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La FCA – ex Fiat …. e Marchionne

Il connubio fra politica e grande industria o, se vogliamo, fra Roma e la Fiat, si sta definitivamente sciogliendo a Zurigo, in una camera da ospedale, dove Marchionne giace vittima, probabilmente, di un coma irreversibile.

Nessuno sa niente. Ufficialmente Marchionne non è mai arrivato in Svizzera, all’ospedale universitario di Zurigo non c’è alcun paziente registrato a nome Marchionne. Il paziente non c’è, è solo virtuale. Tutti tacciono su cosa sia accaduto e stia accadendo, ma è certo che Marchionne non tornerà più sulla scena, Altri protagonisti, già comprimari. Il connubio, nella sostanza, è finito.

Per 14 anni l’uomo Marchionne ha improntato di sé l’industria italiana e mondiale dell’auto. Grande manager dalle intuizioni politiche e industriali d’avanguardia, ha preso uno straccio e ne ha fatto un abito, salvando quel poco che restava a Torino delle dissennate scelte fatte dai padroni della FIAT dopo la scomparsa di Agnelli.

Con decisione ha portato i libri in Olanda, ha trasferito la sede fiscale in Inghilterra, ha tagliato i rami secchi dell’azienda e fatto rivivere antichi marchi, ha rilanciato la Ferrari e, infine, il colpo grosso: la fusione con la Chrysler. È stato “il cavaliere bianco” che auspicava Obama per salvare la Chrysler dal fallimento e migliaia di operai dal licenziamento e dalla fame.

Salvando la terza impresa dell’auto americana ha salvato anche la Fiat, ma ne ha fatto una cosa diversa. Necessità e senso del realismo, con i mutamenti della globalizzazione, così come ha chiuso un’azienda in Messico per ingraziarsi Trump. Ora, tutto questo sembra concludersi e si devono tirare le somme di quanto è accaduto.

La nuova dirigenza non più ha nulla d’italiano. Anche il responsabile della FCA per l’area Europa, Alfredo Altavilla, che forse aspirava a sostituire Marchionne, si è dimesso e il suo ruolo è stato assunto ad interim da Mike Manley che è succeduto a Marchionne. Nel quadro generale dell’industria dell’auto, di fatto, l’Italia esce dalla scenario delle grandi potenze industriali, quelle contano.

Per più di mezzo secolo la famiglia Agnelli ha dominato il Paese, ha condizionato la politica italiana, esercitando un potere di pressione straordinario in funzione dei propri interessi. Privatizzava i profitti, scaricava sullo Stato le perdite, utilizzando a piene mani la Cassa integrazione. Poi, è iniziata la discesa e Torino ha cominciato ad agonizzare.

Con un colpo di mano, Marchionne ha dato una svolta al sistema. Doveva cambiare per essere salvato. Ora, è davvero cambiato tutto.

La FCA, checché se ne dica, non è più una grande impresa italiana, ma un conglomerato straniero con qualche filiale in Italia. Marchionne cercava un’intesa con la Hyundai per rafforzare il sistema. Forse i nuovi responsabili seguiranno le sue indicazioni o forse no. Quel poco sangue italiano che scorreva nelle vene della FCA sarà sempre più incolore. Così va il mondo.

Ma gli effetti politici di questa tragedia umana vanno ben oltre. Questo nostro amato e disordinato Paese non ha mai avuto una politica industriale, solo chiacchiere ed acquiescenze agli imprenditori importanti del momento, purché  facessero occupare gente, a qualunque costo. L’ignoranza abissale dei nostri reggitori politici ha fatto sì che fossero spettatori paganti, ai tempi degli Agnelli, e spettatori passivi e festanti ai tempi di Marchionne.

Il centro-sinistra andò addirittura in America a congratularsi con lui dopo la fusione con la Chrysler. L’Italia aveva conquistato l’America! Non capivano, non hanno ancora capito che nel processo di globalizzazione, dove il lavoro cambia con l’innovazione, dove le imprese muoiono se non hanno dimensioni intercontinentali, festeggiavano non la conquista dell’America ma la progressiva perdita dell’ultimo baluardo industriale italiano, dopo le sciagurate privatizzazioni e la svendita ai Francesi di gran parte dei nostri settori industriali più importanti.

Suonatori di mandolino erano e tali sono rimasti. L’Italia della pizza e del volemose bene è servita.

Sarà inevitabile assistere a un processo di riduzione della nostra presenza nel mondo dell’automobile. Le nuove sfide dell’auto, quella dell’ibrido, dell’elettrico, quella dell’autonomo, quella dei nuovi materiali, necessitano di grandi risorse e dello sforzo congiunto dei colossi del settore.

Non vedo Torino affermarsi ma, piuttosto, declinare assieme ai vari punti produttivi della Fiat nel Paese. La politica governativa di acquiescenza nei confronti degli Agnelli ha fatto sì che s’impedissero o si svogliassero altre iniziative industriali del settore. Le grandi case automobilistiche hanno impiantato imprese di produzione dovunque, in Europa, non in Italia, perché bisognava difendere la Fiat.

Il risultato di questa politica occhiuta e isolazionista è che, oggi, abbiamo perso il treno, rifiutando grandi occasioni.

Così, l’Italia perde l’ultimo pezzo della sua già importante struttura industriale.

La riduzione dell’Italia a potenza di terzo o quarto ordine è il risultato della mancanza di una qualunque politica industriale per decenni. Troppo difficile. Quando si mandano dei cretini o degli ignoranti a governare un Paese, questi sono i risultati che ci dobbiamo aspettare. La nostra classe dirigente fa pena. Non hanno un’idea, un progetto, una strategia. Campa sugli immigrati e sui precari. Opposizione su tutto, politica su nulla. Troppo poco, anzi, pochissimo.

Roma, 23/07/218