
La solitudine degli anziani incide sulla sanità
Nel nostro Paese è altissimo, e in continua crescita, il numero di persone anziane sole. Manca sovente la famiglia, manca il caregiver di riferimento, una figura ancora non riconosciuta appieno. La solitudine è determinata da diversi fattori, e il suo impatto ricade perlopiù sul Servizio sanitario nazionale. Vi sono per fortuna altri paracadute, tra cui spicca il Terzo Settore.
Longevità
Il Giappone è la prima Nazione per longevità e più alta aspettativa di vita in salute. L’Italia, seppur longeva, scarseggia però sul punteggio in cui il Paese del Sol Levante primeggia, relativo alla vita vissuta in salute. Dato che si riflette sulla qualità di vita del cittadino e, di rimando, sul concetto della dignità del vivere. Dall’altro lato, bisogna osservare, si staglia tra le meno virtuose in termini di natalità, oggi oggetto della massima attenzione del Governo.
Natalità e fecondità della popolazione residente, secondo i dati Istat relativi al 2021 parlano chiaro: i nati sono scesi a 400.249, facendo registrare un calo dell’1,1% sull’anno precedente (-4.643). La denatalità prosegue e sembra aggravarsi. I dati provvisori dicono, che nei primi nove mesi del 2022 le nascite sono state circa 6 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2021. Il numero medio di figli per donna, per il complesso delle residenti, risale lievemente a 1,25 rispetto al 2020 (1,24).
Anziani
Questi dati, apparente svincolati da quelli relativi agli anziani che segnalano un problema che indebolisce tutto l’Occidente, e il Belpaese in particolare. Siamo una Nazione che registra pochi giovani, che sono la forza lavoro per costruire il domani. Essenziali per dare manforte ai genitori e ai nonni anche negli aspetti più banali o complessi della vita quotidiana.
La curva che registra la popolazione di anziani, grandi anziani e centenari, invece, cresce a dismisura. Abbiamo una percentuale di persone over 60 altissima, molte ancora nel mercato del lavoro, produttive, altre vicine al raggiungimento dell’agognata pensione. Vi è poi chi percepisce la pensione completa o quella di reversibilità del coniuge mancato. Il che porta a intravedere una famiglia spesso costituita da una sola persona, magari con figli lontani. Il tema della solitudine delle persone con età avanzata è correlata anche a questo: la migrazione dei figli, o dei fratelli più giovani, verso luoghi in cui vi è un’occupazione dignitosa.
La famiglia nucleare, ovvero formata da genitori e figli, è tutt’altro che definitivamente sorpassata. Ma quando l’età dei genitori cresce e i figli debbono allontanarsi dal luogo di nascita per mantenere sé stessi e sostenere quanto possibile i genitori, l’arrivo di una malattia o la morte di un coniuge fa cadere il castello di carte. Ne risentiranno i soggetti anziani, soli, soprattutto coloro con un basso reddito, con patologie, che magari vivono in case con scarsa accessibilità o in zone isolate.
La crudezza dei dati
Parte da queste basi la riflessione sui dati emersi dalla survey, un’ indagine recentemente promossa dalla Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti (Fadoi) in 98 strutture sanitarie del Ssn. Essa evidenzia un numero impressionante di degenza impropria: oltre due milioni di giorni. La ragione risiede nella impossibilità – o quantomeno difficoltà – di dimettere gli anziani soli, privi di una rete sociale di supporto.
Il sondaggio fa emergere che i ricoveri nei reparti di medicina interna sono circa un milione l’anno, di cui oltre la metà – nell’87,8% delle strutture – supera i 70 anni. Il ricovero per il 50% tra loro dura mediamente una settimana oltre il necessario, con un conseguente affollamento per il Sistema Sanitario Nazionale. Le percentuali non danno spazio a dubbi. Il 75,5% dei pazienti anziani, spesso complessi, rimane in ospedale più a lungo perché non ha familiari/badante/caregiver in condizione di dare loro assistenza in casa. È difficile infatti attivare l’assistenza domiciliare integrata che, comunque, da sola non potrebbe risolvere il problema. Il 49% degli ospiti in età avanzata, inoltre, non può accedere a una Rsa. Il territorio, poi, non è sovente provvisto di strutture sanitarie intermedie, e ciò determina il protrarsi del ricovero per il 64,3% dei degenti anziani.
Spesa pubblica
Non è poi da trascurare la spesa che tale estensione determina. Il miliardo e mezzo che viene speso per le giornate di degenza extra potrebbe essere meglio allocato in progettualità in ambito sociale e socio–assistenziale a tutela delle persone sole. Quel che manca è la presa in carico dai servizi sociali. Si chiede ora loro di sopperire a quanto determinato – soprattutto in alcune Regioni della Penisola italiana – dall’increscioso taglio dei posti letto e, negli ultimi anni, da politiche miopi che non hanno voluto cogliere in tempo la necessità di garantire accesso alla formazione a un maggior numero di operatori sanitari. Medici e infermieri in primis. Ne risente l’intero sistema, aumenta il privato accreditato.
Un problema sociale
Commenta i risultati della rilevazione il neoeletto presidente Fadoi, Francesco Dentali. «Quello che rileva l’indagine è quanto purtroppo tocchiamo con mano quotidianamente, ossia la necessità di farsi carico di problematiche sociali che finiscono per pesare indebitamente sugli ospedali e sui reparti di medicina interna in particolare» afferma, lanciando un allarme.
È un quadro che dovrebbe far riflettere sul nostro sistema di assistenza sociale. Secondo l’Osservatorio del Cnel per i servizi esso impiega appena lo 0,42% del Pil, mentre i dati Inps indicano che oltre 25 miliardi sono erogati sotto forma di assegni, come quelli di accompagnamento o di invalidità. Questo senza considerare i 3,4 miliardi erogati direttamente dai Comuni. In altre Nazioni, soprattutto nell’Europa del Nord, il sistema è inverso. L’ottimizzazione delle risorse disponibili passa per un maggiore investimento nei servizi di assistenza alla popolazione. In Italia è invece ancora fondamentale il supporto formale o informale di un’altra persona.
Politica e associazionismo
Entra in gioco il Terzo Settore, cuscinetto che solleva in maniera trasparente sia il Ssn che il privato cittadino, che la famiglia, grazie al coinvolgimento delle associazioni, comprese quelle che rappresentano – per patologia – i pazienti.
Il modello di sanità e di presa in carico auspicato vede quindi la piena applicazione del principio di sussidiarietà. Vi sono, difatti, reti integrate capaci di rispondere, con attività di rilevazione dei bisogni e realizzazione di interventi mirati, a molte problematiche di cui il Ssn e territoriale non riesce più a dare risorse.
Si pensi a un ponte che collega i portatori di interesse e sviluppa progettualità ad hoc per ciascuna delle parti. Ed è proprio un’associazione come The Bridge a convogliare insieme associazioni di pazienti, realtà associative a corollario, investitori e Istituzioni. Un cammino, quello della Fondazione guidata da Rosaria Iardino, che parte anni fa e si sviluppa – base in Lombardia – a livello nazionale. L’impegno è grande e il continuo raccordo con le Istituzioni confermato. Il 16 gennaio si è tenuto l’incontro del pool di ETS con Attilio Fontana a Palazzo Lombardia e il 20, presso la sede dell’organizzazione, con Pierfrancesco Majorino.
Guardare al futuro
Il prezioso confronto rappresenta un ulteriore passo in avanti nel percorso svolto sino ad ora per assicurare una giusta rappresentanza alle associazioni di pazienti e caregiver nei processi di definizione delle policy sanitarie, sia a livello locale, sia nazionale. I risultati raggiunti non sono da poco. Il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli ha confermato la disponibilità a continuare l’interlocuzione con le associazioni dei caregiver, istituendo un tavolo su questi temi e impegnandosi personalmente a facilitare l’interlocuzione anche con i ministeri della Salute e delle Politiche sociali affinché le istanze delle associazioni siano adeguatamente rappresentate. Il presidente Fontana si è invece impegnato a proseguire il percorso avviato con le associazioni, qualora restasse in carica anche per la prossima legislatura. Obiettivo, implementare la legge della Regione Lombardia n. 22 del 14 dicembre 2021.
Gli interventi programmati prevedono potenziamento e la creazione di strutture e presìdi territoriali, rafforzamento assistenza domiciliare, sviluppo della telemedicina, più efficace integrazione con tutti i servizi socio–sanitari.
Caregiver come elemento chiave
Il potenziamento dei servizi territoriali passerà, inoltre, attraverso la realizzazione di nuove strutture e presìdi più vicini al cittadino e in grado di rispondere ai suoi bisogni. Le Case e gli Ospedali di comunità, le Centrali operative territoriali per la presa in carico dei pazienti cronici e infine l’istituzione di un Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive.
Queste nuove strutture, e relativi servizi, verranno attivate progressivamente. Entro il 2024 saranno realizzate ben 216 Case di Comunità. Verrà dunque rafforzato e potenziato il sistema di assistenza sanitaria primaria e di prevenzione della Lombardia e il sistema sanitario regionale nel suo complesso. Da qui al 2024 verranno inoltre realizzati 71 Ospedali di Comunità e 101 Centrali Operative Territoriali. L’assessore alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari opportunità, Elena Lucchini, ha rimarcato invece un altro, fondamentale impegno: implementare per il futuro le risorse già stanziate per la figura del caregiver familiare.
La capacità di incidere e di far valere le istanze delle associazioni di pazienti e caregiver aumenta progressivamente con la capacità di rappresentare, attraverso una voce forte e autorevole, un ampio numero di realtà associative, pur nel rispetto delle specifiche esigenze di ciascuna di esse.
«Regione Lombardia» – ha dichiarato l’assessore regionale alla Famiglia Lucchini – «è stata tra i primi ad approvare la legge regionale che riconosce la figura del caregiver familiare, la persona che per scelta volontaria assiste e si prende cura di un parente infermo o disabile, stanziando 900.000 euro per le prossime tre annualità». Adesso occorre armonizzare la disciplina in materia di tutela del caregiver familiare, così da restituire agli anziani il supporto relazionale e socio–assistenziale di cui hanno quotidianamente bisogno.
© Qui Como © Chiara Francesca Caraffa