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Dietro lo sfratto all’Antico Caffè Greco di Roma …”mire straniere” per un’ ITALIA IN SVENDITA

L’ANTICO CAFFE’ GRECO di via Condotti a Roma,
bene culturale riconosciuto dal Ministero,
è a rischio sopravvivenza per uno sfratto 

di Edmond Dantès (*)

La ruspa giudiziaria – guidata da automi in toga abituati a gestire serialmente e burocraticamente sfratti, locazioni ed esecuzioni di routine – sta inesorabilmente abbattendo nel centro di Roma un bene culturale tutelato dal ministero dei Beni culturali e ambientali, sfrattando per finita locazione la Società Antico Caffè Greco come se si trattasse di sfrattare un qualunque “pizzicagnolo” (con tutto il rispetto per la categoria). E così il 22 ottobre prossimo gli ufficiali giudiziari si presenteranno al civico di via Condotti n. 86, a due passi da Trinità dei Monti, per eseguire una sentenza di sfratto del Tribunale di Roma, senza nemmeno attendere l’esito del giudizio di appello e la decisione sulla sospensiva della sentenza di primo grado.

L’attività tutelata, iniziata nel 1760, cesserebbe; un pezzo della cultura e della storia di Roma, palpitante di vita, sarebbe cancellato; gli storici locali, brulicanti di habituè, artisti, intellettuali e turisti di tutto mondo, rimarrebbero desolatamente vuoti e chiusi al pubblico (con arredi e collezioni d’arte di proprietà della Società Antico Caffè Greco inamovibili); quaranta dipendenti sarebbero licenziati.

E il “bene culturale di interesse particolarmente importante Caffè Greco”, vincolato dal un decreto ministeriale del 1953 ed “espressione di identità culturale collettiva” (art. 7bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio), dall’oggi al domani, verrebbe distrutto. La ruspa giudiziaria è stata avviata dall’Ospedale Israelitico, proprietario delle mura, che, banalmente, ha intimato alla Società Antico Caffè Greco uno sfratto per finita locazione, dopo aver vanamente tentato di far rimuovere dai giudici amministrativi il vincolo di tutela sul bene culturale Caffè Greco, che, a suo dire, creava “l’inconveniente di una comunione forzosa” tra l’immobile (dell’Ospedale Israelitico), i beni mobili e la licenza di esercizio (di cui è titolare la Società Antico Caffè Greco). 

Il Tar del Lazio, con una sentenza del 2011 passata in giudicato, ha definitivamente chiarito la natura del vincolo di tutela: apposto non solo sui locali (immobile) e sugli arredi, cimeli, decorazioni (mobili), ma anche sulla «licenza di esercizio». E ciò perché “il Caffè Greco costituisce un pregevole esempio di «pubblico ritrovo», consolidatosi nel tempo in virtù della consuetudine di una certa tipologia di avventori di frequentarlo e renderlo centro di incontri culturali”. Secondo i giudici amministrativi non è conforme alla ratio e alla lettera del vincolo ministeriale “restringere la tutela all’immobile ed ai beni mobili, essendo chiara la volontà dell’Amministrazione di ricondurre il vincolo al particolare valore commerciale assunto nel tempo dalla destinazione del locale, dall’essere detto locale un ritrovo di artisti, anche stranieri, quindi un luogo noto in Italia ed all’estero come centro di vita artistica»”.

Ma l’Ospedale Israelitico, soccombente davanti al Tar, non s’è perso d’animo, e in barba al giudicato amministrativo, ha ritenuto di eliminare ugualmente “l’inconveniente” di quella “comunione forzosa”, cambiando semplicemente giudici, e intimando lo sfratto, senza coinvolgere il ministero dei Beni culturali a norma di legge. L’esecuzione dello sfratto in base all’ordinanza di convalida era stata per la verità sospesa dai giudici della Corte d’Appello di Roma (un lampo di luce nell’oscurità), che avevano ripreso gli argomenti dei giudici amministrativi. Ma l’Ospedale Israelitico ha avviato una nuova esecuzione sulla base della sentenza di convalida dell’ordinanza di sfratto intervenuta in seguito, e la ruspa giudiziaria ha ripreso ottusamente la sua corsa verso uno sfratto che, in realtà, è lo sfratto di un bene culturale, di un’espressione di identità culturale collettiva, di valori che appartengono a tutti.

È assolutamente certo, infatti, che l’esecuzione dello sfratto determinerebbe la distruzione del “bene culturale particolarmente importante” Caffè Greco, perché reciderebbe il vincolo di tutela che lega indissolubilmente immobile, beni mobili e attività aziendale (licenza di esercizio): la specifica attività oggetto di tutela non sarebbe più esercitata in quell’immobile e con quei beni mobili (inamovibili). Già in passato, in occasione di un precedente tentativo di sfratto della Società Antico Caffè Greco per finita locazione, l’Ospedale Israelitico aveva manifestato l’idea di aprire un “centro di ritrovo culturale, aperto al pubblico, con degustazione di prodotti alimentari tipici preparati secondo le prescrizioni ebraiche”.

Ma i tempi sono cambiati, e non è ben chiaro ciò che l’Ospedale Israelitico intenda fare dell’immobile una volta sfrattato il bene culturale. Quel che è certo è che non intende acquistare l’azienda dalla Società Antico Caffè Greco (comprensiva della licenza di esercizio), né vendergli l’immobile. Vorrebbe far credere però che ne manterrà la destinazione d’uso (ma senza subentrare nell’attività aziendale di cui è titolare la Società Antico Caffè Greco: attività aziendale che il vincolo di tutela lega indissolubilmente all’immobile) e che “non sarà certo impossibile per un esperto imprenditore del ramo eguagliare ed auspicabilmente superare” le “abilità gestionali” degli attuali titolari: un ipotetico esperto imprenditore del ramo che ora non c’è, che magari non si troverà mai, e che non potrebbe certo svolgere l’attività tutelata, non avendo acquistato la licenza di esercizio dalla Società Antico Caffè Greco. E anzi, auspica che quell’imprenditore “rigeneri in chiave moderna” il Caffè Greco (facendone magari un fast food con camerieri in frac, con tanto servizio di consegna a domicilio mediante piattaforma digitale), come suggerito dai conduttori della ruspa mediatica avviata parallelamente a quella giudiziaria, e in particolare dal Messaggero di Roma, megafono degli interessi immobiliari dell’Ospedale Israelitico, che ha anche fatto trapelare l’importo di un ipotetico canone di locazione “alternativo” allo sfratto: € 180.000,00 al mese. 

È evidente che quei locali sono destinati a ben altro, che non a ospitare il “bene culturale particolarmente importante” Caffè Greco. Circolano, del resto, i nomi dei soliti marchi internazionali dell’economia globalizzata. Sulla vicenda pende una denuncia penale davanti alla Procura della Repubblica di Roma, per varie ipotesi di reato ruotanti attorno al danneggiamento e alla distruzione di beni culturali. 

Ci domandiamo infatti se un privato debba tollerare l’installazione di un pilone dell’alta tensione nel giardino di casa, ma possa impunemente “sfrattare” dal proprio immobile un bene culturale vincolato. Ma la domanda finale che ci poniamo è la seguente: se l’ordinamento giuridico del Paese con il maggiore patrimonio culturale al mondo sia così poco attrezzato giuridicamente (o giuridicamente insensibile) da consentire la distruzione di un importante bene culturale mediante un banale sfratto per finita locazione, piegandosi agli interessi economici dei potentati di turno.

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(*) Il presente articolo, a firma Edmond Dantes, è già apparso in data 13.10 su “Il Sussidiario.net”- quotidiano online pubblicato in Milano e diretto da Luca Raimondi. Il Sussidiario.net è uno strumento di informazione quotidiana che offre chiavi di lettura per approfondire e comprendere ciò che accade, a cura della Fondazione per la Sussidiarietà.
Tale intervento ci è stato segnalato dalla “Casa della Romanità” tramite il Collega ed Amico Sandro Bari, la quale ha organizzato una maratona culturale a decorrere da mercoledì 16 ottobre in poi presso la storica “Sala Rossa” del Caffè Greco.   

 

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