiamo amici, parenti, conoscenti a compiere un atto che costa poco, ma vale tanto e in più ti educa ad uno stile di vita sano e perennemente sotto controllo medico in forma gratuita».

Bene prezioso, non riproducibile artificialmente

Il dono del sangue e degli emoderivati è un gesto semplice e generoso che getta le basi di un diritto che a molti esseri umani è ancora negato. Avere a disposizione sangue sicuro in caso di bisogno. Il sangue umano è un prodotto naturale, non riproducibile artificialmente e indispensabile alla vita. Il sangue e suoi componenti sono raccolti e stoccati secondo rigidi protocolli e norme di qualità e di sicurezza applicate nella loro raccolta, controllo, lavorazione, conservazione e distribuzione.

Essi sono essenziali nei servizi di primo soccorso, in chirurgia, in ostetricia. Così come nella cura di diverse malattie, tra le quali quelle oncologiche, quelle ereditarie del sangue, e nei trapianti. Ogni donazione può aiutare fino a 3 persone.

  • Quali sono gli scenari in cui la disponibilità di sangue può– letteralmente – salvare la vita?

«Pensiamo al comune cittadino che vive con un familiare, diciamo un figlio, affetto da talassemia. Il cui fabbisogno è di due, tre sacche di sangue ogni 15 giorni. Il fatto di averle a disposizione per la trasfusione fa la differenza tra restare in vita oppure no».

La possibilità della cura, però, nasce dalla disponibilità del sangue e degli organi, che dipende a sua volta da scelte personali del singolo individuo. Scelte che passano dall’esempio – le famiglie i cui membri sono tutti donatori sono tutt’altro che rare – e dalla sensibilizzazione della collettività.

I giovani sono il presente, ma a loro spetta anche il compito di disegnare il futuro

  • Vuole fare un appello alle nuove generazioni?

«La circolarità è un concetto di moda. Ecco, applichiamolo anche alla donazione di sangue. Oggi devo donare, perché qualcuno ha bisogno del mio sangue, domani potrei essere io, o i miei familiari, a trovarmi nella stessa situazione. Senza questo bene prezioso, la sanità non potrebbe esistere così com’è. Dinanzi a un intervento chirurgico complesso, un’urgenza, un trapianto di organi, una certa tipologia di malattia cronica, non potrebbe esserci cura, senza le sacche di sangue».

  • Come auspica che proceda questo 2021?

«Veniamo tutti da un periodo di sofferenza, figlio della pandemia ancora in corso. Compiere una, o più buone azioni, aiuta a creare uno stato di positività emotiva nel periodo successivo all’azione. Facciamolo durare di più questo gesto, rendiamo contagioso il nostro benessere emotivo: gli altri e soprattutto i centri trasfusionali ci ringrazieranno».

Ringraziamo il presidente Ferrarini certi che la donazione, almeno in Italia, è e sarà sempre anonima, volontaria, periodica e non remunerata. Oltre che consapevole. Garanzia per la salute di chi riceve e di chi dona.

 Chiara Francesca Caraffa

 

AFGHANISTAN, DONNE E BAMBINI A RISCHIO

AFGHANISTAN, DONNE E BAMBINI A RISCHIO

Italia pronta all’accoglienza

Donne ancora al centro dell’attenzione del nostro Terzo Settore. Mai distratto dinnanzi a ciò che accade – anche – al di fuori dei confini nazionali. Perché la dichiarazione congiunta di Bruxelles, Washington e Londra non resti inascoltata.

Garantire i diritti umani

Il governo dell’attuale Afghanistan garantirà il rispetto dei diritti umani, compresi quelli delle donne e dei bambini, la protezione dei civili, compresi i difensori dei diritti umani – HRD? Avvierà il percorso verso elezioni libere, eque, inclusive e partecipative?

Sono queste le domande che la LIDU – Lega Internazionale per i Diritti dell’Uomo pone a tutti noi. Impegnata sempre dalla parte di chi difende i diritti umani, rischiando la vita per promuovere gli ideali di una società giusta e civile, l’organizzazione nelle scorse ore ha pubblicato un comunicato.

Oggetto: le aberrazioni non solo in Afghanistan, ma in tutti quei Paesi che, troppo spesso e da troppo tempo, dimenticano cosa siano i diritti umani. Ad esempio Cuba, Haiti, Tunisia e Myanmar.

Leggiamo alcuni stralci del testo diffuso. «Oggi in un Mondo interconnesso è basato sulla conoscenza non si può non sapere cosa sta accadendo e che cosa accadrà in Afghanistan». LIDU riporta alcune dichiarazioni dei leader talebani, secondo cui “i diritti delle donne verranno rispettati” nel quadro della sharia, e potranno “avere ruolo nell’istruzione e nella sanità, così come rimarranno liberi e indipendenti i media, purché rispettino i valori dell’Islam e l’unità del Paese”.

E dà la sua lettura. È «un qualcosa di assolutamente forviante e diabolico. La sharia talebana impedisce al genere femminile ogni forma di emancipazione sia economica, che culturale, che sociale. Se non interverremo saremo complici dell’apertura di cancelli dell’inferno».

I media

Anche i media sono sotto attacco, come altre categorie di persone i cui diritti sono talvolta dimenticati. Nessuno tra noi ha omesso di notare recentemente il velo nero a coprire il volto della cronista della CNN Clarissa Ward.

Quella immagine ci ha fatto pensare a un’altra giornalista – e scrittrice di successo – Oriana Fallaci. Che nel 1979 intervistò Ruhollah Khomeini. Politico e imam iraniano, fu un grande ayatollah, capo spirituale e politico dell’Iran politico e imam iraniano. Fu un Grande ayatollah, capo spirituale e politico del suo Paese come Guida suprema dell’Iran dieci anni, a partire proprio dal 1979.

Parlarono dapprima della situazione generale, poi lei, con la sua intonazione particolare, fece una domanda.

Lo chador

«Di questo “chador” ad esempio, che mi hanno messo addosso per venire da lei e che lei impone alle donne, mi dica: perché le costringe a nascondersi come fagotti sotto un indumento scomodo e assurdo con cui non si può lavorare né muoversi?», chiese.

«Non mi riferisco soltanto a un indumento ma a ciò che esso rappresenta: cioè la segregazione in cui le donne sono state rigettate dopo la Rivoluzione». Vedere minati, e anzi violentati, i diritti delle donne, era inconcepibile.

«Il fatto stesso che non possano studiare all’università con gli uomini, ad esempio, né lavorare con gli uomini, né fare il bagno in mare o in piscina con gli uomini» è tutt’oggi allarmante.

La nostra attenzione occidentale sull’abbigliamento delle donne musulmane che vivono in contesti in cui il diritto delle donne e dei bambini non raggiunge però il cuore del problema. Molto più articolato, ampio e profondo. Ci chiediamo quindi, impossibilitati a prendere un volo e raggiungere – per aiutarle – queste donne e mamme, come fare a supportarne l’emancipazione e sostenerne l’integrazione.

Abbiamo quindi voluto incontrare un Cavaliere dei Diritti Umani della LIDU (e molto altro). Diamo la parola a Camillo de Milato, presidente della Fondazione Asilo Mariuccia, nata a Milano quasi 120 anni fa. Se dovessimo usare gli hashtag per descriverla, potremmo digitare le tre parole chiave di questo impero del bene. #Persone, #Cura, #Futuro.

L’intervista

  • Dottor de Milato, cosa fa ogni giorno la vostra organizzazione per sostenere donne e minori?

 

«L’Ente opera in 5 sedi su tre città: Milano, Sesto San Giovanni, Porto Valtravaglia. Suddiviso in 5 comunità e 22 appartamenti, può accogliere fino a 120 mamme e bambini e 38 minori.

Asilo Mariuccia è un Ente Socio–Assistenziale laico con vocazione alla formazione, così come voluto dalla nostra fondatrice, Ersilia Bronzini Majno, la prima suffragetta italiana (prima presidente dell’Unione Femminile Nazionale). Abbiamo 7 principi fondamentali, tra cui ricordo l’uguaglianza e l’imparzialità».

Non banale accoglienza

  • Ci racconti qual è il vostro modello di integrazione

 

«Ospitiamo mamme sia italiane che straniere, provenienti da 4 continenti, così come minori.

I bambini sono in gran numero di cittadinanza italiana e frequentano la scuola o l’asilo. Le mamme frequentano corsi di italiano (se straniere) e corsi di informatica, più altra formazione specifica.

I minori, terminato il percorso scolastico obbligatorio (fino ai 16 anni), frequentano il nostro laboratorio di educazione al lavoro. Siamo orgogliosi di affermare che a 18 anni, alla maggiore età, hanno già un lavoro, divenendo così una risorsa per il Paese.

Il nostro scopo è mirare alla loro integrazione sociale, che si ottiene solo con l’inserimento lavorativo».

Collaborazione tra Enti

  • Un punto di forza che vi rappresenta è la rete di relazioni sul territorio. Quali sinergie avete con i Comuni nei quali operate?

 

«La rete è importante, ci offre molto. Abbiamo al nostro interno anche un Comitato di Benemeriti, che supportano saggiamente la mission dell’Ente.

Siamo gemellati con altri 11 Enti/Associazioni (come la Croce Rossa Italiana – Comitato di Milano e la Fondazione don Gnocchi), e abbiamo stretto numerosi protocolli con comuni ed Enti.

Il concetto guida è quello del “Bene Comune”. Che significa operare assieme nei vari settori di competenza, in sinergia, per migliorare le proprie capacità operative. Il “Bene Comune” è come un grande arcipelago, formato da decine di isole (gli Enti) che dialogano e collaborano tra loro, condividendo obiettivi e ambizioni.

I ragazzi di Porto Valtravaglia, per esempio, sono responsabili della cura del verde di vari comuni, e della pulizia di un tratto delle fortificazioni linea Cadorna. Quindi della valorizzazione del patrimonio storico e paesaggistico».

Accoglienza e inserimento lavorativo

  • Asilo Mariuccia è sinonimo di concretezza. Quali aiuti darete alle donne e ai bambini afghani ospitati nelle vostre strutture?

 

«Fondazione Asilo Mariuccia ha dato disponibilità al Comune di Milano per accogliere 8 donne afghane. Per salvare 8 vite, più quelle dei figli che porteranno con loro.

I bambini andranno a scuola, seguiti da nostri volontari per il doposcuola. Le mamme impareranno l’italiano, poi, in base alle loro capacità, le avvieremo verso possibili percorsi formativi. Aiuto cuoca, aiuto sarta, badante sono alcune professioni che potranno svolgere dopo la formazione, che prevede sempre l’acquisizione di competenze informatiche.

Ci impegneremo per costruire un futuro per loro, con esperienze che vadano oltre l’accoglienza. Restituiremo dignità, le prepareremo al lavoro, che genera integrazione».

  • Il rispetto delle radiciè uno dei fiori all’occhiello della Fondazione che dirige. Come verranno integrati donne e bambini a livello culturale e religioso?

 

«Siamo una organizzazione laica – sottolinea. Ognuno è libero di praticare le proprie credenze, ma al di fuori dell’Ente.

Cerchiamo, con l’esempio, di presentare un modello di tolleranza e comprensione reciproca».

Il supporto possibile

  • Come possiamo aiutarecon i nostri talenti e professionalità Fondazione Asilo Mariuccia?

 

«I nostri Educatori sono laureati in Scienza dell’Educazione. Sono professionisti che hanno il compito di offrire un supporto educativo specializzato che mira alla salvaguardia della buona relazione mamma-figlio e al graduale inserimento nella società.

Ma i volontari sono importanti specialmente nel doposcuola, dove i bimbi afghani non potranno contare sull’aiuto delle loro mamme.

Le necessità vere di aiuto alla Fondazione Asilo Mariuccia saranno all’atto dell’allontanamento di queste donne e bambini, quando verrà loro assegnato – in futuro – un alloggio. Cerchiamo persone che “donino una dote” per arredarlo e pagare gli allacciamenti».

Seguiremo le loro storie

Ringraziamo il presidente de Milato per questo racconto, che parla non di tiepida speranza, ma della certezza di un futuro possibile. Fatto di piena integrazione, educazione e istruzione, ruolo all’interno della comunità.

Presentandolo, abbiamo accennato al fatto che sia anche “molto altro”: ulteriore importante istituzione con cui Camillo de Milato ha feeling è infatti l’Esercito Italiano, servito per una vita con incarichi prestigiosi, di grande rilievo.

A un militare dell’Esercito Tricolore facciamo chiudere i tanti ragionamenti che affollano le nostre menti, riportando un suo post sui social network.

Maresciallo Luca Barisonzi

Il Maresciallo Luca Barisonzi, Croce d’argento al Merito dell’Esercito Italiano, ha prestato servizio in Afghanistan dove – nel gennaio del 2011 – è rimasto ferito in un attentato.

Gravissime le conseguenze.

In questi giorni in cui tutti parlano di quanto sta accadendo a diversi fusi orari dalla ridente Europa, il Maresciallo Barisonzi è stato molto corteggiato dalla stampa. Deciso il suo no, che tuttavia non ha significato tacere il proprio pensiero, soprattutto sulla condizione delle donne e dei bambini afghani. Ecco cosa racconta attraverso i social mentre soldati americani piangono attoniti dinnanzi alle madri che – sperando di salvarli – gettano al di là del filo spinato i loro figli.

«Mentre in tv scorrono le immagini di Kabul, e del suo aeroporto preso d’assalto da migliaia di afgani alla ricerca di un volo che consenta loro di fuggire, sento un nodo salirmi alla gola e un peso sul petto», scrive.

Generazioni perdute

Continua il militare: «ho visto le immagini di una donna e di tre bambini, probabilmente i suoi figli, seduti lungo la linea di una delle piste di atterraggio. Dal volto della donna traspariva la sua disperazione, mista però alla compostezza di chi tenta di non  far preoccupare i propri figli.
Ho così ripensato ai bambini incontrati durante quel periodo, e ho rivisto quelli il cui volto mi era diventato familiare a Bala Morghab.

Mi è ritornato alla mente come, nei mesi della missione, più l’area veniva posta in sicurezza e più le persone potevano fare ritorno alle proprie abitazioni e i bambini riprendere a giocare, persino sotto le nostre postazioni.

Penso a quella generazione cresciuta laggiù in questi 20 anni, a tutti coloro che hanno potuto conoscere, studiare e sognare il proprio futuro. Quante ragazzine, diventate ormai donne, si sono potute sentire più libere, conquistando finalmente diritti che sono scontati per noi occidentali».

L’impegno del nostro Paese

«Tutto questo è potuto accadere anche grazie all’impegno di noi italiani, che abbiamo compiuto il nostro dovere, sovente fino al sacrificio della propria vita.
Per anni ci siamo stretti gli anfibi e allacciati gli elmetti, pronti a uscire in difesa dei diritti del popolo afgano, pur sapendo che da molti, anche in Italia venivamo criticati.

Quelle stesse persone oggi, esperte di geopolitica homemade che riempiono i social di hashtag, su di una realtà di cui non conoscono niente, comodamente seduti sul divano di casa propria.

Ho combattuto e ho servito il mio Paese, prestando fede a un giuramento che, potendo ritornare indietro, rifarei nonostante tutto.
Non posso negare però quanto sia per me doloroso assistere, impotente, a questo triste epilogo.

Questo è il mio stato d’animo attuale, non chiedetemi di esprimere ulteriori opinioni, perché forse sono altri a dover fornire a noi tutti, le risposte che riteniamo ci siano dovute».

Mar. Barisonzi Luca
Croce d’argento al Merito dell’Esercito

 

Chiara Francesca Caraffa

www.asilomariuccia.com/it

 

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