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Festival di Sanremo n. 69

Ieri 9 febbraio si è chiuso il Festival di Sanremo con un inaspettato vincitore, cosa che ha destato una bordata di polemiche da parte di riviste, quotidiani e tutto il mondo scritto e parlato: Mahmood, italo-egiziano. Ci si è messa pure, offesissima, Loredana Bertè, che ha disertato l’incontro di festa a RAI 1 il giorno dopo, e il disordine è stato notevole.

Si può notare però, nel complesso dell’intero Festival, che le tendenze della canzone odierna sono due: una è quella rievocativa o addirittura ripetitiva della linea musicale anni ’60, con tutto il carico poetico, romantico e geniale, nelle personalità di Battisti, De Andrè, Mina, con il paroliere eccezionale che è Rapetti, in arte Mogol; l’altra è quella RAP, odiata e criticata, ma, in controluce, interessante se fatta bene. Colpisce infatti la canzone vincitrice, Soldi, e quella del gruppo ZEN, Amore dittatore; il testo musicale è quello solito, ma le parole e l’ arrangiamento fanno pensare: Che cosa si è distrutto, maltrattato ed illuso nelle giovani generazioni dagli anni ’60 ad ora? Tremendo fatto e impossibile ad essere negato, ma è così. La banalità del RAP d’amore si dimentica, questo Rap duro, arrabbiato ma soprattutto doloroso ferisce l’anima di chi ascolta, con il passaggio metallico del ritmo battente che paragona l’odierna società quasi ad un’officina industriale, con robot stile Metropolis. Così adesso è la gente: sofferenti avvelenati da smog, costretti ad Amore Dittatore, e dettato da mass e Multinazionali economiche.

Forse è giusto e buono rivoltare la società. Questi ragazzi vivono nel fango degli anni politici ’70/’80, storditi da slogan buonisti e traditi da realtà anche religiose sporche, trascinati da depressioni per diffusione di mode oltreoceaniche volutamente alla ricerca di un’Europa-mercato o discarica per il continuo pungolo del consumo. A favore di chi? Non delle giovani generazioni . “…. Soldi..” ripete incessantemente Mahmood. Ma che è successo?..” volevi solo soldi..”., mentre Battisti, in una canzone che forse anticipava il ritmo battente del Rap, cantava .”.. adesso , adesso dimmi di sì”.

La musica anni ’60 non può essere dimenticata. Ma chi è genitore, insegnante, ministro, osservatore, legislatore, assuma queste canzoni in evidenza e questi vincitori come fil rouge per combattere e ripristinare la normalità relazionale che esiste nei viventi, e che non può essere negata. La società, il mondo, hanno bisogno di un equilibrio, di moralità e non moralismo, di amor di prossimo, senza dogmi e gerarchie antievangeliche. Questo è la sconfortata richiesta fra le righe delle giovani musiche, bisogna portare loro pane e non pietre.

Marilù Giannone