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Giorgio Galli: ripensare il socialismo nel sistema globale e nei processi del XXI secolo

L’intervista, rilasciata il 4 dicembre del 2007, sviluppa ed espone la terza edizione de la “Storia del socialismo italiano – da Turati al dopo Craxi”. Qui ripubblicata integralmente. Molta parte illustra e discorre del libro sulla storia del socialismo italiano giunto alla terza edizione, per i tipi della Baldini Castoldi Dalai, 2007 Milano, altri contributi e spunti sono estrapolati da audiovisivi come parte dei suoi interventi a convegni, presentazioni di libri e varie conferenze tenute dall’emerito ed autorevole professore Giorgio Galli negli scorsi anni [ nota *]

 Raffaele Panico

 Nel suo libro “Storia del socialismo italiano – da Turati al dopo Craxi” (ed. Baldini Castoldi Dalai – 2007 Milano) Giorgio Galli ha ripercorso vicende storiche che attraversano tutta la vita politica italiana, dall’ultimo decennio dell’Ottocento agli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Dalle analisi di Giorgio Galli emerge un particolarismo tutto italiano che riguarda la storia del socialismo e la premessa della sua scomparsa “nell’incompiuta democrazia rappresentativa italiana”. Le eccezioni del sistema politico italiano sembrano essere presenti già nel movimento socialista prima, durante e dopo l’intervento italiano nel primo conflitto mondiale. Una costante, nel sistema politico dell’Italia, già nei primi del Novecento e per tutto il secolo: l’anomalia del Partito socialista italiano rispetto alle altre formazioni socialiste in Europa. Formule e slogan non a caso ricorrenti come il “né aderire, né sabotare” che ritornano – e siamo nell’estate del 1979 quando – scrive Giorgio Galli – la stampa così definisce l’atteggiamento di Craxi di fronte al primo governo Cossiga. 

L’incapacità di fare scelte coraggiose rispetto agli altri partiti e movimenti socialisti europei, come già nel 1914 dopo la crisi di Sarajevo e i vari interventi degli Stati nel conflitto armato in Europa. I socialisti italiani hanno ben 10 mesi di tempo per prepararsi e decidere fino al 24 maggio 1915, o prepararsi al peggio secondo gli indirizzi o, di disfattismo leninista e pertanto “trasformare la guerra imperialistica in guerra civile”, oppure, di solidarietà nazionale e aderire ovviamente alla guerra pur in un sistema liberale parlamentare, quando si entra in guerra e le regole non valgono più, perché è finita la diplomazia tra gli Stati e le potenze e si passa all’intervento militare. Non riescono i socialisti italiani, in tutti quei mesi dall’estate del 1914 all’intervento in guerra dell’Italia nel 1915, a fare una analisi adeguata alla situazione. Mentre, tanto i socialisti francesi, quanto quelli tedeschi, decisero scelte politiche coerenti in poche settimane o giorni.  

Poi, quando avviene il disastro di Caporetto, il discorso di Turati in un articolo incita al dovere del proletariato a resistere quando il territorio nazionale venga invaso dallo straniero.

Le pagine del volume di Galli riprendono svolte storiche e stagioni politiche con suggestivi capitoli che attraversano il periodo politico post bellico, dal Biennio rosso al Biennio nero. Ancora una volta l’Italia presenta anomalie o, forse, è un laboratorio politico d’Europa, nel panorama dell’“oscillazione del pendolo politico” post primo conflitto mondiale in Europa, politica nonché istituzionale ed economica (la tesi di Karl Polany in “La grande trasformazione”). La sindrome post bellica presente nell’Europa centro-orientale rispetto alla Francia e alla Germania e, in questo, anticipatrice della virata a destra e della repentina stabilizzazione del 1924-25 di Mussolini non più socialista, svolta che anticipa i vari fascismi degli anni Trenta.

Quindi, arriva in quella temperie, il regime fascista e l’esilio dei socialisti. Quando per il regime tutto è finito con l’armistizio dell’8 settembre 1943 e, dopo il 25 aprile indetto il referendum del 2 giugno 1946 che vede affermarsi la Repubblica sulla Monarchia, ecco che alle prime elezioni i socialisti vedono la perdita del primato, già in termini di percentuali di voti elettorali nello schieramento di sinistra del secondo dopoguerra. Il Psi non appare essere un polo progressista come in altri paesi dell’Europa occidentale, ma è un partito minore della sinistra italiana in generale. Cosa lega poi il particolarismo di ieri nella democrazia parlamentare dopo il 1945, con l’anomalia di oggi, cioè la scomparsa del socialismo in Italia, a quasi venti anni ormai dalla caduta del Muro di Berlino? [siamo alla terza edizione del libro, e a dicembre 2007 ]. Il legame è una storia singolare, del tutto evidente già col Partito socialista di Filippo Turati, lacerato tra le due ali, e diviso com’era tra riformisti e massimalisti …?

Le singolarità e i particolarismi emergono con le acute analisi storiche; i capitoli suggestivi del libro che è [ era ] giunto alla terza edizione; l’intreccio è complesso e articolato della storia della società, della cultura e dei costumi della vita unitaria dell’Italia moderna. Altro esempio ricorrente o ritornante, è il paradigma del ‘radiosomaggismo’ termine che poi passa addirittura attraverso il divorzio, problematica già emersa prima della prima guerra mondiale. Nodi storici reali o a volte solo dialettica nell’esercizio del potere politico?

Nelle oltre 500 pagine questo dialogo tra istanze reali affrontate nella società italiana, e il dualismo tra Paese reale e Paese legale, appare più volte (si pensi al binomio giustizialismo/garantismo). Alcune vicende ed etichette politiche sono permeate più dal linguaggio del politico, sono più legate ai rapporti di forza tra i partiti, che a reali esigenze della società italiana. E qui sembrano suscitare fantasmi, loro malgrado, i politici apprendisti stregoni della politica italiana. Come nel capitolo 18 “Il maggio radioso” dove il “radiosomaggismo, premessa del fascismo – era stato per la destra italiana quello del 1915” che “portò alla guerra e determinò le condizioni della crisi del socialismo”. E, continua Galli: “Maggio radioso fu per il Psi e per la sinistra italiana quello del 1974, allorché il referendum del giorno 12 mise in luce con chiarezza che i progressisti potevano vincere e i conservatori potevano essere battuti in uno scontro elettorale”. Fermo restando che, il tema del divorzio – giusto Giorgio Galli scrive a pagina 395 – era riduttivo e si collegava solo per un verso alla questione femminile, e sull’onda emotiva del Sessant’otto. Il divorzio è una vicenda borghese più che di tradizione schiettamente socialista e, allora, non è che un blocco liberale che vuole vincere contro i cattolici, tematica già in essere tre quarti di secolo prima, durante uno dei governi di Giolitti, con il ritiro della proposta Zanardelli, per l’ingresso dei cattolici nella vita politica unitaria.

INTERVISTA Telefonica avvenuta primi di dicembre 2007

Abbiamo raggiunto telefonicamente e ascoltato il professor Giorgio Galli per intervistarlo su questo suo lavoro.

In particolare sull’anomalia della scomparsa dei socialisti; nella terza edizione del libro cita gli ultimi dati delle formazioni elettorali della cosiddetta diaspora socialista alle elezioni Politiche del 2006. Quindi, la scomparsa di fatto dei socialisti nel sistema politico in Italia. Anomalia tutta italiana se notiamo che, persino nell’Europa orientale, nell’ex blocco sovietico – oggi [dicembre 2007] gran parte di questi paesi sono nell’Unione europea, esistono formazioni socialiste; e alcune di queste formazioni partitiche sono la trasformazione dei vecchi partiti comunisti.

Domanda. Negli anni 1979-80, Lei ha scritto la sua prima edizione sulla storia del socialismo italiano; la storia del Partito socialista si conclude con la sua scomparsa, in questa sua terza edizione. Quali erano le sue valutazioni e le previsioni allora, e la situazione attuale.

Giorgio Galli. Allora, nel 1979, pensavo che il sistema politico italiano potesse andare verso una prospettiva di modello europeo. Quindi, una evoluzione in senso socialdemocratico del Pci, da un lato; ed in effetti, nel 1981, Berlinguer sosteneva che la spinta prodotta dalla lunga vicenda della Rivoluzione d’Ottobre era finita; e da parte del Psi, che da solo non poteva modificare il sistema politico, tra questi due partiti, pertanto, doveva avvenire una convergenza delle due forze di sinistra.   

D. Dal particolarismo tra gli anni Settanta e inizi Ottanta, si è passati nel 1983 ad un superamento dell’eccezione. È il periodo della Presidenza del Consiglio di Bettino Craxi – 1983, poi la scomparsa del partito, perché ?

Galli. il superamento dell’eccezione sì, ma Craxi pensava che nel sistema politico italiano non era possibile una vera alternativa, ma un’alternanza di forze politiche al governo del Paese. Proprio quando un socialista arriva alla Presidenza del Consiglio si supera solo parzialmente l’eccezione, il bipartitismo rimaneva imperfetto, non era applicabile, in quanto il Psi era un partito minoritario della sinistra in una coalizione di governo con democristiani.    

D. Quando è Presidente del Consiglio Craxi si interessa dei rapporti con la Dc e il Pci in termini partitici. Perché è mancato l’approccio sistemico della grande Riforma che fallisce?

Galli. Annuncia la grande Riforma, ma il criterio, l’approccio al sistema politico italiano, anche di Craxi, denota il comportamento che ha caratterizzato da sempre la politica interna italiana: non è possibile governare l’Italia senza i cattolici, con la loro rappresentanza politica all’opposizione. Questo è il pensiero e il comportamento di Togliatti nel 1947 che inserisce il Concordato col Vaticano nella Costituzione italiana, ed è il comportamento di Nenni nel centrosinistra come forza minoritaria, ed è stato anche quello di Berlinguer con la formula del compromesso storico. È questa una linea lunga della vita politica in Italia, riassunta nel – non si governa con i Cattolici all’opposizione, e questa formula è presente anche oggi nel nuovo Partito democratico dove confluiscono gli eredi del Pds e di formazioni cattoliche. Craxi annuncia una grande Riforma pensando al modello Mitterrand, cioè di tipo presidenziale, anche elaborato dalla forbice dei consensi nei primi sondaggi   – consideri che allora apparivano appunto i primi sondaggi, perché se il Psi aveva il 15% dei consensi elettorali, l’allora il Presidente del Consiglio Craxi, proprio nella figura di premier, vedeva la sua carica politica istituzionale raggiungere percentuali molto più alte del suo partito. Poi il Psi di Craxi, pur intenzionato ad ampliare lo spazio politico elettorale, anziché rinforzarsi e guadagnare consensi elettorali nella sinistra italiana dopo il 1989, con il crollo dei regimi dell’Est, addirittura scompare.        

Dunque il paradosso, da un’eccezione minima, il Psi che non è un polo progressista nel panorama politico italiano (come in altre democrazie rappresentative europee occidentali) ma forza minore della sinistra italiana, si è passati ad un’eccezione maggiore, un’anomalia solo italiana nel quadro politico dell’intero continente, paradosso proprio negli anni della Caduta del blocco sovietico e dell’apertura all’Europa orientale.

D. …E sugli errori sistemici, cioè la mancata sfida portata alla DC e le aspettative poco futuribili di un automatismo nel travaso dei voti dal Pci, cosa può aver influito ancora, in tutto questo, nel Psi.

Galli. Craxi pensava, dopo la crisi del 1989 nell’Europa orientale, la Caduta del Muro di Berlino, e la crisi del 1991 a Mosca – in Urss, all’unità socialista, quindi il travaso dei voti a sinistra, dal Pci al Psi; è stata una previsione errata e, se non l’avesse fatta, almeno in questi termini, non innescava quel muro contro muro in cui si è incartata la sinistra e la vita politica italiana.

D. Gli errori sistemici del resto rimangono, non vengono affrontati e politicamente poi, non a caso, li ritroviamo nel sistema elettorale bipolare, e trasformati dalla Lega solo nella questione federalismo?

Galli. Sì, una sfida parziale. La lega porta la sfida alla Dc in una certa misura, sulla prospettiva del federalismo e riesce ad assorbire, erodere aree geografiche di elettorato bianche, in zone pedemontane del nord Italia. Ma, dicevo la sfida sistemica è solo parziale e non ha influito nel sistema della politica d’Italia, la stessa Lega è rimasta su quei consensi, e perdura ancora quella convinzione che non si governa con i cattolici all’opposizione.  

D. “Il Vangelo socialista” uno scritto di Craxi dell’agosto 1978, in questa terza edizione Lei ha dato molto risalto. Eh, allora, Eugenio Scalfari disse che Craxi aveva tagliato la barba a Marx … E quindi la tesi di Proudhon che “vedeva il socialismo come il superamento storico del liberismo e vedeva nel comunismo” – un’assurdità antidiluviana; se avesse prevalso col socialismo reale, la società europea, allora l’Europa occidentale contrapposta al blocco sovietico (e ai partiti comunisti maoisti ecc.) andava incontro ad una asiatizzazione?

Galli. Oggi il problema non è più la proprietà, ma dove si esercita effettivamente il potere. È il potere delle multinazionali che non si ha bene dove è il centro decisionale, chi è il padrone, chi è il proprietario? Chi sono gli azionisti, una pletora sparsa per il mondo, quindi, sia da parte socialista, ma anche del pensiero liberale, occorre affrontare il problema sulla rappresentanza democratica proprio là dove c’è il potere economico delle multinazionali. Sono cambiati i termini del dibattito, anche nelle socialdemocrazie avanzate come le scandinave, o di altri paesi europei, non siamo più negli anni Settanta del secolo passato, non si può più pensare con gli stessi criteri di approccio nazionale alle richieste dei lavoratori. In un certo modo è più attuale l’approccio del pensiero di Locke e di Montesquieau sulla proprietà e la rappresentanza del popolo. 

D. A quasi vent’anni dalla caduta del comunismo il pericolo “asiatizzazione”, l’Europa, oggi, non lo sta correndo sulla propria pelle a causa di questa cosiddetta globalizzazione impazzita, senza le premesse di mondializzare le lotte sociali, i diritti dei lavoratori in 100 e più anni di storia del socialismo in Europa?

Galli. In realtà la globalizzazione è gestita da centri di potere con sviluppi che non si sapevano, e non si poteva pensare nei presupposti, neanche nella più avanzata socialdemocrazia scandinava negli anni Settanta del secolo scorso.  Il decisore politico agiva sempre e comunque in un quadro di riferimenti nazionale, e continentale. Oggi sono le multinazionali le vere protagoniste della globalizzazione. Bisogna pensare a come intervenire sulle politiche delle multinazionali, e non è una questione solo del socialismo europeo, ma la stessa democrazia, ne viene investita in primo luogo. È tutta la cultura del sistema democrazia, liberale e socialista, che deve ipotizzare scelte che influiscano sul processo decisionale per trovare l’esercizio di una rappresentanza democratica dei processi storici derivanti dalla globalizzazione in corso”.

Nota * Il professor Giorgio Galli è scomparso il 27 dicembre scorso all’età di 92 anni. Ha insegnato per un trentennio storia delle Dottrine politiche all’Università Statale di Milano. Galli ha analizzato a fondo le dinamiche del sistema politico italiano, ponendo particolare attenzione al rapporto tra la storia ufficiale e le componenti esoteriche tanto nei regimi totalitari che nelle democrazie.

I suoi lavori si caratterizzarono anche per l’attenzione verso aspetti reconditi della storia delle idee politiche, quali, ad esempio, le radici “magiche” o irrazionali che concorrono ad alimentare l’adesione di massa verso particolari ideologie politiche: soprattutto quelle esistenti nei regimi totalitari.

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