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E la chiamano Unione

Uno sguardo all’Europa attuale

 

L’apparente benessere dopo il dissesto lento dell’Impero Romano, smembrato ma già corrotto dall’ingresso nelle fila del potere di mercenari e di gruppi di genti incivili, fece ignorare a molti capi l’estrema debolezza delle parti di territori a loro affidate, che di fatto prepararono pseudostati in lizza o perlomeno in freddo con i confinanti e con gli altri tutti. Da qui, qualche tiranno o re costituì una zona a suo unico governo e consumo. E fu un nuovo mondo che di romano non aveva che il contadino o il guerriero.

Guerrieri che spesso avevano così bene assimilato la romanità, fatta di legge, di disciplina, di amore per la terra, da fermare pericolosi soggetti come Attila ed allontanare l’indifferenza astuta e distruttiva delle zone orientali di ciò che rimaneva dell’impero.

In Occidente prese la ribalta il Centroeuropa, che non smise di voler ricostituire il grande e splendente impero, conteso da un Papato che di fatto proseguì il peggio del peggio degli imperatori, ed appesantito da un sud sempre più nelle mani di pirati e saccheggiatori. Il senso del Sacro Romano Impero è questo, ma di fragile consistenza per quella bruttissima piaga che si chiama avidità di potere: dai figli di Carlo Magno si cominciò a vedere quanto l’unione europea fosse una facciata, marcita all’interno dall’ansia di possesso di re francesi e capi germanofoni, con la ragione di asservire, compresa l’importanza di questo, il popolo legatissimo alla realtà culturale e spirituale della vita. Non era Cristianesimo, assolutamente no: la Fede antica perdurava, e ci vollero secoli di paure, minacce, terrori di torture e di inferni per costringere a seguire quel politico sottogoverno di ogni stato che si chiama confessionale, nella fattispecie cattolicesimo, ideato per portare a avanti un sogno blasfemo: il governo universale degli Eletti.

Consci dell’importanza di un credo sentito dalle genti, l’Europa combattè per conquistare Roma che deteneva l’ordine spirituale, al fine di ottenere il potere su tutte e governare il mondo.

Il Papa, tanto, saliva sempre sul carro del vincitore e lo usava, per mantenere il potere suo mediante ciò che Heine e Marx dicevano “oppio dei popoli“. Avevano però, tutti, sottovalutato il carattere nazionale dei romani o protoitaliani al di là del loro dissesto e dei difetti: la bravura, la molteplice creatività, insomma, il Genio. Mediante questo l’Italia spengeva tutti col suo fulgore, e, se il carattere Germanico ne divenne partecipe, con i suoi Geni, quello Gallo annegava nell’acido dell’invidia e volle contrastare questo ex grande Impero ridotto ad un vecchio e sconquassato Stivale: fino ai Normanni convinsero le anime “blandule” e tremule di Papi a lasciare loro mano libera in Italia, poi aiutarono un Filippo il Bello a tradurre  pessimamente Roma in Avignone, ed in seguito contrastarono sempre e comunque ogni forza, ogni bellezza italiana che, come la loro piatta musica monotona come un lamento di servi infernali, li relegava nell’ombra. I francesi hanno sempre e comunque odiato l’Italia più d’ogni altra Nazione al mondo, perchè non ce la fanno ad eguagliare la grandezza di questa: la Grandeur loro non è che pallida prepotenza, beffarda anche, se perpetrata da un italiano rivestito da Egalité et similia, come Napoleone, che, oltre ai saccheggi, fu il primo artefice “manu militari” di un’Unione Europea.

Il paradosso è che anche i migliori dei tempi vari francesi furono italiani: Mazzarino, La Grangia, Caterina de’Medici che fu francese solo per matrimonio e che disse loro, fra l’altro, di non mangiare più con le mani, e sfogliando la storia se ne trovano infiniti altri, o anche nel campo della scienza e perfino dello sport, viene in mente Platini.

L’egocentrismo francese ha creato per contro guasti e dolori inenarrabili: colonialismo , invasioni, lanzichenecchi, per finire a Poincaré uno dei responsabili del sorgere del Nazismo, ed a Sarkozy per la politica sconsiderata circa gli stati nordafricani , ai danni di tutta Europa, e fomentatrice del terrorismo. E adesso arriva un giovane ducetto, che non riesce a capire che l’Italia non è il suo scendiletto, ma la Porta di tutta Europa, ammalato anche lui di livoroso complesso d’inferiorità.

Strillate pure, francesi: “Italie” delenda est? E’ solo il verso di gallina di chi è impotente a fare un buon governo, basato sull’intesa, il rispetto, e l’onorevolissimo senso del proprio limite.

Marilù Giannone