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“FAME USURPATE” la Napoli nobilissima e i suoi uomini: Vittorio Imbriani

Raffaele Panico

Nel 1968 Gianfranco Contini, filologo e critico letterario, accademico e storico della letteratura italiana e importante partigiano negli anni della tragedia dell’ultima guerra, scriveva: “L’ora dell’Imbriani non sembra essere ancora giunta […] bisognerà rivalutare la sua posizione culturale” (Letteratura dell’Italia unita 1861-1968, Firenze, Sansoni, 1968 prima edizione). Per lo studioso della storia napoletana dell’Ottocento e del Mezzogiorno è necessario passare attraverso la raccolta di libri, saggi, opuscoli, pubblicistica e la stampa. Pensiamo alle edizioni del “Giornale Napoletano di Filosofia e Lettere”, diretto da B.Spaventa, F.Fiorentino e V.Imbriani, e a tutto quel materiale prodotto, raccolto e lasciato da Vittorio Imbriani e dal fratello Matteo Renato Imbriani. Siamo avidi di conoscere la storia vera dell’Italia! Da quel fondo Benedetto Croce fece una cernita che pubblicò in Studi letterari e bizzarrie satiriche (Bari 1907).

Studioso della poesia popolare, Vittorio Imbriani soffermava poi, la sua attenzione sulla prosa, con ricerche eclettiche, cariche di espressività, di senso umoristico e caricaturale, cose che scaturivano dalla sua spassionata osservazione della realtà. Tratti significativi che evidenziano la sua morale, l’etica e la sua onestà nella conduzione delle cose pubbliche e private, nei suoi rapporti col prossimo. Scrive nell’avvertenza di una sua opera, il 7 gennaio 1877

(“FAME USURPATE”): “Potrà darsi, che la pubblicazione di questo volumetto stuzzichi un vespaio. Che m’importa? Ad un italiano, amante della patria”. Prevedendo l’avvenire che, con sue parole – “ci minaccia” – continua: “Uomini peggiori e più scadenti no, che non è possibile l’immaginarne, ma uomini ugualmente malvagi ed insipienti, son forse giunti qualche rara volta altrove al potere: però sempre in tempo di rivoluzione, ne’ parossismi della massima perturbazion morale, quando la canaglia prevaleva e sopraffaceva armata mano. Che il santuario dello Stato potesse venir profanato in tempi ordinarî e per le vie legali da tanta dappocaggine ed iniquità; che, per un voto delle Camere, ratificato dagli elettori, dovessimo subire questo obbrobrio di Ministero; mi spaventa e sgomenta. Qual è dunque mai lo stato morale e sociale dell’Italia, se qui è possibile e si tollera pazientemente quel, che altrove non si ammetterebbe neppure come ipotesi?”

E conclude “ch’io non ho nulla di comune con la banda de’ sedicenti progressisti.” Tuonava queste sue contro la “Sinistra Storica” salita al potere nel 1876 con Agostino Depretis e il suo governo che oltre all’appoggio della Sinistra di cui faceva parte, godeva anche dell’appoggio di parte della “Destra Storica”, nella parte che aveva contribuito alla caduta del precedente governo Minghetti. Nel suo governo Depretis cercava convergenze, di volta in volta e quando possibile, con  parte dell’opposizione, e avviava così la cosiddetta pratica del “Trasformismo”.

Di Vittorio Imbriani non dobbiamo dimenticare il forte carattere. Nessuno amava, forse, la patria più di lui e fieramente ed altamente la serviva. Insieme alla patria che serviva accorrendo nelle guerre d’indipendenza, e finendo nelle carceri, amava la verità, a volte sfociava in risse e nel compiere l’una e l’altra, amore per la Patria e per la Verità, disprezzava il pericolo. Il suo forte carattere era anche singolare ed originale. Il suo senso estetico, il piacere della bellezza, la sua erudizione sconfinata…aveva doti magistrali. Ha lasciato molto di sé, ha scritto di tutto e di conseguenza sembra che l’Italia lo dimentica. Si spense all’età di 45 anni. Ebbe un fratello, Matteo Renato, legato allo stesso senso della patria e del dovere, ma polemico con la monarchia dei Savoia, che non riusciva a liberare l’Italia da tutti gli stranieri e dagli ‘austriacanti’ che ne minavano l’integrità e la modernizzazione.

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