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Autore: Nicola Sparvieri

Galois un genio incompreso

Évariste Galois è vissuto nella Francia dei primi dell’Ottocento nell’epoca della restaurazione post napoleonica, quando tra i giovani era diffusa la tendenza alla libertà e al “forte sentire” dello “Sturm und Drang” tedesco. Erano di moda nei giovani di allora i sapori romantici del romanzo epistolare “I dolori del giovane Werter” di Goethe. Galois nasce nel 1811 e muore nel 1832. Un personaggio unicoconsapevole della propria genialità matematica, coinvolto profondamente dalla passione politica del suo tempo. Un eroe romantico della prima metà dell’800, come altri a quel tempo, che morì poco più che ventenne, in duello, nel 1832.

Eroe romantico

La sua storia tragica e sfortunata, accostata alla genialità e all’attualità delle sue idee, alimenta una vicenda di un fascino immortale che ha suscitato ammirazione e commozione per intere generazioni. A Galois sono stati dedicati almeno un paio di film, numerose biografie e commedie. Anche qualche romanzo si è recentemente ispirato a lui e qualche autore riconosce in Galois un giovane personaggio de “I Miserabili” di Hugo, Gavroche, che partecipa ai disordini parigini del luglio 1832.

Genio incompreso e sfortunato

Egli fu un repubblicano, forse un rivoluzionario, quando in Francia era in corso una forte restaurazione monarchica dopo le vicende napoleoniche.

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Lo smaltimento delle batterie al Litio

Le batterie al litio hanno reso possibile un salto tecnologico nel processo di elettrificazione dei mezzi di trasporto grazie alle prestazioni superiori rispetto alle prodotte nel passato (come piombo, zolfo-sodio e nichel-zinco). La Cina, nel 2020, ha prodotto il 60% dei componenti delle batterie al litio e circa l’80% delle celle.

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In cosa è diverso un computer da un essere umano?

Oggi c’è molta speculazione su un possibile futuro in cui l’umanità sarà sorpassata o perfino materialmente distrutta dalle macchine. Sentiamo spesso parlare di auto che si guidano da sole, di smart home o smart city, case o intere città i cui servizi essenziali saranno gestiti unicamente da robot.

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Stili di vita e popolazione

Nel corso della storia l’umanità ha dovuto compensare, come tutte le altre specie presenti sul Pianeta, il basso tasso di aspettativa di vita con uno sforzo verso un aumento della natalità. D’altra parte una popolazione che cresce in modo indefinito finisce prima o poi per esaurire le risorse e gli spazi vitali a sua disposizione e questo è al giorno d’oggi lo scenario più probabile.

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La minaccia nucleare dopo i referendum nelle regioni separatiste

Il presidente Putin ha annunciato un referendum per l’annessione delle zone sotto controllo russo. In particolare le Repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk e delle Regioni di Cherson e Zaporozhye, in Ucraina. I residenti delle due Repubbliche saranno chiamati a rispondere sulla seguente domanda: “Supportate l’annessione della Repubblica alla Russia in materia federale?”. Quelli delle due Regioni dovranno invece rispondere con un si o con un no alla domanda “Siete a favore della secessione delle Regioni dall’Ucraina, e alla creazione di un Paese indipendente e alla conseguente annessione alla Russia come soggetto federale?”. L’agenzia di stampa della Federazione russa TASS riporta che le quattro Regioni oggetto del referendum hanno dichiarato il loro impegno di massima trasparenza e legittimazione, aprendo al monitoraggio da parte di osservatori internazionali. Ma nonostante questa dichiarazione è ovvio che hanno poca credibilità, convocati nel giro di tre giorni in territori che sono o sotto occupazione o addirittura in pieno conflitto. Dopo la tenuta di questi referendum, indetti dal 23 al 27 settembre 2022, il cui esito è ovviamente scontato, la Duma, camera bassa del parlamento russo, potrà proclamare questi territori come parte della Federazione russa. Putin in conferenza stampa ha affermato: «Se l’integrità territoriale del nostro Paese è minacciata, utilizzeremo senz’ombra di dubbio tutti i mezzi a nostra disposizione per proteggere la Russia e il nostro popolo, e questo non è un bluff». È evidente dal discorso di Putin che “l’Operazione militare speciale” non ha funzionato. Da qui la necessità di adottare misure che dovrebbero servire per invertire la rotta. Prima fra tutte la mobilitazione di 300 mila uomini, come ha chiarito il ministro della Difesa Shoigu. Tale massiccio richiamo alle armi modifica notevolmente i rapporti di forza sul terreno anche se non si parla ancora di una mobilitazione generale, cui speriamo non si debba arrivare mai. Tuttavia si passa dall’attuale guerra fatta da militari professionisti a una guerra di popolazione di leva. Cioè di giovani attualmente impegnati in altre occupazioni che vengono richiamati alle armi. Il Governo russo dovrà far fronte a una nuova reazione interna che non si limiterà soltanto agli attuali sporadici segnali di protesta di pochi dissidenti. Si tratta piuttosto di un ben più grande numero di famiglie i cui ragazzi hanno ricevuto le cartoline di precetto e sono costrette a partire per la guerra. Naturalmente per poter fare questo Putin deve riconoscere in qualche modo che non è più un’operazione militare speciale ma che si tratta di difendere il territorio russo. I referendum servono appunto a trasformare lo status di quelli occupati o contesi in Regioni della madrepatria. E questo cambiamento di status, nell’ottica del presidente potrebbe portare anche al ricorso a ogni tipo di armamenti e di qui la minaccia del nucleare. L’alto rappresentante dell’Ue per gli Affari Esteri, Joseph Borrel ha dichiarato che «I referendum illegali sono un’altra sfacciata violazione dell’indipendenza e della sovranità territoriale dell’Ucraina e una seria violazione della Carta delle Nazioni Unite». A questo fa eco il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan che ha affermato: «I referendum annunciati dalla Russia sono una farsa e dimostrano debolezza. Gli Stati Uniti non riconosceranno mai il loro risultato e continueranno a fornire all’Ucraina l’assistenza militare necessaria per affrontare l’eventuale negoziato da una posizione di forza». L’occidente sta quindi, in maniera compatta, rispondendo all’escalation russa con l’intenzione di voler continuare a fornire armi all’ucraina. Volendo riassumere le soluzioni attualmente disponibili diciamo che da parte occidentale i leader auspicano un trionfo militare dell’Ucraina, mentre la Russia risponde sollevando di molto il livello dello scontro minacciando il ricorso al nucleare. La solidarietà politica, economica, e di assistenza di varia natura per ribadire che l’Ucraina non è sola, è sicuramente una attività da dover conservare e implementare. Però per tentare di riaprire il tavolo delle trattative è necessario che il contesto globale del conflitto sia preso in maggiore considerazione. Forse sarebbe necessario considerare con attenzione la politica delle sanzioni alla Russia e la fornitura di armi occidentali all’Ucraina. Mi sembra piuttosto ovvio che per riaprire i negoziati di pace si debba condurre l’opinione pubblica a considerare i rischi di un allargamento del conflitto piuttosto che continuare a sottolineare le ragioni di ciascuno dei contendenti. Gli ucraini stanno riscuotendo dei successi nella loro controffensiva a nord-est e a sud intorno a Kherson. Di conseguenza non hanno interesse a sospendere le ostilità e mettersi a trattare. E Putin, dall’altro lato, ha dimostrato con questa iniziativa dei referendum la sua volontà di mettere l’Ucraina, l’Occidente e il resto del Mondo di fronte al fatto compiuto. Vuole creare una seconda Crimea, e non sembra di voler recedere da questa intenzione. La situazione è in peggioramento e occorre un’inversione che può passare solo attraverso un cambio nell’opinione pubblica internazionale.

Nicola Sparvieri

Il caro-bollette e la guerra russo-ucraina

Dal 24 febbraio di quest’anno la guerra russo-ucraina ci sorprende col suo carico di atrocità e di morte. Oltre ai bollettini di guerra fatti di attacchi e controffensive sulle Città e gli obiettivi strategici, assistiamo anche allo scenario geopolitico globale che col passare dei mesi sta formando anch’esso due blocchi contrapposti. Inizialmente il Mondo ha condannato unanimemente questa nuova e pericolosa guerra in Europa ma dopo poco è emerso da un lato il compatto blocco occidentale NATO guidato da Stati Uniti e Comunità europea e un più frastagliato, ma via via più definito e solido, blocco di Paesi filorussi con una crescente presenza cinese, spinta anche dalla crisi di Taiwan.

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La storia di Onesimo

La lettera a Filemone è la più breve missiva di San Paolo scritta probabilmente intorno al 60 d.C. mentre l’autore si trovava in una prigione romana. Tra tutte le epistole paoline è particolare perché è una lettera personale, cioè scritta non ufficialmente a una chiesa ma a un singolo cristiano, con cui privatamente si affronta uno specifico problema. Filemone, il destinatario della missiva di Paolo, era un ricco cittadino di Colossi che si era convertito al cristianesimo ascoltando la predicazione di Paolo a Efeso. Colossi era una città piuttosto piccola dell’entroterra della Frigia, che oggi si chiama Turchia, sulla strada che collegava Efeso alla Palestina. Nel corso dei secoli la città poi decadde e nel Medioevo era praticamente sparita a causa di un terremoto. Efeso invece era importante, capitale della provincia romana dell’Asia Minore godeva di un glorioso passato. A Efeso era nato il famoso filosofo greco Eraclito, quello del “tutto scorre”. Paolo aveva fondato delle comunità cristiane nella città e alcuni abitanti di Colossi erano presenti alla sua predicazione. Tra questi Filemone, Epafra, Arpfia e Archippo, figlio di Filemone. Questi hanno poi, a loro volta, fondato la comunità cristiana di Colossi e Epafra sembra sia stato il primo vescovo. La lettera di san Paolo riguarda Onesimo, che era schiavo di Filemone. Egli, a un certo punto, decide di fuggire dal suo padrone dopo averlo derubato. La sua fuga lo aveva condotto a Roma dove Paolo, in quel momento, si trovava agli arresti domiciliari in attesa di essere giudicato dall’Imperatore, come racconta Luca negli Atti degli Apostoli. In quale modo Onesimo si imbatté in Paolo non si sa, ma il fatto è che i due si incontrarono e, dai colloqui che ne seguirono, Onesimo si convertì al cristianesimo e iniziò a collaborare con Paolo nell’apostolato. La fuga di uno schiavo dal suo padrone era considerata un fatto molto grave dalla legge di allora. Il reato veniva punito con condanne molto dure. Per noi pensare alla schiavitù è completamente fuori dal concepibile, ma quello che ci sembra una mostruosità era allora perfettamente normale. Secondo la legislazione romana del I secolo, lo schiavo era completamente in balìa degli umori del suo padrone. Giuridicamente non era una persona ma un oggetto del quale si poteva disporre liberamente. Essendo collocato sullo stesso piano degli animali domestici e degli arnesi da lavoro non era preso in considerazione dal diritto civile. Una famiglia romana di medio censo poteva avere fino a due o tre schiavi, una persona ricca del I secolo ne poteva avere fino a diverse decine. In pratica, la qualità della vita di uno schiavo dipendeva moltissimo dalla disposizione del padrone: chi ne aveva uno crudele poteva subire una serie infinita di cattiverie, ma uno buono e generoso poteva rendere la vita tollerabile e perfino piacevole. Paolo sapeva che lo schiavo fuggitivo Onesimo doveva tornare al suo legittimo proprietario ma era cosciente dei rischi che correva nel dover rispettare la legge. Tuttavia la nuova vita cristiana di Onesimo non poteva prescindere dalla riconciliazione con Filemone. Per questo motivo Paolo si decise a scrivere una lettera a Filemone nella quale si rivolge anche alla moglie Affia e al figlio Archippo e alla Chiesa che chiesa domestica di Filemone. Paolo chiedeva di accogliere e perdonare Onesimo e di trattarlo come fratello in forza della comune fede che ormai unisce Onesimo a entrambi. La lettera fu portata a Filemone dallo stesso Onesimo e da Tichico, che era un collaboratore di Paolo. Essi consegnarono l’epistola insieme alla più famosa lettera ai Colossesi. Proprio in quest’ultima ci viene rivelato che Onesimo effettivamente ritorna a casa da Filemone (capitolo 4, versetto 7-9 dove Paolo scrive: “Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tichico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore, che io mando a voi, perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori. Con lui verrà anche Onesimoil fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno di tutte le cose di qui“). La lettera non ci spiega perché Onesimo si trovasse con Paolo a Roma a più di mille chilometri da Colossi. Soprattutto nulla ci dice su quello che gli successe veramente dopo il suo rientro a casa. Se Filemone lo ha accolto con amore in obbedienza a Paolo, o se è prevalso in lui il suo diritto di padrone derubato. Forse non sarà stato punito a norma di legge romana, ma quale è stata la sua vita dopo il suo rientro? Ovviamente la domanda non ha senso dato che la lettera non ne parla. A me piace pensare a quello che passava per la mente di Onesimo nel corso delle sue avventure e immaginare la sua vita dopo il rientro. Mi piace immedesimarmi in lui prima della fuga, nelle sue sofferenze del tutto immeritate. Poi mi piace vivere con lui la sua fuga avventurosa e disperata in cui si gioca il tutto per tutto pur di non vivere con profilo cosi basso. Sento di fare il tifo per lui nel momento esaltante della fuga. Dopo la fuga avrebbe potuto pensare a un taglio netto e a una nuova vita inventandosi un nome nuovo e una reputazione tutta da costruire. Avrebbe potuto riprendersi quello che la vita gli aveva ingiustamente negato fino a quel momento. Ma lui ha voluto altro: mettersi alla ricerca di qualcosa o qualcuno che gli consentisse di saldare il nuovo col vecchio, senza mai tornare alla condizione di schiavo, ma in modo che nulla della sua vita andasse perduto. Forse quello che veramente voleva era di non rinnegare nulla della sua storia ma recuperare ogni cosa in un modo nuovo e soddisfacente. Imbattersi nella figura di Paolo deve essere stato risolutivo e fidarsi di lui e tornare indietro, sapendo quello che rischiava, non deve essere stato facile. Onesimo rappresenta una tipologia di uomo molto generale e le sue vicende si adattano bene a quelle di qualunque persona, anche della nostra epoca. Egli anela la libertà ma si sottomette a una legge superiore. Tutti possiamo sentirci un po’ Onesimo. Chi non si è sentito qualche volta schiavo di una vita troppo stretta, del lavoro o del matrimonio? Chi non ha qualche volta trasgredito per alleviare le sue sofferenze o ha covato un sogno di libertà da una società talvolta ingiusta fatta di convenzioni inutili e noiose e detestato l’ipocrisia o l’arroganza dei più furbi? Ma oltre la fuga e la trasgressione egli ha anche fatto esperienze che lo hanno rinnovato e maturato, ha conosciuto Paolo ed è entrato nella problematica di doversi riconciliare con Filemone in una realtà lontana e difficile. Probabilmente tutta questa difficoltà lo ha condotto a essere se stesso e a sentirsi diverso e forse libero anche nella casa dalla quale era fuggito. 

Nicola Sparvieri

La pietra filosofale e Sir Isaac Newton

Isaac Newton è stato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi. Nel 1687 pubblicò i “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica”, in cui descrisse la legge di gravitazione universale che rimase intatta fino alla relatività generale di Einstein. Condivise con Leibniz la paternità dello sviluppo dell’analisi matematica. Fondò tutta la meccanica stabilendo la legge del moto che porta il suo nome. Fece vedere che tutti i corpi materiali si attraggono con la medesima legge sia sulla Terra che nelle orbite celesti. Dopo di lui fu finalmente chiaro che la mela che si stacca da un albero cade sulla terra esattamente come la luna in orbita. Ma forse non tutti sanno che alla morte di Newton, avvenuta nel 1726, tra tutti gli scritti scientifici sui quali lavorava, fu trovata una grande cassa di documenti, scritti di suo pugno, riguardanti la magia e l’interpretazione delle profezie bibliche. Ben presto ci si rese conto che Newton stesso considerava i suoi esperimenti alchemici come più importanti rispetto alla fisica e alla matematica. Appare certo che egli cercasse la pietra filosofale con ossessività per possedere l’immortalità e la ricchezza.

In quell’epoca si pensava che la pietra filosofale fosse costituita dalla quintessenza cioè dall’etere che dava ricchezza, immortalità e conoscenza del futuro e del passato. Questo “triplo potere” della pietra filosofale aveva radici profonde anche nella storia delle religioni essendo legata alla ricerca dell’immortalità, comune a tutte le spiritualità. Questa ricerca non era affatto roba da ciarlatani come potrebbe sembrarci oggi. Anche Tommaso D’Aquino scrisse un trattato su alchimia e pietra filosofale (Tommaso d’Aquino, “L’Alchimia, ovvero Trattato della Pietra Filosofale”, a cura di Paolo Cortesi, Newton, 1996). Newton era esperto delle profezie descritte nel libro dell’Apocalisse e nel libro di Daniele divenendo uno dei più importanti teologi del suo tempo. Inoltre, studiò tutte le documentazioni riguardanti la magia a cominciare dalle civiltà preelleniche, dai Sumeri agli Egiziani, fino ad avere una visione di insieme di tutto quello che era stato scritto prima di lui. Tutto questo avvenne nel più totale segreto e non si seppe mai, se non dopo la sua morte, che seguiva l’arianesimo e che fosse un cultore della magia. Dopo la sua morte, la reazione della comunità scientifica è stata istintivamente quella di un rifiuto, come quella di un sistema immunitario che respinge un corpo estraneo. Questo “lato oscuro” di Newton lascia sbigottiti da un lato ma dall’altro interrogano e affascinano le considerazioni che possono essere tratte sulla simultanea presenza di aspetti così diversi nella mente di un genio come lui. Per l’epoca non esisteva la distinzione netta che noi abbiamo attualmente tra scientifico e non scientifico. Ovvero non era ancora ben formata l’idea che era scienza solo quello che poteva essere indagato col metodo sperimentale di Galileo. Newton nacque nell’anno della sua morte e la scienza era ancora troppo giovane. L’alchimia era una vera e propria disciplina trasversale a tutte le scienze e, in embrione, la mescolanza dei reagenti per ottenere prodotti, erano i primi passi della chimica moderna. In sostanza per l’uomo colto dei tempi di Newton non tutto quello che ricadeva nell’irrazionale e nell’occulto era meritevole di biasimo e di rifiuto. Questa confusione culturale tra scienza e magia era sicuramente presente ai tempi di Newton. Egli, con la sua enorme capacità analitica, ha evidentemente prediletto un approccio razionalistico anche nel campo della fede e della magia. Il fascino che su di lui esercitavano questi due ambiti hanno alla fine consentito che si buttasse a corpo morto in questi studi realizzando un esito molto meno importante di quello che ottenne dallo studio della fisica e della matematica. Probabilmente una sorta di delirio di onnipotenza tipico dei geni ha contribuito a voler intraprendere una attività così dispendiosa in termini di energie mentali. Forse ci verrebbe di dire che noi non saremmo mai caduti nella trappola dell’irrazionale come ha fatto Newton. Ma le cose stanno proprio così? Newton si è sicuramente consumato in buona fede per cercare di comprendere tutto quello che a lui sembrava incomprensibile. Tutto questo lo ha fatto a vantaggio dell’uomo per potergli donare tanto la meccanica celeste quanto la ricchezza e l’immortalità della pietra filosofale. La prima ha raggiunto lo scopo e ci è servita enormemente sia nel comprendere il Mondo che nelle applicazioni. La seconda non ha raggiunto lo scopo ma ci ha sicuramente aiutato a capire che la magia non è scienza e la scienza non è magia.

 Nicola Sparvieri

Fa ancora discutere il riscaldamento globale tra incendi e caldo record

La questione del riscaldamento globale provocato dall’uomo fa ancora discutere in specie con gli incendi e il caldo afoso che registriamo in questo periodo dell’anno. Siamo già in presenza delle conseguenze dell’eccesso dei gas serra emessi dall’uomo in atmosfera o si tratta solo di un ciclico avvicendarsi nei secoli di decenni più caldi? La risposta è che pochi sosterrebbero una normalità ciclica negli anni per queste temperature così alte. Siamo tutti molto impressionati dal caldo eccessivo e dagli incendi che esso provoca.

Eppure nella comunità scientifica i dettagli sull’argomento sono ancora dibattuti. Come in ogni altra questione scientifica nei congressi e negli articoli specialistici ci sono posizioni diverse. Tuttavia le discussioni sono basate su dati sperimentali o modelli matematici. Questi sono, ovviamente, interpretabili ma hanno un valore intersoggettivo. Con ciò si intende che qualsiasi esperimento, ripetuto nelle stesse condizioni sperimentali deve produrre gli stessi risultati. Questi non possono dipendere da chi li fa o dal luogo nel quale vengono fatti. Ovviamente ciò non esclude che anche gli scienziati possano essere influenzati dal loro credo ideologico o politico. Ma con dati misurati alla mano non ci possono essere dubbi sulle conclusioni. L’ IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è un organismo creato dall’Onu specificatamente per studiare e informare sul riscaldamento globale. Lo “Special Report: Global Warming of 1.5 °C” in  conclusione cui si arriva è che esiste una correlazione tra l’aumento della presenza di CO2 dovuta ad attività antropiche e l’aumento del riscaldamento del Pianeta. Sono state riportate nella stampa anche opinioni contrarie alla causa antropica del riscaldamento globale. I professori Zichichi (Fisica superiore dell’Università di Bologna) e Rubbia (Premio Nobel per la Fisica 1984 e senatore a vita) hanno sostenuto che:

“L’inquinamento esiste, è dannoso, e chiama in causa l’operato dell’uomo. Ma attribuire alla responsabilità umana il surriscaldamento globale è un’enormità senza alcun fondamento: puro inquinamento culturale. L’azione dell’uomo incide sul clima per non più del 10%. Al 90% il cambiamento climatico è governato da fenomeni naturali dei quali, ad oggi, gli scienziati non conoscono e non possono conoscere le possibili evoluzioni future”. Zichichi, intervista a Il Giornale 2012.

“Io guardo i fatti. Il fatto è che la temperatura media della Terra, negli ultimi 15 anni, non è aumentata ma diminuita”. Rubbia, resoconto stenografico di un’audizione in Senato, 2014.

Naturalmente esistono moltissimi altri scienziati “scettici” anche a livello internazionale. Tuttavia, bisogna ricordare che, per quanto rispettabili possano essere, rimangono pur sempre una minoranza. Dobbiamo ricordare che il protocollo di Kyoto regolamenta dal 1997 le emissioni dei gas serra ritenuti più dannosi, in particolare CO2, N2O, CH4, esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi. Questo significa che, qualunque sia il dibattito in corso, bisogna in ogni caso limitare le nostre emissioni di tutti i gas serra. Inoltre bisogna interrogarsi sull’uso di fonti alternative ai combustibili fossili se vogliamo continuare a produrre secondo il nostro modello di sviluppo. Il motivo che determina l’emissione di gas serra da parte umana è, fuori di ogni dubbio, la produzione industriale richiesta dalla domanda di consumi.

L’emissione di gas serra deriva principalmente dalla produzione energetica, dai trasporti, dall’industria manifatturiera e dalle attività commerciali. Per realizzare tali attività vengono bruciati combustibili fossili in ogni parte del Pianeta e, di conseguenza, rilasciati in atmosfera i gas serra. Un modello di sviluppo basato unicamente sui consumi senza limiti, non ha criteri di sostenibilità. Se non si arriva a una pianificazione basata sui reali bisogni del consumatore si rischia di generare un circolo vizioso di domanda e offerta che produce sprechi ed emissione ingiustificata di gas serra.

Il modello di sviluppo basato sulla produzione non programmata può produrre beni non consumati che diventano rifiuti e immondizia. Da studi di settore scopriamo che in occidente il 40% del cibo che compriamo non viene consumato ma buttato nell’immondizia. Il 17% della frutta prodotta non viene neanche presentata al supermercato perché “brutta” e considerata invendibile. Il 20% del costo di un qualsiasi prodotto che compriamo è il “packaging” cioè l’involucro con cui è incartato. Esso è frutto di costose ricerche di marketing, e viene immediatamente buttato appena comprato il prodotto! La lista può essere lunga quanto si vuole. Tutti questi prodotti buttati prima di essere consumati hanno generato emissione di gas serra che poteva essere evitata.

Passare da una fase di studio del problema e arrivare a una fase di riduzione delle emissioni di gas serra. Questo è quello che comunque bisogna inserire in tutti gli obiettivi di sostenibilità per qualunque futuro Governo. Per tornare al dibattito sul negazionismo climatico presente anche nella comunità scientifica, si fa riferimento a una battuta attribuita al prof. Fornasa in rete.

A uno studente che gli chiedeva se era il caso di cambiare modo di vivere e di produrre, anche in assenza di evidenza scientifica, il prof rispose: «Ha ragione! Immagini se in futuro, dopo aver introdotto tutte le innovazioni necessarie, quei dati si rivelassero falsi. A quel punto dovremo fare i conti con il fatto di aver creato una società migliore senza motivo!».

Nicola Sparvieri

I nanosatelliti aiutano i paesi emergenti ad accedere ai programmi spaziali

Un nanosatellite e la sua standardizzazione, chiamata CubeSat che prende il nome dalla sua forma a cubo, ha nella sua unità base dimensioni di 10x10x10 cm e una massa di circa 1,3 Kg (come mostrato in figura). Da questa unità base si possono costruire in maniera modulare dei nanosatelliti più grandi da progettare a seconda del tipo di missione che si vuole realizzare. Questa modularità consente di conservare degli standard realizzativi soprattutto per quanto riguarda l’elettronica di bordo. In tal modo, dalla unità di base 1U, si possono avere satelliti più grandi con i vari multipli di U.

L’impressionante aumento di nanosatelliti lanciati è ben rappresentato dal grafico seguente.Si noti che negli ultimi cinque anni la crescita è più che triplicata. In questo senso si può affermare che i nanosatelliti definiscono una nuova era spaziale caratterizzata da un generalizzato accesso allo spazio a causa dei bassi costi e tempi di produzione. Di questa nuova era si parla come di “space democracy”, cioè anche Paesi in via di sviluppo possono accedere allo spazio e a propri programmi spaziali nazionali.

In Africa, ad esempio, c’è un grande fermento di attività nel promuovere e realizzare piccoli satelliti da porre in orbita sviluppati e controllati sul territorio nazionale. L’utilizzo di razzi vettori non è ancora un servizio a basso costo ma è anche vero che il costo di un biglietto per trasportare un nanostellite in orbita è comunque proporzionato al suo peso. Quindi, essendo questi molto leggeri, il costo è comunque contenuto. Questa grande affluenza di nuovi utenti fa parlare di una nuova “space economy”. Basta pensare che l’intera industria spaziale nel 2018 fatturava 340 miliardi di dollari e che si prevede che si possa passare a 642 miliardi nel 2030. I nanosatelliti in particolare potrebbero far subire una grande accelerazione ad applicazioni come l’internet delle cose o IoT (Internet of Things) e cioè applicazioni quali la casa intelligente, la città intelligente ecc. Naturalmente, oltre alle telecomunicazioni appena considerate, tra gli impieghi dei nuovi nanosatelliti c’è il controllo del territorio e delle infrastrutture come ponti, viadotti, dighe, edifici gasdotti e quant’altro. Da considerare, poi, il monitoraggio delle foreste e delle coltivazioni, degli incendi boschivi, il controllo delle acque e di tutti gli eventi catastrofici quali terremoti, frane, esondazioni, tsunami. Queste applicazioni, che vengono chiamate “osservazioni della terra”, ovviamente hanno bisogno di “occhi” in grado di osservare. Cioè di telescopi ottici ad alta definizione e camere termiche infrarosse che possano “vedere” corpi caldi (come gli incendi) anche attraverso le nuvole che invece schermano le osservazioni ottiche nella banda del visibile. Ebbene tutte queste applicazioni sono ora possibili anche utilizzando nanosatelliti. Va comunque sottolineato che queste applicazioni sono possibili solo se si ha un ragionevole “tempo di rivisita”. Cioè il tempo tra un passaggio del satellite sulla verticale del punto interessato e il passaggio successivo. Va da sé che se tale tempo è dell’ordine di 12 ore non ha molto senso monitorare ad esempio un incendio (dato che in 12 ore l’effetto potrebbe essere devastante). Mentre se il tempo fosse di mezz’ora o meno, il controllo sarebbe soddisfacente. Ma per avere dei piccoli tempi di rivisita è necessario che il satellite non sia uno soltanto ma che si possa disporre di una costellazione di satelliti, per esempio 40 o più. La costellazione avrebbe ogni satellite comunicante con gli altri e appartenente a un’orbita calcolata in modo che si possa ricoprire l’area terrestre interessata con un tempo di rivisita stabilito.Tutti questi discorsi che sono sicuramente interessanti e affascinanti hanno però qualche controindicazione che è bene non trascurare. Bisogna infatti considerare che dall’inizio dell’era spaziale, cioè dal secondo dopoguerra, la cosiddetta orbita LEO (Low Earth Orbit) cioè quella più vicina alla terra e che ospita tutte le applicazioni citate, comincia a essere piena zeppa di materiali che non sono più satelliti funzionanti. Si tratta di residuati di satelliti giunti a fine vita. Ma anche di stadi di razzi utilizzati per il lancio di satelliti, frammenti di satelliti non più utilizzati, polveri e materiale vario che continua a orbitare intorno alla Terra. Tutto questo materiale lo possiamo definire “spazzatura spaziale” costituita da circa 35.000 oggetti spaziali rilevabili con dimensioni maggiori di 10 cm e con una massa totale di circa 8.500 tonnellate. Concludendo si noti che, nelle straordinarie possibilità che offrono le costellazioni di nanosatelliti, non bisogna trascurare che anche lo spazio fa parte del contesto di “ambiente” per l’uomo. Di conseguenza si deve tutelare e conservarne la fruibilità di quanti verranno dopo di noi. È necessario, quindi, progettare anche un sistema di abbandono dell’orbita a fine vita. Ciò, per favorire un rientro in atmosfera e una completa distruzione anche se questo può aumentare un po’ i costi di produzione.

Nicola Sparvieri

Terremoti come castigo divino. Esiste un confine tra i devoti e i ciarlatani?

Circa cinque anni fa Radio Maria suscitò molta polemica definendo “castigo di Dio” il terremoto dell’Italia centrale da poco avvenuto che interessava principalmente Norcia, Preci e Castelsantangelo sul Nera e i comuni di Amatrice e Arquata del Tronto, provocando complessivamente circa 300 vittime.

Il 30 ottobre 2016, il giorno dopo la più̀ devastante delle scosse di quel periodo, il domenicano Padre Giovanni Cavalcoli, docente emerito di Teologia Dogmatica nella Facoltà̀ Teologica dell’Emilia-Romagna, conducendo una trasmissione su Radio Maria disse: “Questi disastri sono conseguenza del peccato originale, si possono considerare come un castigo divino. Si ha l’impressione che le offese che si recano alla legge divina, pensate alla dignità̀ della famiglia, del matrimonio, alla stessa dignità̀ dell’unione sessuale, siano proprio…chiamiamolo… castigo divino, ma inteso come un richiamo per ritrovare i principi della legge naturale”.

Egli metteva quindi in relazione l’approvazione della Legge Cirinnà sulle unioni civili e convivenze ex legem, in vigore dal 5 giugno dello stesso anno (che prevedevano anche le unioni di fatto tra omosessuali) con il terremoto. L’interpretazione teologica era quella di un “castigo” o un “richiamo” di Dio a ritrovare i principi della legge naturale.

Successivamente il Vaticano intervenne per bocca di monsignor Angelo Becciu, sostituto alla Segreteria di Stato con la seguente nota: “Sono affermazioni offensive per i credenti e scandalose per chi non crede, datate al periodo precristiano e non rispondono alla teologia della Chiesa perché́ contrarie alla visione di Dio offertaci da Cristo che ci ha rivelato il volto di Dio amore non di un Dio capriccioso e vendicativo. Questa è una visione pagana, non cristiana. Chi evoca il castigo divino ai microfoni di Radio Maria offende lo stesso nome della Madonna che dai credenti è vista come la madre misericordiosa che si china sui figli piangenti e terge le loro lacrime soprattutto in momenti terribili come quelli del terremoto. Radio Maria deve correggere i toni del suo linguaggio e conformarsi di più̀ al vangelo e al messaggio della misericordia e della solidarietà̀ propugnato con passione da Papa Francesco specie nell’anno giubilare. Non possiamo non chiedere perdono ai nostri fratelli colpiti dalla tragedia del terremoto per essere stati additati come vittime dell’ira di Dio. Sappiano invece che hanno la simpatia, la solidarietà̀ e il sostegno del Papa, della Chiesa, e di chi ha un briciolo di cuore“.

Radio Maria ha successivamente precisato che le espressioni riportate sono di un conduttore esterno e non rispecchiano il pensiero dell’emittente al riguardo e ha sospeso con effetto immediato le trasmissioni del Padre domenicano. A sua volta, padre Giovanni Cavalcoli, invece, non si è scusato per le frasi sul terremoto da lui dette a Radio Maria il 30 ottobre ed ha invece affermato: “Confermo tutto, i terremoti sono provocati dai peccati dell’uomo come le unioni civili. In Vaticano si ripassino il catechismo“.

L’episodio che ho riportato è solo un pretesto per poter introdurre il concetto di autonomia della materia e del creato rispetto al creatore. In definitiva il problema è perché esiste il male se Dio è buono? Questo problema chiamato teodicea è il sasso di inciampo di generazioni di persone che quasi sempre restano con la domanda senza una risposta che li soddisfi veramente.

Il punto è: secondo la teologia cristiana quale ruolo Dio ha nella dinamica del mondo e delle nostre scelte? Le risposte a questa domanda possono portare, da una parte, a una visione neopagana e devozionale (“raccomandarsi” a Dio facendo sacrifici) o neopanteista (in cui Dio è in tutte le cose che ci circondano). Oppure considerare che la natura e la materia hanno autonomia propria e seguono le leggi della fisica e Dio non ha nulla a che vedere con questo e la definizione di male è solamente strumentale alla sofferenza ma non ha valore assoluto.

In fondo alla questione è il concetto di libertà. Non si può̀, infatti, dare la libertà a qualcuno se da questa non possa seguire anche la scelta di ciò̀ che è definito male come parte di tutte le opzioni possibili. Se Dio avesse creato l’uomo impedendogli di scegliere il male gli avrebbe negato la sua più̀ grande dignità̀ che è la sua libertà di scegliere.

La grande sfida che tutti abbiamo è quella di portare l’uomo liberamente e senza alcuna costrizione a scegliere il bene. Se tutti facessero così non ci sarebbero più̀ le ingiustizie, la povertà̀, l’inquinamento e le guerre. Anche il miglior sistema politico possibile ha il problema di impedire che l’uomo agisca male: esso può farlo con incentivazioni o punizioni sia in democrazia che in dittatura.

Tutto il male che l’uomo può̀ compiere, in coscienza e consenso, come ad esempio violenza, ingiustizia, guerre, ignoranza dipende solo dalla sua libera scelta e ne è lui responsabile e sicuramente non Dio. È vero che Dio suscita “il volere e l’operare” (Fil 2, 13) ma alla fine è sempre l’uomo che sceglie.

E che cosa possiamo dire per gli oggetti della natura, cioè̀ la materia e tutto il resto, compresi terremoti, inondazioni, frane e altri disastri? Da un punto di vista più̀ generale la questione è questa: esiste autonomia fra l’essere di Dio e l’essere che non è Dio e cioè̀ la creazione (il mondo fisico, animato e inanimato, e l’uomo)? Se l’Assoluto esaurisce tutta la realtà̀ nella pienezza del suo essere e delle sue perfezioni, qual è allora il senso di qualcosa che sia diverso da Lui?

La domanda ricorda quanto espresso da Leibniz e da Heidegger che chiedevano: “perché́ esiste qualcosa invece che il nulla?”, cioè̀: “perché́ esiste qualcosa che non sia Dio?”. Il tema dell’autonomia compare già̀ ogni volta che ci chiediamo: cosa viene posto da Dio fuori di Dio?

Fenomenologicamente, nel concetto di “male” possiamo inserire sia le catastrofi naturali (tsunami, terremoti, eruzioni vulcaniche, inondazioni), che le patologie degli esseri viventi (malattie, handicap, incidenti, morte), le deficienze morali (peccato, vizio, tentazioni), i disordini sociali (ingiustizia, violenza, oppressione, guerra), le carenze e le deviazioni del pensiero (ignoranza, errore). Quindi appare che il concetto di male è da interpretare come “male per l’uomo” e non esiste dunque un concetto di “male assoluto”. Infatti, quando, ad esempio, la peste provocava morti a centinaia nelle epidemie essa veniva considerata un male. E dopo, a seguito dei progressi della medicina, probabilmente ora verrebbe classificata alla stregua di un raffreddore e dunque non più̀ parte di quella lista. Cosa è dunque male, una categoria di cose o la nostra ignoranza a poter risolvere problemi?

Ma se la materia del creato gode di autonomia, perché́ la degenerazione cancerosa dei tessuti deve essere considerata male? O la tensione che si accumula al confine di zolle tettoniche che provoca fratture e quindi terremoti, deve essere considerata male? Cosa c’entra Dio con tutto questo? E con una pallina che cade a terra? E con il decadimento di un nucleo di uranio?

E ancora: può̀ avere a che fare con Dio se siamo investiti da un autista ubriaco o piuttosto il punto è che quando ci si ubriaca non bisogna guidare? Dio agisce nelle sue creature suscitando il volere e l’operare ma lasciando libere le creature di scegliere in totale autonomia.

Mi è capitato di assistere per decine di volte a discorsi su come Dio mandi tumori o decessi di familiari per poter convincere le persone alla necessità di convertirsi e di avvicinarsi a lui. La questione non ha lo stesso contenuto dell’intervento di Padre Cavalcoli a Radio Maria? Perché la spiritualità deve essere legata al devozionismo al limite della magia e non può appartenere a un approccio teologico-critico?

Nicola Sparvieri

Le critiche alla Chiesa e la nascita del clericalismo

Le opinioni in contrasto con la Chiesa Cattolica sono da sempre nutrite e variegate. Bisogna dire che sono sempre giustificabili, almeno in qualche aspetto o sfumatura. Tra le più frequenti ci sono quelle che si ispirano alla storia come le crociate o l’inquisizione e le forme persecutorie nei confronti della scienza moderna nel suo nascere. Naturalmente spesso queste critiche sono fatte con la sensibilità che abbiamo noi oggi e quindi potrebbero essere astoriche, ma tralasciamo adesso questo aspetto. Tra le critiche più vicine ai nostri tempi troviamo problemi legati all’ingerenza sulla vita pubblica, agli interessi economici del Vaticano, alla morale sessuale. Poi possiamo citare la paternità responsabile e la difesa della vita, la procreazione assistita, l’aborto e l’eutanasia e disciplina sul matrimonio indissolubile ed eterosessuale. Infine, il problema della pedofilia.

Non è motivo di conforto sapere che, secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di pedofilia non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili. In ogni caso, non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico della chiesa.

Dunque, nell’immaginario collettivo, la chiesa si è ridotta a un semplice agglomerato di persone celibi e frustrate sessualmente, spesso corrotte che gestiscono un potere residuo cui rimangono attaccate con le unghie e con i denti.

Questa critica dovrebbe essere analizzata e capita se in essa si ravvisano anche tracce di verità. Tuttavia, la chiesa è anche uno scrigno di tesori e di messaggi di salvezza per l’uomo di oggi da conoscere e apprezzare nonostante chi, in essa, somiglia sempre di più a un funzionario di partito e sempre meno a una persona cui guardare come modello di pienezza e realizzazione umana.

Che cosa è successo storicamente? Quando e perché la chiesa ha mutato i suoi contenuti e metodologie e ha fatto nascere il clero come casta manageriale delle cose spirituali?

Le cause ultime vanno ricercate in un periodo spartiacque tra la chiesa primitiva dei primi tre secoli e la chiesa dopo l’editto di Tessalonica del 380. Per una serie di motivi storici ed economici la chiesa ha abbandonato un cristianesimo basato sull’annuncio apostolico che ha formato spontaneamente le prime comunità cristiane. Esse erano principalmente chiese domestiche perseguitate dal potere politico cui opponevano, fedele agli insegnamenti di Gesù sull’argomento, un’opposizione pacifica e silenziosa.

Tutto questo ebbe termine quando l’Imperatore Teodosio con l’editto di Tessalonica proclamava il cristianesimo religione di stato dell’ impero romano. In tal modo Teodosio portò molto oltre l’editto di Costantino del 313 che equiparava la religione cristiana alle altre religioni esistenti nell’Impero. Egli, quindi, trasformò l’appartenenza alla religione cristiana in un obbligo di stato per poter accedere alle magistrature e agli incarichi dell’esercito. Iniziò inoltre anche una metodica opera di distruzione dell’antica religione politeista romana: in questo modo il cristianesimo è stato trasformato dall’Imperatore Teodosio da una religione che propugnava un regno di Dio alternativo ai poteri temporali in una religione-cultura di stato.

Il vescovo dei fedeli di Roma divenne il nuovo Pontefice Massimo, la carica affidata fino ad allora al vertice della religione politeista prona ai voleri politici dell’imperatore di turno.

L’editto di Tessalonica è, dunque, uno spartiacque fondamentale per comprende la storia cristiana. Si assiste in questo periodo al nascere di una nuova casta sacerdotale, chiamata a gestire un nuovo e immenso potere temporale, che presto abbandonerà le famiglie (dove il “pater familias” era anche il sacerdote della chiesa domestica). Si cominciano a realizzare grandi cattedrali per il culto sui grandi templi pagani. Si forma quindi un clero organizzato e gerarchizzato in cui il celibato sacerdotale (fino ad allora non presente) assicurava da un lato la totale disponibilità al servizio e dall’altra di evitare la dispersione dei beni della chiesa con le eventuali dispute sull’eredità dei beni parrocchiali con i figli dei sacerdoti.

Dopo l’editto di Tessalonica, battezzarsi diventa un obbligo sociale e politico, necessario per rimanere all’interno della politica dell’Impero. Per battezzarsi non è più necessario credere realmente agli insegnamenti della dottrina né entrare in un catecumenato. Non ci si battezza per entrare in un Regno di Dio diverso dai regni umani, ma ci si battezza, al contrario, per poter fare carriera nelle magistrature o nell’esercito dell’Impero.

L’eredità drammatica dell’editto di Tessalonica è un immenso oceano di battezzati in forza di legge e la premessa per il potere temporale dei Papi, che si concretizzerà dopo il crollo dell’Impero d’Occidente.

Con i secoli, il clericalismo pervaderà tutta la società e si creerà, in nome di Dio, una struttura sociale sottomessa agli interessi del clero e della nobiltà a danno dei laici e dei poveri: in tutti questi secoli i santi, a partire da San Benedetto da Norcia, ricostruiranno ogni volta la chiesa richiamando l’originaria volontà primitiva, fino ai giorni nostri.

Dopo la caduta dell’Impero di occidente e l’avvento del cosiddetto medio evo si è assistito a una serie di eventi imperniati tutti sulle necessità, diretta o indiretta, di gestire, oltre al “depositum fidei”, anche un potere politico ed economico.

Il celibato sacerdotale, non come libera scelta, ha origine in questo periodo (con papa Gregorio VII). Da quel momento in poi nella chiesa latina vengono ordinati presbiteri solo uomini non sposati, mentre i diaconi e i sacerdoti di rito orientale possono aver ricevuto il sacramento del matrimonio prima del sacramento dell’ordine sacro.

Da un punto di vista pratico direi che da un lato è importante la formazione dei cristiani in generale, quindi il battesimo. Ma anche nella preparazione al sacerdozio e al matrimonio. Spesso assistiamo sia a sacerdoti con carisma scarso e debole ma molto più spesso a matrimoni senza contenuti che sempre più di frequente sono costretti a crolli accompagnati da grandi sofferenze. Non si possono improvvisare scelte così importanti e vitali con moralismi appiccicati di vuote formulette che producono distruzioni e crolli quando si confrontano con la vita vissuta.

Il problema fondamentale della chiesa oggi è dunque questo: come poter conciliare la gestione di una struttura politica ed economica con la necessità di dover assicurare a ogni uomo il diritto di ricevere la buona notizia? È nel dialogo con Pilato, avvenuto in greco, che Gesù detta una dottrina politica propria che sembra faticare ad essere compresa dal pensiero politico cristiano dopo Tessalonica. Per un commento di questo vedi Benedetto XVI nel terzo punto del settimo capitolo del secondo tomo di “Gesù di Nazareth”, intitolato “Il processo a Gesù” cui senz’altro rimando.

Nicola Sparvieri

Detriti e rottami in orbita, immondizia anche nello spazio

Oltre all’incubo sempre più pressante di smaltire la spazzatura che produciamo nella nostra vita ordinaria (circa 500 kg a persona per anno in Italia) ora abbiamo anche generato spazzatura nello spazio e cominciamo ad avere seri problemi di gestione anche lì.

Ovviamente non stiamo parlando di spazzatura cui siamo abituati sulla Terra e cioè in termini di divisioni in plastica, umido, vetro o residui metallici, ma parliamo di detriti abbandonati in orbita. Sono stadi di razzi utilizzati per il lancio di satelliti, frammenti di satelliti non più utilizzati, polveri e materiale vario che continua ad orbitare intorno alla Terra.

Alcuni si trovano in orbita bassa, chiamata LEO (Low Hearth Orbit cioè dai 160 Km che sono i limiti dell’atmosfera ai 2.000 Km delle fasce di Van Allen), e quindi molto vicini alla Terra. Alcuni di questi frammenti prima o poi riusciranno ad attraversare l’atmosfera terrestre e a ricadere verso la Terra autodistruggendosi nel contatto con l’atmosfera. Altri invece sono in orbite più elevate (dai 2.000 Km a oltre i 35.786 Km delle orbite geostazionarie) e quindi troppo lontani per rientrare sulla Terra e sono destinati a rimanere in orbita anche per secoli.

Ad oggi la americana US Space Surveillance Network (SSN), che è la più importante sorgente di informazioni sulla situazione spaziale, afferma che sono presenti circa 35.000 oggetti spaziali rivelabili con dimensioni maggiori di 10 cm e con una massa totale di circa 8.500 Tonnellate.

Per gli oggetti più piccoli e cioè di dimensioni comprese tra 1 cm e 10 cm bisogna aggiungere altri 875.000 oggetti con una massa di circa 100 Kg complessivi.

In sostanza possiamo dire che ci sono, nelle varie orbite terrestri, 910.000 oggetti di massa complessiva pari a 8.600 Tonnellate!

Se venissero considerati anche gli oggetti di dimensioni piccolissime e cioè maggiori o uguali a 1 mm l’ESA (European Space Agency) stima una presenza di 130 milioni di oggetti di massa complessiva pari a 8.610 Tonnellate.

Ovviamente tutti questi dati sono relativi a oggi ma le attività spaziali sono in pieno sviluppo, specialmente per quello che riguarda l’utilizzo di orbite basse che sono quelle che ospitano tutti quei satelliti che guardano alla Terra per telerilevamento spaziale utilizzando costellazioni di satelliti già programmati per il lancio nei prossimi anni.

Tutta questa situazione potrebbe provocare uno scenario nel quale il volume di detriti spaziali che si trovano in orbita diventa così elevato che le collisioni degli oggetti potrebbe diventare così frequente da creare una reazione a catena nella quale vengono generati altri detriti i quali a loro volta genererebbero altre collisioni e cosi via. Questo scenario è chiamato la sindrome di Kessler dal consulente NASA Donald J. Kessler che dal 1978 ci metteva in guardia su questi problemi.

Ma anche senza considerare la sindrome di Kessler potremmo considerare gli effetti che potrebbe avere la collisione di un frammento proveniente da un detrito di “spazzatura senza valore” su un costosissimo sistema spaziale operante e funzionante e presente sulla stessa orbita.

Per capire la natura del problema bisogna considerare che nelle orbite terrestri basse il tempo impiegato da un detrito per fare un giro completo intorno alla Terra è di circa 90 minuti e questo corrisponde ad avere una velocità di circa 27.400 Km/h. In queste condizioni anche un semplice bullone di acciaio di 1 cm quando impatta provoca un danno paragonabile a quello di una bomba a mano contenente circa 64 grammi di tritolo.

Un oggetto di 10 cm può causare l’interruzione catastrofica di missioni satellitari provocando cambiamenti sostanziali nelle orbite di appartenenza o esplosioni con le batterie o i propellenti contenuti.

Il punto importante è che i detriti inferiori ai 10 cm non sono rivelabili dai radar terrestri e quindi non sono intercettabili. Tutte le azioni di mitigazione del rischio di impatto tra un detrito e un sistema spaziale funzionante possono aver luogo solo per detriti “grandi”. Il rischio può essere tale, non solo per il funzionamento del satellite stesso, ma anche per gli eventuali astronauti che lo abitano.

Inoltre esiste anche un rischio derivante dai detriti che spontaneamente fanno rientro in atmosfera e che, per loro dimensione, possono costituire un pericolo per aerei civili o militari. I casi osservati sono tuttavia trascurabili ma potrebbero aumentare con il moltiplicarsi in futuro del numero dei detriti e delle loro dimensioni e masse.

Cosa si può fare? Gli interventi possono essere divisi in due categorie principali:

La prima consiste nel gestire al meglio la situazione presente cercando di eliminare in qualche modo i detriti esistenti.

La seconda consiste nel progettare un corretto modo di inviare sistemi spaziali nel futuro che prevedano un sistema di deorbiting cioè di perdita di quota rientrando in atmosfera e distruzione.

Certamente non è nuovo per l’uomo doversi confrontare con un errore commesso ai danni dell’ambiente. Forse può sembrarci strano ma nel contesto di “ambiente” è presente anche lo spazio nel quale la presenza antropica sarà sempre più intensa nel futuro.

Al pari di altri contesti nei quali non si riesce ad avere una pianificazione accettabile come ad esempio il cambiamento climatico, lo sfruttamento eccessivo dei combustibili fossili, il disboscamento selvaggio, l’uso di fertilizzanti chimici, la migrazione incontrollata delle popolazioni, l’abbandono delle campagne ecc; anche nel campo dei detriti spaziali ci dobbiamo confrontare con la nostra mancanza di pianificazione e di controllo.

Nicola Sparvieri

L’incubo della catastrofe per sovrappopolazione

Una popolazione che cresce in modo indefinito finirà prima o poi per esaurire le risorse e gli spazi vitali a sua disposizione. La specie umana nel corso della sua storia ha dovuto compensare, come tutte le altre specie presenti sul pianeta, il basso tasso di aspettativa di vita con uno sforzo verso una natalità illimitata. L’incredibile sviluppo della specie umana sulle altre specie e il collegato danno ambientale dovuto all’inquinamento del pianeta producono in tutti noi un’ansia latente.

La fantascienza racconta storie che vengono ambientate in un futuro immaginato. Uno dei più famosi autori di racconti di fantascienza, il biologo Isaac Asimov, nel 1979 scrisse un libro dal titolo “A Choiche of Catastrophes” (Catastrofi a Scelta, ed. Mondadori). Il libro è un’analisi di tutte le possibili apocalissi che incomberebbero sul pianeta Terra. Alla fine del libro Asimov ne focalizza una in particolare: la crescita della popolazione. Questo timore si ricollega alle teorie del Pastore della Chiesa Anglicana Thomas Malthus che pubblicò nel 1798 il celebre ” Saggio sul principio della popolazione” in cui sostenne che la popolazione tenderebbe a crescere più velocemente della disponibilità di alimenti. La ovvia conclusione dell’analisi è che una popolazione che cresce non può in alcun modo continuare a farlo in modo indefinito e finirà prima o poi per esaurire risorse e spazi vitali.

La teoria demografica di Malthus ispirò vari intellettuali e originò la corrente del malthusianesimo che sostiene il ricorso al controllo delle nascite per impedire l’impoverimento dell’umanità. Le sue idee furono riprese intorno al 1920 da Margaret Sanger (negli USA) che fondò la Planned Parenthood e più tardi divenne presidente della IPPF (International Planned Parenthood Federation). La Sanger fu anche la fondatrice del movimento “Sessualità libera” e ricoprì il ruolo di principale finanziatore nella ricerca sulle “Pillole Abortive”. Negli anni ’30 la famiglia Rockefeller comincia a finanziare la causa di Margaret Sanger, utilizzando il suo metodo di controllo delle nascite come soluzione alla crisi di quel tempo. Per l’America di quel tempo, infatti, la contraccezione, l’aborto e la sterilizzazione erano la risposta al fatto che al mondo circa un miliardo di persone viveva nella povertà. Nel 1957 fu pubblicato un trattato dal titolo “Popolazione: un dilemma internazionale”, il quale denunciava la crescita demografica come la più grande minaccia alla stabilità politica negli Stati Uniti e all’estero, nonché al progresso economico del paese. Nel 1966 il controllo della popolazione era parte integrante della politica estera statunitense. Il bilancio chiamato Food for Freedom identificò nell’esplosione demografica mondiale, in particolare in quella del terzo mondo, uno dei motivi della fame nel mondo, e decise che le donazioni destinate agli aiuti alimentari fossero investite nell’ambito dei programmi di pianificazione familiare nel terzo mondo. In tempi più recenti, nel 1972, il binomio malthusianesimo-ambientalismo emerge esplicitamente quando viene pubblicato “Il Rapporto sui limiti dello sviluppo”, commissionato al MIT dal Club di Roma. Il rapporto, basato su una simulazione al computer, prediceva le conseguenze della continua crescita della popolazione sull’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana.

Questa tendenza a reagire all’incontrollato boom demografico è stata, in buona parte, fisiologica. Queste prime reazioni si possono catalogare come reazioni “a caldo”. Ma col passare del tempo negli USA cominciò a diffondersi un progetto di pianificazione familiare ideato da Frederick Jaffe, (presidente del Guttmacher Institute dal 1968 al 1978). Egli fu vicepresidente anche della International Planned Parenthood Federation, e mise a punto per conto di queste istituzioni un memorandum di proposte per ridurre la fertilità umana. Queste proposte, attraverso Bernard Berelson presidente della Population Council, diventeranno oggetto di analisi anche da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prevedendo in tal modo di limitare a livello sociale la fertilità mediante alcuni strumenti di azione. Le proposte sono suddivise in tre parti, una prima parte ad “impatto universale” basate su una destrutturazione della famiglia, una sorta di ingegneria sociale atta a scardinare la propensione alla natalità. La seconda parte ad “impatto selettivo” avrebbe dovuto agire in funzione della condizione economica (deterrenti economici) con un meccanismo che consente maggiore natalità ai ricchi. La terza parte si focalizza su “controllo sociale” attraverso estensione dei metodi di contraccezione ed aborto. Si può notare che, dal 1969 ad oggi molte di queste misure sono state introdotte nella legislazione di molti paesi sviluppati.

Questa tendenza pienamente presente e operante a livello globale che chiamerei neomalthusiana vuole incidere sui governi da un lato e sulla cultura e le usanze globali dall’altro, introducendo nuovi valori morali. Ad esempio, vi sono correnti molto forti sia nell’ONU (ed anche nella UE) con una visione anti natalità molto accentuata. Dietro i cosiddetti diritti riproduttivi si cela, nell’accezione dell’Onu, più che altro, i diritti a non riprodursi. Vi sono anche esempi di manipolazione linguistica adottati in ambito Onu. Per esempio: il “materiale per il pronto soccorso ostetrico”, su cui l’Unpfa (il Fondo ONU per la Popolazione) investe ingenti fondi, maschera i kit abortivi; il termine gender – “genere” – sostituisce “sesso”, per cancellare ogni dimensione procreativa; similmente, “genitorialità” sostituisce “maternità” e “paternità”; ecc.

Altre due costrizioni sociali ad impatto universale del memorandum di Jaffe, sono quelle che suggeriscono l’alterazione dell’immagine tradizionale della famiglia, “l’istruzione obbligatoria dei bambini” e “l’incoraggiamento ad una maggiore omosessualità”. Queste due costrizioni sociali riaffiorano oggi prepotentemente ben amalgamate nell’ideologia gender. Detto memorandum riteneva che qualsiasi forma di sessualità fra adulti, non dannosa e senza procreazione, alla luce del problema del controllo delle nascite, dovesse essere considerata un “diritto morale” dell’uomo.

Per alcuni, tutto ciò non sarebbe un problema serio, in quanto viene ritenuto non essere possibile modificare la natura di un individuo obbligandolo a perseguire comportamenti sessuali che non desidera. Il punto è che l’obiettivo del metodo Jaffe è quello di agire sull’educazione sessuale dei giovani in modo da indurli ad uno stile di vita che riduca o rimuova la propensione alla natalità una volta diventati adulti. Questo, come potrebbe dimostrare qualunque pedagogista o psicologo dell’età evolutiva è estremamente facile, basta infatti orientare il bambino, che per sua natura è caratterizzato da mancanza di autocontrollo, facilità di indottrinamento e maggiore incoscienza, a fare esperienze che alterino la sua idea della sessualità dissociandola dal concepimento.

Ma quali sono stati fino ad ora i risultati di questa politica globale di lotta alla natalità con ogni mezzo?

Le proiezioni dell’ ONU ci consegnano per il 2050 una Terra con poco più di 9 miliardi di persone, in cui cresce la percentuale di popolazione africana (+8,4% rispetto al 2000) e si contrae ulteriormente la percentuale della popolazione europea (solo il 7,6% della popolazione mondiale, – 4,3% rispetto al 2000). Queste proiezioni evidenziano una diminuzione della fertilità passando dall’attuale livello mondiale di 2,5 bambini per donna a 2,1. Infatti, il dato certo è che al crescere dello sviluppo economico diminuisce il tasso di fertilità, ovvero il numero di figli per donna il cui valore minimo deve essere 2.1 per assicurare il ricambio generazionale. L’incremento dei paesi sviluppati è fittizio in quanto deriva esclusivamente dai flussi migratori.

La conclusione di questa politica è che i paesi più sviluppati hanno ormai un tasso di crescita negativo ed inferiore a quello necessario al ricambio generazionale (2.1) e riescono a colmare tale lacuna solo attraverso i movimenti migratori da altri paesi. Paradossalmente in alcuni paesi il problema che si presenta attualmente non è più limitare la crescita della popolazione, ma come impedirne l’estinzione e gestire il crescente numero di anziani. È in questo contesto che spingere su Eutanasia e Suicidi Assistiti trova la sua ragione d’essere. Le nazioni che si trovano a ridosso di questa fase demografica negativa sono quelle nazioni in Europa e USA che verso la fine degli anni 60 hanno portato avanti una programmazione anti natalità investendo ingenti risorse finanziarie nella messa a punto di sostanze contraccettive ed abortive.

Aumentare il livello di vita dei paesi più poveri è il mezzo più naturale di equilibrare il tasso di crescita. La risposta non sembra dunque nelle campagne di denatalità imposte dall’alto o in strategie di ingegneria sociale ma in una distribuzione della ricchezza e delle risorse che lasci all’uomo ed alla donna quella libertà e responsabilità personale di procreare che la natura gli ha concesso.

Se si riequilibrasse la ricchezza di cui il nostro pianeta è dotato, e che appartiene a tutti, si arriverebbe al controllo demografico partendo dalla responsabilità di ciascuno, e si raggiungerebbe la regolamentazione dei flussi migratori in modo naturale e autodeterminato.

Nicola Sparvieri

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