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Indossava male il velo. Mahsa Amini muore in Iran a soli 22 anni

Il 14 settembre a Teheran la Polizia Morale ha arrestato Mahsa Amini, una ragazza curda di 22 anni, lì in visita presso parenti, perché indossava il velo in modo  “inappropriato”: non le copriva del tutto i capelli.

Alcune ore dopo l’arresto, motivato dalla necessità di assistere a “un’ora di rieducazione”, è stata portata nell’ospedale della Capitale perché, secondo quanto affermato dalle autorità, avrebbe avuto un improvviso problema cardiaco. Da un filmato diffuso sui social e secondo alcune testimonianze, la ragazza è stata picchiata mentre veniva caricata sul furgone dalla polizia. Le riprese del suo arresto, quelle nel furgone e nella stazione della polizia, devono ancora essere pubblicate ma si presume che un filmato preso dalle telecamere di sicurezza in cui si vede una ragazza con tagli, ritraggano proprio Mahsa.

A seguire il decesso della ragazza, avvenuto dopo tre giorni di coma, la gente si è radunata all’esterno della clinica in segno di solidarietà e di protesta al punto che le agitazioni hanno spinto il ministero dell’Interno e la procura di Teheran, su richiesta del presidente Raisi, ad avviare un’indagine. Secondo il medico legale bisognerà attendere almeno tre settimane per l’esito dell’autopsia.

Amnesty International ha denunciato presunte torture durante la detenzione. E ha altresì definito “degradante e discriminatoria” la legge sull’obbligo del velo per le donne in Iran.

Dal 1979 infatti la legge islamica prevede l’obbligo per tutte le donne sia iraniane che straniere di coprirsi i capelli e indossare abiti lunghi e larghi che nascondano la loro figura femminile, pena il pubblico richiamo, multe e arresto. Sotto il precedente Governo del presidente Rohani la pressione era talmente diminuita che un numero crescente di donne lasciava spesso i capelli quasi scoperti. Con l’attuale Governo ultraconservatore del presidente Raisi il regime è tornato ad essere molto zelante

Iran Human Rights (IHR) ha chiesto al consiglio dei Diritti umani delle Nazioni Unite di mettere la Repubblica islamica in condizione di accettare una missione conoscitiva sotto la supervisione dell’Onu, ricordando la pratica del Governo di coprire i crimini di Stato. Lo stesso direttore di IHR, Mahmood Amiry–Moghaddam, ha dichiarato che la responsabilità della morte di Mahsa ricade comunque sul leader della Repubblica islamica, sul capo del Governo e sulle forze di polizia sotto il loro comando, indipendentemente dalla causa ufficiale della morte che le autorità hanno annunciato. I media mostrano sui social numerosi video di agenti che trattengono donne, che le portano via, che le costringono a salire su furgoni.

La Casa Bianca nella voce del consigliere alla sicurezza nazionale Jake Sullivan ha definito imperdonabile la morte della giovane. Inoltre, ritenendo responsabili di questi abusi dei diritti umani i funzionari iraniani.

Di fronte all’accaduto si rimane con il sentimento di impotenza, cui da tempo siamo troppo abituati, nella speranza che possa cambiare un sistema che non ama e non si prende cura dei suoi giovani e del suo futuro.

I tumulti all’esterno dell’ospedale si sono ripetuti durante i funerali dove diverse donne, togliendosi il velo hanno gridato«Morte al dittatore» riferendosi al regime dell’Ayatollah Ali Khamenei e strappandone manifesti. La polizia è intervenuta con lacrimogeni e ha caricato le donne che si erano tolte l’hijab. Si registrano diversi feriti sia nella sua città natale, Saqqez, dove si sono svolti i funerali, sia durante le manifestazioni a Teheran e nella capitale provinciale Sanandaj. I video delle proteste che stanno facendo il giro dei social media, avrebbero provocato la reazione di limitare l’accesso a internet da parte delle autorità di Teheran, come già avvenuto durante precedenti proteste.

Secondo quanto dichiarato dal blogger esiliato Fahramand Alipur, la famiglia non ha accettato la volontà dei servizi segreti che «volevano che venisse seppellita al mattino presto, quando ancora era buio, non appena il cadavere della ragazza è arrivato nella sua città, Saqez. Ma la famiglia non ha accettato» – afferma Alipur, che vive in esilio dopo il suo coinvolgimento nel movimento dell’Onda verde nel 2009 represso nel sangue dalle autorità. «L’hanno seppellita verso le 10,00, quando erano arrivati migliaia dei suoi concittadini».

Sui social circola il video di un uomo ferito alla testa durante gli scontri con la polizia, intervenuta per sedare le proteste. L’uomo è stato trascinato in salvo dagli altri manifestanti.

Alcuni attivisti politici e civili del Kurdistan iraniano hanno lanciato un appello per uno sciopero generale nel Paese, denunciando che “Mahsa Amini non è la prima e non sarà l’ultima vittima delle politiche repressive contro le donne, portate avanti della Repubblica islamica. Le strade delle nostre città non sono sicure per le donne e la causa principale di questa mancanza di sicurezza sono le pattuglie della polizia morale”, si legge nell’appello.

Molti artisti e personalità del cinema iraniano hanno scritto tweet e post su Instagram contro la “polizia della moralità”, accompagnati dall’hashtag #NoallaGashteErshad e #noallaviolenzasulledonne.

Hanno anche ripetuto il il nome di Mahsa Amini: “Ripetete il suo nome, non dimenticate quello che passano le donne iraniane” ha scritto la celebre attrice Taraneh Alidoosti. Il regista premio Oscar Asghar Farhadi si rivolge direttamente alla ragazza, di cui pubblica la foto in coma all’ospedale, ed esprime sconcerto per quanto le è toccato. “Sono disgustato, stavolta da me stesso. Tu sei su un letto d’ospedale, ma sei più sveglia di noi, mentre noi siamo tutti in coma. Noi ci fingiamo addormentati, di fronte a questa oppressione senza fine. Noi siamo complici di questo crimine“.

Veronica Tulli

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