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Autore: Gianfranco Cannarozzo

Sanremo 2022, vincono la 72esima edizione Mahmood e Blanco

Calato il sipario sul festival della «gioia e all’amicizia»

Per la seconda volta vincono i giovani a Sanremo. Dopo il trionfo dei Mneskin dell’anno scorso, a vincere l’ambito Leone di Sanremo sono stati Mahmood e Blanco con “Brividi”.

Ad accompagnare Amadeus, emozionato per la telefonata del presidente della Repubblica Sergio Mattarella congratulatosi per la sua conduzione, è stata nell’ultima serata Sabrina Ferilli attrice romana cimentatasi in un non–monologo in cui ha parlato di temi importanti come la bellezza interiore, l’occupazione femminile, il femminismo, la body positivity, le dipendenze amorose e inclusione.  Argomenti che devono essere trattati da professionisti e da chi con essi «si sporca le mani».

«Io sto qua per il mio lavoro, le mie scelte, la cosa migliore che mi poteva accompagnare su questo palco è la mia storia. Credo che sia la cosa più bella che possa accompagnare le donne ovunque» ha concluso l’attrice.

Rompe il momento di serietà con una foto con il figlio di Amadeus. «Sono qui grazie a lui, se ho problemi in Rai ci sentiamo», ironizza.

A lui va il merito della presenza nella prima serata del comico Fiorello. Il quale ha raccontato in diretta che il giovane l’aveva aspettato sotto casa con un cartello con scritto “non abbandonare papà”.

Momento dedicato alla musica e allo sport con l’esibizione sulle note di Upside Down delle Farfalle Azzurre, le atlete della nazionale di ginnastica ritmica dell’Aeronautica Militare: Martina Centofanti, Agnese Duranti, Alessia Maurelli, Daniela Mogurean e Martina Santandrea.

Il cantante Marco Mengoni e l’attore Filippo Scotti hanno affrontato sul palco dell’Ariston il tema dell’odio sul web leggendo alcuni post raccolti sui social riguardanti il festival. Hanno poi concluso recitando gli articoli 3 e 21 della Costituzione e la poesia di Franco Arminio “A un certo punto”.

Come ha spiegato Drusilla siamo tutti unici, e nell’unicità è difficile comprendersi, ma bisogna provarci. Ha detto Scotti riferendosi al discorso fatto dall’attrice Drusilla Foer co-conduttrice della terza serata. Siamo animali sociali che sono stati messi a dura prova, abbiamo bisogno del contatto.

E questo bisogno ha caratterizzato soprattutto l’ultima serata in cui tantissimi sono stati gli abbracci. Come a voler esorcizzare il momento difficile che abbiamo e stiamo attraversando.

Non sono mancate durante questi cinque appuntamenti serali critiche: verso l’esibizione di Achille Lauro che apre il festival simulando un battesimo. E verso il discorso sul razzismo di Lorena Cesarini, attrice nota per la sua partecipazione a Suburra.

C’è anche chi inizialmente di era opposto alla partecipazione di Roberto Saviano che ha omaggiato i giudici Falcone e Borsellino in occasione dei Trent’anni dalla loro scomparsa.

Poco dopo la mezzanotte è andato in scena in anteprima “Ballo ballo”, musical tratto dal film Explota Explota su un medley di quattro brani dell’artista Raffaella Carrà venuta a mancare il 5 luglio scorso.

A vincere questa edizione con la canzone “Brividi” sono stati Mahmood e Blanco. Il voto è stato affidato al pubblico grazie al televoto e alla media tra le percentuali ottenute durante le serate precedenti.

Al secondo posto Elisa con il brano “O forse sei tu”, al terzo posto Gianni Morandi con “Apri tutte le porte”. Il quale ha ironizzato come sul podio ci fossero tutte le generazioni della musica. Ovviamente lui rappresenta la più giovane.

A Elisa il premio Bigazzi per la miglior composizione musicale assegnato dall’orchestra, a Gianni Morandi il premio della sala stampa Lucio Dalla, a Massimo Ranieri il premio della critica Mia Martini, e a Fabrizio Moro il premio Sergio Bardotti per il miglior testo.

Dato l’enorme successo di questa edizione chissà se Amadeus tornerà anche il prossimo anno alla conduzione del Festival.

 

Gianfranco Cannarozzo

 

Scrittura: dalla penna d’oca allo smart writing

Un viaggio per scoprire la storia di questi piccoli strumenti che ci hanno migliorato e cambiato la vita

Leonardo da Vinci è senza dubbio una delle più grandi menti che siano mai esistite e un precursore nel campo delle tecnologie.

Tra i tanti prospetti giunti fino a noi c’è quello di una vera e propria penna stilografica: l’ingegno scrittorio, costituita da un serbatoio cavo che presentava all’estremità un pennino tagliato verticalmente. Quindi, sfruttando la gravità permetteva di far fluire l’inchiostro fino alla punta.

Oggi viviamo in una società sempre di fretta, siamo abituati a digitare sulla tastiera dei nostri smartphone o dei computer. 

I metodi di scrittura degli antichi

La penna come strumento per scrivere ha una storia che risale ai tempi più remoti, gli antichi egizi per scrivere geroglifici sui papiri utilizzavano cannucce munite di una punta che, come predecessore del calamaio, intingevano in una soluzione gommosa mescolata a polvere di carbone.

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Sanremo, partita la 72esima edizione

Amadeus torna alla guida del festival più atteso dell’anno con la presenza di grandi nomi tra artisti e attori

Dopo mesi di preparativi questa sera si è alzato il sipario dell’Ariston a Sanremo dando così inizio alla 72esima edizione del Festival della Canzone Italiana.

Dal suo esordio nel 1951 ha sempre rappresentato un evento mediatico estremamente importante. Infatti il Leone di Sanremo rappresenta per interpreti e artisti il premio più prestigioso del nostro Paese.

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Musica, il settore discografico tra i più colpiti dalla pandemia

Musica dal vivo, il ruolo centrale delle esibizioni per la sopravvivenza degli artisti

Impossibile immaginare un Mondo senza la musica. Quando la pandemia ha colpito il nostro Paese la musica sembrava una valvola di sfogo collettiva che ci faceva sentire tutti un pò più vicini.

Dagli artisti alla gente comune, i tetti, le strade, erano tutte diventate il nostro palcoscenico regalandoci momenti emozionanti.

Eppure nonostante anche in questo caso la musica si sia rivelata una panacea, un metodo per esorcizzare questa situazione difficile, il settore discografico è stato ed è tutt’ora una delle vittime più colpite dal Covid-19.

Tutte le manifestazioni musicali, dai concerti ai festival hanno subito una battuta d’arresto improvvisa in tutto il mondo.

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Eclario Barone e Jacopo Ravenna in Lettera ad Amerigo

La doppia mostra alla Galleria Arte e Pensieri in memoria dell’artista Amerigo Schiavo

E’ stata inaugurata in questi giorni la doppia mostra degli artisti Jacopo Ravenna ed Eclario Barone, fortemente voluta in ricordo dell’amico Amerigo Schiavo. Artista e sculture salernitano classe 1963 che, spinto da Guttuso a perseguire questo percorso artistico, vi dedicò tutta la vita, diventando mentore per le nuove generazioni di artisti locali.

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Panizzeri.Quando lo street food diventa una filosofia del mangiar bene

Il sogno di due giovani imprenditori nato dall’amore per la cucina e i prodotti di qualità

Seduti a un tavolo, avvolti dal profumo del pane da poco sfornato, abbiamo chiesto di raccontarci come da due giovani ragazzi sia nata questa attività riuscita a diventare col tempo un franchising.

Daniele Scalzo, questo è il nome di uno dei due giovani, sorride e ci inizia a raccontare che tutto nacque da una semplice domanda che lui e il suo amico Emanuele si sono sempre posti: Cosa c’è di più buono del pane se non la pizza? 

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Il desiderio mai realizzato di Ben Gurion

Albert Einstein presidente dello Stato di Israele.

Quando pensiamo ad Einstein la prima immagine che ci viene in mente è quella del più grande scienziato del XX secolo.

Padre della teoria della relatività e fondatore della meccanica quantistica. Un genio che sin dalla più tenera età rimase affascinato dallo studio dei fenomeni naturali.

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La sfida di Giuditta

 A settant’anni dalla sua riscoperta la mostra a A Palazzo Barberini di uno dei capolavori del Caravaggio

Un viaggio tra le opere del Cinquecento e del Seicento tra violenza e seduzione

Nelle sale del bellissimo palazzo Seicentesco è possibile ammirare una delle opere considerata capolavoro dell’epoca, realizzata da Michelangelo Merisi detto Caravaggio per il banchiere Ottavio Costa, uno degli uomini più ricchi della Roma dell’epoca.

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Tra miti e leggende, viaggio alla scoperta di una delle più importanti opere del passato

Tempio della Fortuna Primigenia: Il più antico complesso architettonico dell’Italia antica

Nel Lazio, alle pendici del monte Preneste, dove oggi sorge Palestrina in epoche arcaiche vi era un oracolo molto importante. In questo luogo sorgeva un pozzo o almeno tale lo si riteneva, dove si diceva che li sotto viveva una sibilla che dava oracoli a chi però, sprezzante del pericolo, si calava lungo le pareti di questo misterioso manufatto e da tutti i luoghi, anche lontanissimi, venivano pellegrini per conoscere il loro destino.

Di questo abbiamo la testimonianza di Cicerone che riporta nel suo libro “De Divinazione” la storia del nobile Numerio Suffustio che trovò in fondo al pozzo un gran numero di pezzi di legno con su incise delle lettere a testimonianza della veracità del luogo come sacro.

Ma cosa ha reso così importante questo luogo, oggi appartenente al Ministero per i beni e le attività culturali (Mibact), dicastero che si occupa della tutela del patrimonio artistico e culturale e del paesaggio e della cultura?

La Τύχη (Tyche) come era chiamata dai greci o Fortuna per romani, era considerata da alcuni un’Oceanina nata dall’unione dei Titani Oceano e Teti, per altri era una Dea figlia di Zeus e Teti o ancora, di Hermes e Afrodite. Qualsiasi fosse la sua origine, viene considerata come la dea dispensatrice di fortuna e sorte sia del singolo che dello Stato. Per la tradizione greca, inizialmente distribuiva equamente gioia e dolore, successivamente si ritirò sul Monte Olimpo abbandonando l’uomo, scandalizzata dall’ingiustizia umana.

Questo duplice aspetto faceva si che a lei era dovuta la crescita delle piante, degli animali, la ricchezza delle città, era altresì considerata una guaritrice, ma anche il suo opposto.

Per questo potrebbe essere accostata alle figure dell’Agathos Daimon, demone della mitologia greca antica e soprattutto alla figura del Moros personificazione del destino mortale o meno che più le si avvicina per inevitabilità: l’uomo non può sottrarsi al volere della Dea. Come diceva Aristotele essa è una causa accidentale nelle cose che avvengono per scelta in vista di un fine.

Il suo culto si sviluppa soprattutto durante l’età ellenistica – periodo fatto iniziare per convenzione con la morte di Alessandro Magno nel 323 a.C. – a spiegazione probabilmente della diffusione della civiltà greca nel Mediterraneo, influenzando fino a diventare modello da seguire le altre culture del mondo antico.

Per simboleggiare la dualità che la caratterizza, veniva rappresentata, infatti, con la Cornucopia per simboleggiare la prosperità e la ricchezza o con pluto bambino in braccio (dio della ricchezza), con un timone a guida delle vicende umane (in un passo di Eschilo Tyche compare al timone della nave di Agamennone, miracolosamente salvata dall’intervento divino). Con una corona turrita come protezione della città, bendata, altrevolte per evidenziare l’ aspetto di dea che punisce e di morte con un elmo, con ali, con una sfera o una ruota.

Nonostante possa essere molto più antico, i romani attribuiscono la sua origine con l’ottavo re di Roma Servio Tullio, il quale per buona sorte, eresse numerosissimi templi in suo onore (se ne contano circa 26) tanto da far circolare delle curiose storie, tra cui la storia d’amore della Dea con Servio Tullio nonostante fosse un comune mortale.

Narrava Ovidio nei Fasti “Intanto, timidamente, la dea confessa i suoi furtivi amori / vergognandosi, lei creatura celeste, di essersi unita a un mortale /  – perché da un forte desiderio fu presa per il re, / per questo unico uomo lei non fu cieca – lei che di notte era solita entrare in casa sua per la finestra, / da cui prende nome la Porta della Finestrella”

In seguito anche Plutarco ne La Fortuna dei Romani “Egli si legò a Fortuna e da lei fece dipendere la stessa sovranità, tanto che dette a credere che Fortuna si congiungesse con lui, scendendo nella sua camera attraverso la piccola finestra che ora chiamiamo Porta della Finestrella”.

Questa leggenda narrata da Plutarco trova il suo fondamento nella storia quando Tanaquilla alla morte del marito Tarquinio Prisco, affacciatasi alla finestra annunciò al popolo che il prossimo re sarebbe stato il suo protetto Servio Tullio, facendo di questo la sua fortuna e con i suoi 44 anni di governo il regno più longevo.

Il più grande e importante complesso di architettura dell’Italia antica è il Santuario della Dea Fortuna Primigenia.

Fu edificato nel II secolo a.C. e seguendo probabilmente l’influenza ellenistica con la sua particolare edificazione a terrazze artificiali, ricoprirà l’intera area del colle s

ul quale è eretto, sono stati trovati infatti numerosi artefatti a testimonianza che in queste terrazze vi fossero botteghe che vendevano ex voto e amuleti.

L’origine del Santuario per alcuni studiosi potrebbe essere più antica tanto da datarla intorno al IV secolo a.C. edificato dai cittadini arricchitisi con la guerra contro Silla che lo vede vittorioso contro il rivale politico Caio Mario, per ingraziarsi e interrogare l’oracolo (è infatti l’unico tempio della Dea con questa caratteristica).

All’interno di un pozzo veniva calato un giovane che rappresentava Giove Bambino (venerato dalle madri)  il quale aveva il compito di consegnare all’oracolo al suo interno le offerte con le richieste dei fedeli.

La particolare forma del Santuario era volta al fine di essere un viaggio di purificazione del fedele che compiva un’ascesa fino alla purificazione, con il raggiungimento della sommità del monte, sul quale si ergeva il Tempio con la statua della Dea Primigena; viene in mente la Divina Commedia con l’ascesa dantesca nel Paradiso.

A metà dell’XI secolo la famiglia Colonna edificò palazzo Colonna Barberini (che oggi ospita il museo archeologico prenestino), dal nome dell’ultima famiglia a cui appartenne dal XVII secolo, mantenendo inalterata la forma del sottostante santuario.

Al suo interno sono custoditi numerosi reperti risalenti all’età ellenistica e ritrovati in ciò che rimane del santuario, come la testa di marmo della Dea Primigena trovata all’interno del pozzo della Terrazza degli Emicicli e una statua raffigurante Iside-Fortuna accostamento derivante dalla capacità della dea egizia di influire sul Fato.

Di grande importanza vi è il famosissimo Mosaico del Nilo dalle sue misteriose sorgenti fino ad arrivare al mare attraverso paesi e città sempre più belli, che rappresenta un capolavoro dell’arte ellenistica, nonché uno dei più grandi mosaici di epoca romana.

Fu scoperto intorno alla fine del XVI secolo e fatto risalire circa al II secolo a.C., all’interno della cantina del vecchio Palazzo Vescovile dove adornava il pavimento. Nel corso dei secoli lo troviamo tra Roma, dove fu mandato per la prima volta dal Vescovo Cardinale Andrea Baroni Peretti Montalto che per primo capì il valore dell’opera, e il Palazzo Colonna Barberini, fortem

ente voluto dai Barberini.

In tempi più recenti, parliamo del 1954, lo vediamo nel docu-film “Nilo di Pietra” uno dei primi girati a colori. Gli studiosi hanno avanzato numerose ipotesi in merito al significato del mosaico, concordando esclusivamente con l’individuazione in esso dell’Egitto e del Nilo.

Il primo a riconoscere l’Egitto, fu il cardinale e arcivescovo francese Melchior de Polignac il quale riteneva rappresentasse il viaggio di Alessandro Magno verso il tempio di Giove Ammone. Nonostante venga unanimemente considerata dagli studiosi una vera e propria cartina geografica dell’Egitto, sono molte le ipotesi su cosa vi sia rappresentato. Per lo studioso francese Jean BaptisteDubos rappresentava la quotidianità del popolo egiziano, per il suo connazionale archeologo Jean Jacques Barthelemy, rappresentava il viaggio dell’Imperatore Adriano in Egitto.

Una delle più interessanti è quella dell’archeologo italiano Orazio Marucchi secondo cui il mosaico rappresenta un momento molto importante per gli egiziani: l’esondazione del Nilo, dal quale dipendeva la vita. Per loro infatti era un momento sacro da dedicare alla Dea Iside.

Costituirebbe altresì un collegamento con il Santuario della Fortuna Primigenia sia il fatto che per l’archeologo nostrano l’arte divinatoria praticata nel tempio era di derivazione egiziana, sia che Iside era considerata anch’essa come la Dea Madre (da cui nacque Horus) dispensatrice di fortuna e sventura, protettrice del regno e colei che secondo il mito aiutò a civilizzare il mondo (alcuni vedono infatti, forse anche per la costruzione verticale del mosaico, un vero e proprio viaggio iniziatico dell’anima da luoghi selvaggi fino alla, allora, civiltà).

Anche il mare e l’acqua sono elementi caratterizzante di queste divinità, proprio per le caratteristiche di mutevolezza e di instabilità. Da Iside Pelagia deriverebbe infatti l’iconografia della Fortuna Marina, (come sosteneva anche lo scrittore francese Philippe Bruneau) la cui immagine  è quella di una fanciulla nuda che si muove sulle acque reggendo una vela o un timone che tiene sotto i piedi un delfino o una conchiglia (come la famosissima Venere del Botticelli)

L’affinità tra le due Dee ricorda anche l’antica celebrazione romana del 24 giugno in onore della Fors Fortuna dea della casualità assoluta che si svolgeva sulla riva destra del Tevere lungo la Via Campana.

Il Palazzo Barberini non solo è importante per le opere d’arte che custodisce e per il Santuario su cui basa le fondamenta, ma anche per illustri personaggi che vi hanno soggiornato come il grandissimo Pierluigi da Palestrina. Compositore Rinascimentale di madrigali e corali fu uno dei più importanti rappresentanti della Scuola Romana al quale si deve il raggiungimento della perfezione polifonica partendo dalle influenze della scuola franco olandese (La scuola romana perseguiva questo scopo attraverso la musica religiosa, grazie anche ai contatti diretti con la Cappella Sistina e il Vaticano).

È stato un compositore molto prolifico del quale molte opere ancora oggi vengono utilizzate in particolari occasioni e su alcune aleggiano storie smentite da studiosi e da documentazioni ufficiali, come la Missa Papae Marcelli, voluta, cosa non vera, da alcuni per convincere il Concilio di Trento  che un divieto draconiano al trattamento polifonico non era necessario.

Il suo approccio alla musica, la sua visione di insieme del testo delle composizioni influenzerà le successive scuole e sarà ripreso da altri compositori come Bach, segnando anche l’evoluzione dalla musica medievale a come la conosciamo oggi.

Gianfranco Cannarozzo

Quella tragedia umana che sconvolse l’Italia degli anni ’80

«Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano». Alberto Moravia

Una normalissima e stranquilla serata domenicale sta per cambiare in maniera improvvisa e drammatica. É il 23 novembre del 1980 e ci troviamo in Irpinia.

Intorno alle ore 19:34 per 90 secondi, la terra cominciò a tremare in maniera sempre più violenta, raggiungendo la magnitudo 6.9 della scala Richter e colpendo un’area che andava dall’Irpinia al Volture (Campania centrale e la Basilicata centro settentrionale) causando la morte a circa 2.940 persone8.848 feriti e 280.000 sfollati.

Non fu subito chiara l’entità del danno, a causa del blocco delle telecomunicazioni i telegiornali parlarono solo di “terremoto in Campania“. Questa impossibilità di comunicare e lanciare l’allarme diede vita a una polemica per il ritardo dei soccorsi.

Lo stesso presidente della Repubblica Sandro Pertini, tornato da quelle zone martoriate, denunciò alla televisione l’intempestività dei soccorsi, che impiegarono diversi giorni, circa cinque, per coprire tutte le zone colpite.

Ponti crollati, zone impervie e isolate, soccorsi non organizzati e coordinati, sono le cause del ritardo. Se poi consideriamo che la zona Irpina è sismica e che nel corso dei secoli sono stati molti i terremoti di magnitudo elevata, il più recente nel 1962, il patrimonio edilizio era fortemente provato.

Questa mancanza di organizzazione fondò le basi per la nascita di un sistema più efficace di intervento. Grazie all’intuizione del commissario straordinario del Governo, Giuseppe Zamberletti, nascerà la Protezione Civile.

Non fu meno tragica la ricostruzione, uno dei peggiori esempi di speculazione. Tante furono le inchieste della magistratura. Che svelarono come nel corso degli anni, il numero dei comuni colpiti andò ad aumentare, passando da 339 a 687.

Furono destinati contributi pubblici che fecero gola alla criminalità organizzata. Non mancò l’interesse politico locale. Molti volevano rientrare tra i beneficiari del fondo e questo portò ritardi nella ricostruzione. In alcune zone, mai del tutto completate.

Sono passati 40 anni da quella tragica notte e il ricordo è vivo come una ferita mai del tutto rimarginata. Dalle televisioni alle istituzioni, agli enti locali, sono tanti i pensieri per quei momenti e per tutte le persone coinvolte.

La Rai ha inserito nel proprio palinsesto numerosi programmi sull’argomento, come alcuni servizi di “Storie italiane“, o lo speciale “La Scossa“. L’invito ai comuni dalla Prefettura di Avellino, di dedicare un minuto di silenzio alle 19:34. L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) lancia il sito terremoto80.ingv.it, che offre un viaggio, una testimonianza fotografica.

Un giovane regista di Sant’Angelo dei Lombardi, Giuseppe Rossi, ha girato un docufilm intitolato “90 secondi“, documentario che grazie alle testimonianze raccolte vuole diventare memoria storica di quanto accaduto in Irpinia.

Anche l’Arma dei Carabinieri ricorda i suoi sette caduti «Nonostante decine di Caserme fossero rimaste distrutte o danneggiate dal sisma, nonostante 29 parenti di Carabinieri fossero stati travolti e uccisi dalle abitazioni crollate, si legge in una nota, l’Arma era presente. I Carabinieri non ebbero il tempo di piangere i loro congiunti morti: sopraffatti dal dolore, guidati dai richiami dei sopravvissuti, scavavano anche a mani nude per soccorrere i loro concittadini».

Il presidente Sergio Mattarella nel suo messaggio, l’ha ricordato come «l’evento più catastrofico della storia della Repubblica italiana» aggiungendo come il senso di comunità fu fondamentale per la ripartenza «La Repubblica venne scossa da quel terremoto che aveva colpito aree interne e in parte isolate del nostro Paese, ma tutto il Paese seppe unirsi e, come accaduto in altri momenti difficili, l’impegno comune divenne la leva più forte per superare gli ostacoli».

Parole che fanno riflettere soprattutto in un periodo così altrettanto drammatico, come quello che stiamo attraversando. Forse, dovremmo ritrovare quel senso di comunità, che oggi sembra essere venuto meno.

«L’Europa non nascerà di getto, come città ideale. Essa si farà; anzi si sta già facendo, pezzo per pezzo, settore per settore»

Robert Schuman: l’uomo di pace considerato il padre dell’Europa moderna

Francia, 1990, è un corso la causa di beatificazione di un personaggio lontano dagli ambienti ecclesiastici, da parte del vescovo Pierre Raffin: il politico Robert Schuman. Salito successivamente agli onori della Chiesa nel 2004 come Servo di Dio, un titolo che viene assegnato esclusivamente alle persone che si sono distinte per “santità di vita”.

Robert Schuman era nato a Lussemburgo il 29 giugno del 1886, in una famiglia che possiamo dire rappresentava le contraddizioni della politica europea del tempo. Suo padre, Jean Pierre, era francese, divenne tedesco nel 1870 quando l’Alsazia e la Lorena furono annesse alla Germania e così il piccolo Robert nacque tedesco per poi diventare cittadino francese alla fine della Grande Guerra quando quei territori tornarono sotto la giurisdizione francese.

Un fatto che lo segnerà tutta la vita e sarà per lui lo spunto per immaginare in futuro una Europa unita e solidale. Il giovane Robert parlava correttamente il francese e il tedesco, oltre che il lussemburghese, una peculiarità che gli permise di capire meglio l’Europa e il dramma che vivevano molte delle sue popolazioni. Studente brillante, si laureò giovanissimo in giurisprudenza e ad appena ventisette anni aprì a Metz,nel 1912, il suo studio di avvocato. Scoppiata la Prima Grande Guerra nel 1914, venne riformato per motivi di salute e proprio in quegli anni che stavano sconvolgendo l’Europa, preparò la bozza di ciò che diventerà il suo progetto per una Europa unita, ma i tempi ancora non erano maturi.

Nel 1918, con la fine della guerra e la sconfitta della Germania, entrò in politica divenendo consigliere comunale di Metz, ancora per poco sotto la giurisdizione tedesca, infatti, dopo l’armistizio, l’Alsazia e la Lorena, un anno dopo, a distanza di quasi cinquant’anni, tornarono nuovamente alla Francia, e questa volta nelle elezioni del 1919, venne eletto alla Camera dei deputati francesi per i territorio della Mosella, dimostrando un grande impegno per risolvere le gravi questioni sociali ed economiche del territorio.

Una esperienza che gli sarà utile all’inizio allo scoppio del Secondo Conflitto mondiale quando la Francia subì una cocente sconfitta militare e la conseguente occupazione della nazione, dimostrando tutte le debolezze della presunta grandeur dell’epoca. In questo doloroso frangente, Schuman venne confermato sottosegretario per i rifugiati dal governo collaborazionista del generale Pétain, ma l’appoggio al governo filo tedesco non poteva certo durare e così, dopo pochi mesi, cominciò a spostarsi verso le regioni occupate dai soldati del Reich per assistere gli sfollati.

In realtà, proprio in quel periodo cominciò a collaborare con la nascente resistenza e per questo venne ben presto arrestato dalla polizia politica tedesca, la Gestapo, e imprigionato prima nella sua Metz e poi trasferito al campo vicino a Neustadt in Germania. Con grande coraggio riuscì ad evadere dalla prigione nel 1942 e pochi mesi dopo era la zona ancora libera della Francia governata da un altro generale, Charles De Gaulle. Alla fine della guerra la situazione dell’intera Europa era spaventosa: fabbriche distrutte, infrastrutture inesistenti, case bombardate con milioni di sfollati, senza contare le nascenti lotte sociali sempre più numerose, ma con le casse statali pressoché vuote.

In un contesto così drammatico Schuman venne nominato il 24 giugno del 1946 ministro delle Finanze sotto la presidenza della Repubblica di Vincent Auriol e l’anno successivo divenne primo ministro, un incarico che resse fino all’anno successivo il 26 luglio del 1948, ma cinque anni dopo veniva chiamato ancora da Auriol, come ministro degli Esteri e in questo periodo portò avanti da protagonista i negoziati che segnarono grandi novità nel panorama europeo e mondiale, come Il Consiglio d’Europa per i diritti umani nel 1949 e lo stesso anno l’adesione alla Nato, infine, nel 1950, si inaugura il Trattato della Ceca, l’accordo per l’acciaio e il carbone tra Paesi come la Francia, la Germania, i Paesi Bassi, il Belgio, il Lussemburgo e l’Italia.

Nel discorso di inaugurazione della nuova realtà commerciale, sotto l’ispirazione di un altro grande europeo, Jean Monnet, il 9 maggio del 1950 presentò una sua proposta per la creazione di un primo mattone per l’edificazione quella che diventerà decenni dopo l’Unione europea creando finalmente un ambiente di pace vera e duratura tra Paesi che si erano combattuti per secoli.

Un discorso di una attualità straordinaria. Leggiamo tra l’altro: «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano» – e ancora – «La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime». E infine: «La creazione di questa potente unità di produzione, aperta a tutti i Paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i Paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica».

Nel 1958 venne eletto – all’unanimità – primo presidente dell’Assemblea parlamentare europea, carica che tenne fino al 1960 e alla fine del suo mandato venne proclamato dall’Assemblea “padre dell’Europa”. Ritiratosi a vita privata nella sua casa di Scy-Chazelles nella regione della sua Mosella dove moriva il 4 settembre del 1963. Oggi in suo ricordo abbiamo la Fondazione Schuman, molti premi e borse di studio donate in suo nome dal Parlamento europeo, dalle università più prestigiose, oltre a tante strade, piazze ed edifici che portano il suo nome.

Vogliamo concludere questa breve biografia con una sua frase ancora dal celebre discorso tenuto Parigi, il 9 febbraio 1950, che racchiude tutto l’ideale dell’Europa Unita, con una stringente attualità: «L’Europa non nascerà di getto, come città ideale. Essa si farà; anzi si sta già facendo, pezzo per pezzo, settore per settore. L’esercito europeo segna una di queste fasi».

Gianfranco Cannarozzo

Konrad Adenauer La storia dell’uomo che per tutta la vita desiderò una Germania unita

Il tedesco più amato dello scorso secolo in patria e non solo

1944, carcere di Brauweiler. E’ una calda serata estiva quando un drappello di uomini accusati di cospirazione contro il Fuhrer varcano i cancelli.  Tra gli arrestati ne spicca uno in particolare, un uomo evidentemente avanti con l’età che certamente aveva conosciuto tempi migliori. Magro, mal vestito che però manteneva la sua fierezza, ma nonostante questo, in quell’uomo nessuno avrebbe potuto riconoscere quello che solo pochi anni prima era il sindaco più giovane di Colonia. Il suo nome era Konrad Adenauer, l’uomo destinato ad essere il tedesco più amato dello scorso secolo e non solo in patria. Non era la prima volta che entrava in un carcere nazista, pur avendo tenuto un profilo basso era pur sempre un leader, una persona che incuteva rispetto e questo i nazisti lo sapevano, infatti era tra i primi nomi nell’agenda della polizia.

Era nato, terzo di cinque figli, a Colonia nel 1876 da una famiglia umile, ma con principi di onestà e disciplina tramessi dal padre e di cui il giovane Konrad ne farà tesoro. Ancora giovanissimo cominciò ad interessarsi di politica e grazie alla sua intelligenza e abnegazione per la cosa pubblica fece in breve una carriera politica nel nascente partito cattolico sobbarcandosi una notevole mole di lavoro. Questi impegni, però, non gli impedirono di sposarsi nel 1904 con Emma, più giovane di lui di 10 anni, ma morirà dopo una lunga malattia il 6 ottobre del 1916. Tre anni dopo Konrad sposerà Auguste Zinsser, ma anche questo matrimonio lo lascerà di nuovo vedovo nel 1948.

Nel 1917 è eletto a grande maggioranza sindaco della sua città, Colonia, e comincia subito le grandi opere infrastrutturali come la prima autostrada che collega la sua città a Bonn. Politicamente seguì sempre il bene dei cittadini e non volle mai schierarsi con il nascente nazionalismo preferendo i valori cristiani, ma già alla fine degli anni ’20, proprio per questa sua libertà di pensiero, inizia per lui una vera e propria campagna di denigrazione. Viene accusato, ovviamente senza prove, di sentimenti anti patriottici, di sprecare il denaro pubblico e se ancora ciò non fosse bastato viene accusato anche di essere simpatizzante niente meno che degli ebrei e per la Germania del tempo non era una accusa da poco.

Fu un lento stillicidio che si concluse nel 1933 con la presa del potere di Hitler, quando con grande coraggio rifiutò di adornare la città con le svastiche per la visita del Fuhrer. Fu la “classica goccia” per la sua definitiva cacciata. Pochi giorni dopo, infatti, veniva destituito dalla sua carica di sindaco e per sfregio il suo conto venne congelato. Senza lavoro, chi avrebbe mai dato una occupazione ad un antinazista, senza reddito, evitato da molti che prima lo osannavano, gli rimaneva la carità, è il caso di dire, dei pochi amici rimastigli e della Chiesa, oltre il sostegno della famiglia. Ecco chi era l’uomo che era entrato una sera di luglio del 1944 nel carcere di Brauweiler.

Alla fine della guerra gli americani, avendo saputo della sua rettitudine, gli rinnovarono la carica di sindaco di Colonia, ma, per ragioni sconosciute, venne rimosso poco dopo dagli inglesi. Questo incidente politico gli dette, però, la possibilità di dedicarsi alla formazione del nuovo Partito Cristiano Democratico, il CDU, e nel 1949 diventava il primo Cancelliere della nuova Repubblica federale tedesca.

Rimase in carica fino al 1963 e in quei pochi anni riuscì ad ottenere risultati eccezionali per una nazione che aveva provocato una guerra mondiale e milioni di morti. Aderì nel 1951 al Consiglio d’Europa facendo un primo passo per entrare di nuovo la Germania nel consesso internazionale, nel 1952 fonda la Ceca per l’acciaio e il carbone a cui partecipa un altro padre della nuova Europa, Alcide De Gasperi. Aderì alla Nato, dando alla Germania una certa sovranità. Fu europeista convinto facendo di questo un punto irrinunciabile anche perla sua politica interna.

Tra i vari accordi europei, e non solo, e il più significativo avverrà alla scadenza del suo mandato, nel 1963 con l’incontro di un altro grande europeo, il generale Charles De Gaulle per sancire, dopo secoli di guerre, la pace tra i due popoli. Ormai quasi novantenne, lasciò la carica di Cancelliere per ritirarsi meritatamente a vita privata, ma si spegnerà quattro anni più tardi il 19 aprile del 1967 con un solo desiderio che non poté vedere realizzato: la caduta del Muro di Berlino che sei anni prima i sovietici avevano alzato dividendo drammaticamente la nazione e non solo Berlino.

Passeranno ancora più di venti anni, ma il desiderio di Adenauer di una Germania unita fu finalmente realizzato nel 1989.

 

Gianfranco Cannarozzo

Simon Veil, la prima donna che divenne presidente del Parlamento europeo

Il coraggio di una donna che non venne mai a patti con le proprie idee, paladina dei diritti delle donne e attivista contro l’antisemitismo

Parigi 1974, l’allora neopresidente della Repubblica Francese Valèry Giscard d’Estaign decise che il nuovo ministro della Sanità sarebbe stata una donna:Simon Veil. Rimase però colpito dall’intelligenza e dalla visione politica della moglie di Antoine, la signora Simon.

Fu un successo, non solo per la Francia, ma, in seguito, per la politica della nascente Unione europea. Simon Veil si presentò subito sulla scena politica, come una donna capace di gestire la cosa pubblica, con competenza e determinazione nel suo incarico, tanto da acquistare in breve una grande autorevolezza anche presso i suoi avversari politici. Ma da dove le proveniva tanta determinazione, coraggio e intraprendenza politica nel promuovere le proprie idee?

Per capirlo bisognerà tornare alla sua infanzia e adolescenza. Simon nacque a Nizza il 13 luglio del 1927 in una famiglia benestante ebrea, gli Jacob. Il padre era un noto architetto, la madre casalinga di grande cultura, avevano quattro figli oltre alla piccola Simon c’erano altre due sorelle e un fratello, insomma un’infanzia serena, come ricorderà lei stessa, potendo crescere tra gli affetti famigliari e lo studio, ma proprio quando la vita cominciava a sorriderle come ad una qualunque adolescente, in pochi istanti le venne tolto tutto il suo mondo con i suoi sogni nel cassetto nel peggiore degli incubi.

Era il 1944 e anche la Francia, occupata dai nazisti, conobbe lo sterminio di tanti compatrioti con la sola colpa di essere ebrei e, come migliaia di altri disperati, anche la famiglia Jacob fu deportata nei famigerati campi nazisti di Auschwitz-Birkenau, Bobrek e, infine, Bergen Belsen. Le tre ragazze Jacob riuscirono a sopravvivere alla fame, alle minacce di morte, alle massacranti marce per spostarsi a piedi da un campo di prigionia all’altro, ma dei genitori e del fratello non saprà nulla fino al 1974 quando ebbe la conferma della loro morte in altri campi di sterminio.

Tornata a Parigi alla fine della guerra, aveva appena 19 anni, ma con una esperienza di vita che la rendevano molto più matura della sua età, proseguì brillantemente gli studi iscrivendosi alla facoltà di giurisprudenza dove incontrò un ragazzo, Antoine Veil, anch’egli ebreo, sfuggito miracolosamente ai rastrellamenti nazisti in Francia. Fu il classico colpo di fulmine: lei giovanissima e lui appena un anno più grande, decisero di sposarsi, uniti anche dalla passione politica di idee liberali, ma Simon fu, con decenni d’anticipo sulla storia, anche una convinta femminista, come dimostrò in seguito nella sua attività politica.  

Il matrimonio per tutti e due cominciò con un atto di grande coraggio, mettendo alle spalle gli orrori del passato e cominciando a guardare avanti. Nel 1950 ad Antoine gli venne affidato un incarico presso il consolato francese a Berlino e la giovane moglie, nonostante il dramma vissuto recentemente a causa di quella nazione, lo seguirà. Passano alcuni anni e Simon, non ancora cinquantenne, è già 1970 nella sua veste di magistrato una preziosa consulente di vari ministri della Giustizia tra cui François Mitterrand, diventando quell’anno anche la prima donna segretario generale del Consiglio superiore della magistratura.

Dopo la nomina a ministro della Sanità nel 1974, sarà sempre in prima linea per combattere a favore delle donne e ancora in quel periodo comincerà a vedere l’Europa come una grande possibilità di pace per un continente straziato per secoli di guerre. Così, finita la sua esperienza ministeriale, inizia la carriera di deputata presso il Parlamento europeo che la vedrà protagonista per quasi dieci anni dal 1982 al 1993, lasciando un impronta incancellabile del suo impegno politico. Anche in Europa Simon si dimostrò subito capace e politicamente preparata tanto da essere eletta presidente del Parlamento europeo, un’altra conquista essendo la prima donna ad occupare questo seggio così prestigioso.                                      

Nel 1993 torna alla politica francese come sottosegretario di Stato e ancora ministra della Sanità e degli Affari sociali fino al 1995 e infine nel 1998 venne nominata membro del Consiglio Costituzionale francese. Ma l’incarico a lei più caro, tra i tanti che le avevano dato grandi soddisfazioni nella sua vita, fu quello di prima Presidente della Fondazione per la memoria della Shoah. Un debito d’amore verso la sua famiglia e tutti gli ebri uccisi durante la guerra. Un incarico che tenne fino al 2007. Nel 2008, ormai ottantenne, fu eletta alla prestigiosa Academié Française, una delle poche donne ad aver ricevuto quest’onorificenza.

In quella occasione avvenne un episodio assai toccante. Come ogni membro del prestigiosa accademia, anche lei ebbe lo spadino d’onore dove, come era consuetudine, si potevano incidere sulla lama qualcosa che poteva rappresentare al meglio la sua personalità. Simon Veil fece incidere insieme al motto della repubblica franceseLibertà, uguaglianza, fratellanzainsieme a quello della Unione europea: ”Unità nella diversità”, anche il suo numero di deportata ad Auschwitz, 78651, ancora visibile sul suo braccio destro. Ma i riconoscimenti per questa donna così combattiva non erano certo finiti.

Nel 2007, ancora in vita, le fu dedicata la piazza antistante il palazzo del Parlamento europeo a Bruxelles per i suoi meriti e ancora nel 2012 il presidente Sarkozy la insignì della Croce della legione d’Onore. Si è spenta a quasi novant’anni, il 30 giugno del 2017, e riposa come i grandi Francia nel Pantheon di Parigi. Vogliamo ricordare ciò che disse in occasione dei suoi funerali l’allora presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani: «Una grande presidente del Parlamento europeo, la coscienza dell’Unione europea, un’attivista contro l’antisemitismo e una paladina dei diritti delle donne. Il suo messaggio sulle donne e contro l’antisemitismo è attuale ancora oggi».

 

Gianfranco Cannarozzo

Jean Monnet una figura particolare nel panorama politico del secolo scorso e non solo

 

Il sogno di un’Europa terra di pace e progresso a cui dedicò tutta la vita

Monnet il cui nome completo di battesimo era Jean Omer Marie Gabriel, nacque il 9 novembre 1888 nella piccola, ma famosissima città di Cognac in Francia, da una famiglia produttrice del famoso liquore. Ebbe una infanzia agiata e serena con un ottimo rendimento scolastico avendo delle capacità intellettive assai rare per un ragazzo di appena 16 anni e dotato di una forte personalità, insomma in lui si intravedeva l’anima del futuro leader destinato a ricoprire incarichi di grande prestigio e responsabilità, sia in Francia che in Europa, lasciando sempre il segno in ogni sua esperienza politica o amministrativa con una grande capacità e competenza eccezionali.

Il padre intuì subito le sue capacità e avendo grandi progetti per la sua azienda lo volle inserire subito nel mondo del lavoro. Così, tra lo stupore di tutti, lo tolse dalla scuola e giovanissimo lo mandò a lavorare a Londra presso una loro succursale in modo da imparare bene insieme al lavoro anche un’altra lingua.

Con la sua intelligenza ben presto bruciò le tappe della carriera aziendale tanto da divenire in breve un giovanissimo uomo d’affari di grande successo in giro per il mondo. Scoppiata la Prima guerra mondiale nel 1914, come molti altri ragazzi sentì l’obbligo di arruolarsi per servire la propria nazione, ma venne scartato perché cagionevole di salute, ma un giovane come lui non poteva certo rimanere con le mani in mano.

Grazie alle sue capacità, riuscì a presentare al Governo francese un progetto assai dettagliato per migliorare le forniture belliche con la Gran Bretagna. Il progetto raccolse subito un grande entusiasmo tanto da essere subito nominato intermediario economico tra la Francia e gli alleati.

Fu questa, per il giovane Jean, una grande scuola dove acquisì la padronanza dei problemi internazionali, esperienza che gli permise a guerra finita e a soli 31 anni di essere nominato vice segretario generale della Lega delle Nazioni fin dalla sua fondazione avvenuta nel 1919.

Nel 1923, proprio in un momento di grande successoper la sua carriera, dovette tornare nella casa di famiglia a Cognac per la morte improvvisa del padre e prendere le sorti dell’azienda familiare che nel frattempo era in una profonda crisi economica. Anche in questo frangente Monnet seppe mettere a frutto le sue capacità imprenditoriali e in breve risollevò le sorti della fabbrica insieme a quelle della sua famiglia e degli operai.

Nonostante l’impegno nella azienda di famiglia, non trascurò le sue conoscenze economiche avviando una serie di nuovi progetti assai validi tanto da essere chiamato a riorganizzare le finanze non solo francesi, ma anche di altre nazioni europee come quelle della Polonia e della Romania e, sempre in quegli anni, lo troviamo a riorganizzare la rete ferroviaria cinese e la creazione di una banca di investimenti a San Francisco, in California.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale si mise ancora una volta al servizio del proprio Paese, come aveva già fatto vent’anni prima, riprendendo come allora l’incarico di coordinare le forniture belliche tra Gran Bretagna e Francia e ben presto divenne consulente per il governo inglese delle forniture belliche con gli Stati Uniti, occasione che lo condusse in America a incontrare l’allora presidente Delano Roosevelt.

Questo incontro segnerà il futuro della sua vita diventando in breve addirittura consigliere fidato per gli armamenti anche dello stesso presidente americano. Tornato in Francia nel 1943 aderì al Comitato della resistenza francese, allora sotto il comando di Charles De Gaulle esiliato ad Algeri.

Il 5 agosto di quell’anno, durante una riunione del Comitato partigiano, Monnet formula nel suo discorso di apertura dei lavori un’idea che per molti presenti dovette sembrare a dir poco fantascientifica: «Non ci sarà pace in Europa» – affermava – «se gli Stati verranno ricostituiti sulla base della sovranità nazionale (…) Gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le nazioni europee dovranno riunirsi in una federazione».

Il dopoguerra, purtroppo, non fu un periodo di pace come si sperava, le tensioni internazionali erano molto forti, si cominciava a delineare quello che di lì a poco sarebbe stata definita da Winston Churchill “La cortina di Ferro”, un duro colpo per il suo disegno europeo. In un contesto politico così pericoloso per la pace, non si poteva procrastinare il progetto per una Comunità europea.

Il 9 maggio del 1950 il ministro degli esteri francese Robert Schuman propose, su suggerimento proprio di Jean Monnet, di fare un accordo dell’acciaio e del carbone tedeschi e francesi, mettendo di fatto le basi per la nascita della futura Unione europea. Con questo accordo una futura guerra tra Francia e Germania sarebbe stata impossibile e la secolare di discordia tra le due nazioni sarebbe diventata adesso un motivo di integrazione e di pacificazione. Nasceva così la Ceca per l’acciaio e il carbone a cui presto aderirono anche il Belgio, il Lussemburgo, l’Olanda (Paesi Bassi) e l’Italia.

Se da un punto di vista economico si mettevano le basi per un nuovo sviluppo occorreva, vista la fragile situazione internazionale post bellica, creare anche un esercito comune non solo per difesa ma per cementare rapporti d’amicizia tra i popoli europei, purtroppo questa idea naufragò per i vari egoismi nazionali e fu allora che il dinamico uomo politico, senza scoraggiarsi minimamente, lavorò alla nascita del “Comitato di azione per gli Stati Uniti d’Europa” che dette la spinta al l’integrazione europea con la nascita del Mercato Comune, il Mec e il Sistema monetario europeo, lo Sme.

Verso la fine della sua vita scrisse un libro autobiografico “Cittadino d’Europa” ricco di meditazioni e riflessioni assai brillanti come, solo per citarne due: «Prima avere un’idea, poi cercare l’uomo che abbia il potere di realizzarla» e quella che a nostro avviso racchiude tutta la sua natura di grande innovatore: «So per esperienza che i problemi concreti non sono più irrisolvibili a partire dal momento in cui si affrontano nella prospettiva di una grande idea».

Morì a Parigi il 16 marzo del 1979 lasciando le fondamenta per una Europa federata, ma ancora da completare come hanno dimostrato i recenti colloqui di Bruxelles sul Recovery fund che ha visto contrapposte le nazioni che aderiscono all’Euro.

Gianfranco Cannarozzo 

La conoscenza dei simboli UE

La forza della simbologia degli elementi che la compongono

Un linguaggio semplice ma estremamente efficace per unire i Popoli nel progetto comune

Non bastano solo gli accordi tra Stati, iniziative economiche, conferenze e quant’altro per affermare la nascita di una unione così complessa come quella europea dove ogni nazione partecipante è il frutto di secoli e secoli di storia, di cultura di tradizioni che non possono e non debbono essere sradicati nella coscienza dei popoli. 

Ciò che può unire i popoli di una così variegata entità sovranazionale sono ancora una volta i simboli, il linguaggio più semplice, ma più penetrante, che esalta la propria apparenza ad un progetto comune chealtrimenti, sarebbe troppo labile per potersi identificare. Così l’Europa, pur nelle sue variegate realtà, ha saputo dare ai suoi cittadini, dei simboli in cui tutti si possono riconoscere, dal Portogallo ai Paesi Baltici.

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Disastro marittimo “Al Salam Boccaccio 98” nessun vincolo per il Tribunale di Genova

Il regolamento di Bruxelles I non onsta l’immunità giurisdizionale

Il mare, questa enorme distesa di acqua salata che ha sempre affascinato l’uomo con la sua vastità e i suoi misteri, come fosse un mondo alieno a noi sconosciuto di cui conosciamo poche forme di vita, considerando che ne abbiamo esplorato solo una percentuale piuttosto esigua.

L’evoluzione tecnologica ha portato notevoli migliorie anche nel campo della navigazione; se pensiamo che agli inizi i marinai basavano l’orientamento sulla posizione delle stelle, della luna e del sole, dato che erano punti di riferimento noti. Bisognerà aspettare 1761 quando John Harrison orologiaio inglese inventò il cronometro marino, invenzione che segnò una tappa fondamentale nello sviluppo della navigazione.

Tanti erano e sono i motivi per cui si attraversa il mare, dalla navigazione per la colonizzazione, alle rotte mercantili, crociere, viaggi o durante la guerra.

E a testimonianza di ciò il mare custodisce nei suoi fondali moltissimi relitti di più svariate tipologie che sono diventati casa di moltissime specie, rendendoli anche suggestivi tanto che alcuni di questi sono proprio segnati su alcune cartine turistiche settoriali. Le navi da crociera fanno anche loro parte di questo enorme cimitero sommerso e alcune di esse sono anche piuttosto famose come il Titanic affondato nel 1912 e considerato all’epoca il transatlantico più grande del mondo, l’Andrea Doria affondata del 1956, la Al Salam Boccaccio 98 nel 2006, la Costa Concordia naufragata nel 2012 e molte altre.

La Al Salam Boccaccio 98 ha una storia più particolare. Fu costruita alla fine degli Anni ’60 per la Tirrenia di Navigazione, come Classe Poeta  per la rotta Palermo-Tunisi. Nel ’91 fu sottoposta ad un aggiornamento e miglioramento degli arredi e all’aggiunta di ben tre ponti aumentando quindi il numero i passeggeri che il traghetto potesse trasportare.

La Compagnia Saudita di Navigazione El Salam Shipping&Trading battente bandiera panamense la acquistò nel 1999 ribattezzandola Al Salam Boccaccio 98.

È naufragata nel febbraio 2006 mentre navigava tra Arabia Saudita e Mar Rosso, in seguito a un incendio che ha causato la morte di circa 1.000 vittime e pertanto considerato uno dei peggiori disastri marittimi della storia.

Nel 2013 i familiari delle vittime insieme ai superstiti hanno adito al Tribunale di Genova chiedendo la condanna al risarcimento dei danno morali e patrimoniali subiti, alla Rina spa e all’Ente Registro Italiano Navale ai quali attribuiscono la responsabilità del naufragio, per via delle operazioni di classificazione e certificazione effettuate da questi organismi, che hanno operato, come affermato dagli stessi, come delegati della Repubblica di Panama, Stato sovrano facendo quindi valere l’immunità giurisdizionale.

Pertanto il Tribunale di Genova ha dovuto richiedere alla Corte di giustizia se, in ragione di questa immunità, debba applicare il regolamento di Bruxelles I in merito alla competenza giurisdizionale e quindi operando come giudice del luogo in cui l’ente contro il quale la domanda è proposta è domiciliato o ha la propria sede.

L’avvocato generale, il polacco Maciej Szpunar conferma che il Tribunale debba applicare il regolamento di Bruxelles anche se una delle due parti fa valere la propria immunità sostenendo inoltre che l’immunità giurisdizionale degli Stati non è assoluta, ma è riconosciuta nel caso in cui si tratti di atti compiuti nell’esercizio di pubblici poteri.

Il diritto internazionale non impedisce ai legislatori di adottare norme sulla competenza applicabili alle controversie nelle quali una delle parti può avvalersi dell’immunità giurisdizionale, poiché esige che non si eserciti la giurisdizione nei confronti di una tale parte contro la sua volontà.

Szpunar ha valutato se l’operazione di certificazione e classificazione della nave costituiscano esplicazione di pubblici poteri, stabilendo che anche se queste operazioni sono state fatte per conto o interesse di uno Stato, se sono state delegate da uno Stato o compiute in esecuzione degli obblighi internazionali di uno Stato, non sono obbligatoriamente manifestazioni di pubblici poteri e quindi non escludono di conseguenza l’applicabilità del regolamento Bruxelles I.

Ha quindi stabilito che agli italiani sia stato affidato un compito di natura meramente tecnica, non considerabili esercizio di prerogative di pubblici poteri, considerando collocabile nel regolamento di Bruxelles I la richiesta di risarcimento richiesta agli enti che hanno effettuato tali operazioni.

Per quanto riguarda l’immunità giurisdizionale l’avvocato generale dichiara che la Corte è competente ad interpretare il diritto internazionale nella misura in cui quest’ultimo può incidere sull’interpretazione del diritto dell’Unione e che non sussiste in maniera inequivocabile una norma di diritto internazionale consuetudinari che permetta agli enti di classificazione e di certificazione come quelli citati, di avvalersi dell’immunità giurisdizionale degli Stati in circostanze come quelle del caso di specie.

In conclusione l’avvocato generale ha stabilito che non esistono dubbi in merito alla sussistenza dell’accesso effettivo ai tribunali panamensi e il diritto d’accesso ai tribunali, garantito dalle disposizioni in merito alla garanzia di accesso alla giustizia del regolamento di Bruxelles I, non impedisce al Tribunale di Genova di riconoscere l’immunità giurisdizionale della RINA SpA e dell’Ente Registro Italiano Navale.

 

Gianfranco Cannarozzo

 

Virus: nemici invisibili che hanno causato più stragi nei secoli che tutte le guerre combattute dagli uomini

«Organismi ai margini della vita» di cui un tempo la medicina non conosceva l’esistenza 

Per saperne di più sulla scoperta dei virus dobbiamo fare un balzo nella storia fino ad arrivare a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento quando i due giganti della medicina il francese Louis Pasteur e e l’inglese Edward Jenner, condussero alcuni esperimenti per studiare come si trasmettero il vaiolo e la rabbia, ipotizzando, non riuscendo a trovarne la causa, che il o i responsabili di tali malattie fossero troppo piccoli per poter essere visti con gli strumenti dell’epoca.

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L’esistenza di un debole carattere distintivo di un prodotto non garantisce la certezza di identificazione dello stesso

Per la Corte di giustizia europea c’è un errore di diritto

Quanti di noi visitando la Grecia ha avuto come la sensazione di non essersi mossi da casa, acque limpide e cristalline, l’accoglienza tipica del Sud Italia. Per non parlare poi della cucina locale, ghiros, la pita, ma soprattutto i formaggi, come la feta, diventata famosa in tutto il mondo. Ogni zona ha il suo prodotto tipico, caseario o meno. Cipro per esempio è famosa per halloumi: formaggio risalente alla dominazione araba del settimo secolo.

La Foundation for the Protection of the Traditional Cheese of Cyprus named Halloumi che è la società titolare del marchio collettivo Halloumi nell’Ue, si è vista respingere il ricorso dall’EUIPO (l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale) poiché non sussiste un possibile rischio di confusione riguardo l’origine dei prodotti Bbqloumi con il marchio collettivo (anteriore) Halloumi.

Dello stesso avviso il Tribunale dell’Unione dinanzi al quale la Foundation proprietaria del formaggio cipriota aveva impugnato la decisione dell’EUIPO, poiché il prodotto corrispondente al nome Halloumi ha un debole carattere distintivo, quindi non esisterebbe possibilità di creare confusione nel consumatore.

Con la sentenza del 5 marzo 2020, Foundation for the Protection of the Traditional Cheese of Cyprus named Halloumi/EUIPO (C-766/18 P), la Corte di giustizia europea (Cge), investita di un’impugnazione contro la sentenza del Tribunale, si è anzitutto pronunciata sull’applicabilità alle cause riguardanti un marchio anteriore collettivo della giurisprudenza che stabilisce, per i marchi individuali dell’Unione europea, i criteri alla luce dei quali deve essere valutato il rischio di confusione,  come stabilito dall’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sul marchio dell’Unione europea.

Ponendo come ipotesi che il marchio anteriore (HALLOUMI) sia un marchio collettivo, il cui scopo è quello di distinguere i prodotti dei membri dell’associazione da altri marchi, il rischio di confusione deve essere inteso meramente come la possibilità che i consumatori possano credere che i prodotti del marchio richiesto (BBQLOUMI) faccia parte dell’associazione titolare nel marchio cipriota, o sia legato ad imprese legate economicamente ai membri dell’ipotetica associazione.

La giurisprudenza stabilisce quali sono i criteri valutativi del rischio di una possibile confusione. Il titolare del marchio collettivo in questione ha fatto valere come il carattere distintivo del marchio anteriore avrebbe dovuto essere valutato in modo diverso qualora tale marchio fosse stato un marchio collettivo dell’Unione europea.

Anche questa tesi è stata respinta dalla Corte, poiché il requisito di carattere distintivo si applica ai marchi collettivi dell’Unione europea come stabilito dagli articoli 76 e 74 del regolamento sul marchio dell’Unione europea, non contengono alcuna disposizione in senso contrario. Di conseguenza, questi ultimi devono in ogni caso, intrinsecamente o per uso, possedere un carattere distintivo.

La Corte ha poi precisato che l’articolo 66, paragrafo 2, di tale regolamento non rappresenta un’eccezione a tale requisito di carattere distintivo. Benché tale disposizione consenta, in deroga all’articolo 7, paragrafo 1, lettera c, del suddetto regolamento, la registrazione come marchi collettivi dell’Unione europea di segni che possono servire a designare la provenienza geografica di prodotti o servizi, essa non consente tuttavia che i segni così registrati siano privi di carattere distintivo.

È infatti compito dell’associazione che richiede la registrazione come marchio collettivo, assicurarsi che il segno designante la posizione geografica del prodotto, sia dotato di elementi che permettano al consumatore di identificare facilmente l’impresa o il prodotto stesso. La Corte ha annullato la sentenza del Tribunale rinviandola dinanzi ad esso affinché possa procedere nuovamente a un esame sul rischio di confusione.

Questo rinvio è motivato dal fatto che per la Corte, il Tribunale è incorso in un errore di diritto poiché la valutazione svolta non soddisfaceva l’esigenza di una valutazione globale che tenesse in considerazione gli importanti fattori di interdipendenza tra il carattere e il marchio dei prodotti in esame. Considerando che l’esistenza di un debole carattere distintivo del marchio cipriota non esclude a priori il rischio di confusione.

 

Gianfranco Cannarozzo

Alcide Amedeo Francesco De Gasperi

 

Il carisma di un uomo che contribui alla rinascita del nostro paese

 

7 settembre 2021

Storia di un politico e un uomo che conquistò il rispetto anche degli avversari politici che lo ritenevano di onestà adamantina

Parigi, agosto 1946. Il vociare dei delegati internazionali riunitisi presso palazzo Lussemburgo per discutere del trattato di pace che vede come attori l’Italia e la Germania, viene improvvisamente sostituito da un gelido silenzio quando a prendere la parola viene invitato un personaggio sconosciuto: Alcide De Gaspari.

«In questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa ritenere un imputato, l’essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione».

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