
L’Intelligenza dell’Uomo nell’Era dell’Intelligenza Artificiale
Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in Attualità.
Il Digital Italy Summit 2024 invita a una riflessione collettiva sull’uso etico e responsabile dell’AI.Il Digital Italy Summit 2024, svoltosi a Roma dal 12 al 14 novembre, si presenta non come un mero convegno sull’innovazione, ma come un laboratorio culturale e spirituale, un momento di riflessione collettiva che ci spinge a interrogarci sulla nostra stessa identità in un’epoca dominata dall’intelligenza artificiale. L’evento ha invitato a una riflessione profonda, mettendo al centro la dimensione etica e responsabile dell’AI, in uno scenario in cui la tecnologia non è più uno strumento neutro, ma un tessuto narrativo che plasma il senso di ciò che siamo e potremmo diventare.
Quando parliamo di “onde” del cambiamento tecnologico, non ci riferiamo più a semplici frangenti di innovazione, ma a tsunami capaci di ridefinire intere civiltà. Non basta più chiedersi come reagire: la vera domanda muta radicalmente e diventa esistenziale: chi stiamo diventando mentre impariamo a non affondare? L’AI non è solo un acceleratore di processi, ma un’architettura cognitiva che prende forma e struttura insieme alle nostre stesse visioni del mondo.
Il Summit, per questo motivo, si è strutturato come un dispiegarsi di riflessioni interconnesse: keynote di spessore, panel tematici, momenti di confronto interdisciplinare. Ogni tavolo di lavoro, ogni intervento è stato pensato per costruire una visione sistemica, per esplorare opportunità e contraddizioni, per individuare le sfide antropologiche, culturali ed etiche che l’AI porta con sé. Non è stata una semplice fiera delle tecnologie, ma un’autentica esplorazione della nostra identità in trasformazione.
L’ispirazione stessa del titolo, “The Coming Wave”, mutuata dal libro di Mustafa Suleyman, racchiude un’immagine potente: quella di un’onda inarrestabile che non si limita ad avvicinarsi, ma che travolge e modella paesaggi, consuetudini, coscienze. Questa onda – la tecnologia, e in particolare l’intelligenza artificiale – diventa metafora di un nuovo paradigma dell’essere, di una condizione in cui il confine tra umano e macchina inizia a dissolversi fino a farsi obsoleto.
Nel quadro di questo evento, l’AI è emersa come protagonista assoluta. Tuttavia, è emersa non come semplice ausilio tecnico, bensì come meta-tecnologia, capace di ridefinire la natura stessa delle attività umane. Quando una macchina “insegue” processi decisionali complessi, non ci troviamo più davanti a uno strumento: entriamo in una nuova simbiosi con il pensiero. La macchina non sta soltanto eseguendo istruzioni: in molti casi, le sta creando, strutturando e anticipando in modo autonomo, rendendo evidente che spesso sfugge al controllo diretto dell’operatore umano.
In questo scenario, diventa evidente che la tecnologia non è neutra. Uno degli assunti più radicali emersi dal Summit è la consapevolezza che ogni algoritmo è una storia codificata, ogni automatismo è una scelta morale celata sotto il velo dell’efficienza. Ogni sistema predittivo è, in fondo, una profezia: un dispositivo in grado di influenzare non soltanto ciò che accadrà, ma persino quello che le persone faranno. E proprio come le profezie, anche le profezie digitali hanno il potere di auto-avverarsi, specialmente se nessuno ne mette in discussione i meccanismi interni.
Da qui, nasce una riflessione teorica innovativa: la Teoria del Codice Vivente. Il Summit l’ha presentata come una prospettiva potente, capace di riformulare il modo in cui intendiamo il software. Non più fluido binario, ma struttura semantica, dispositivo narrativo in grado di costruire il senso. Il codice non è neutro: lavora, seleziona, mette insieme elementi della realtà. Ogni riga diventa un atto creativo, un disegno ontologico su cosa esiste, chi è invisibile, chi parla, chi tace. In questo senso, programmare è un atto creativo paragonabile a disegnare l’essere, a scrivere una grammatica del futuro.
Se l’intelligenza artificiale è lo specchio del nostro essere, allora ciò che vi riflettiamo – con le nostre paure, i nostri sogni, le nostre fragilità – ritorna a noi amplificato. Ci si chiede: quale umanità stiamo codificando? Quale grammatica disegnano le strutture semantiched dell’AI? Ecco che la Teoria del Codice Vivente diventa una bussola, un invito a considerare l’AI non come una meta-tecnologia da celebrare fine a sé stessa, ma come uno specchio critico capace di riflettere ciò che siamo e ciò che, volontariamente o meno, stiamo diventando.
Di fronte alla grande onda, non basta cavalcarla: dobbiamo scolpirla, renderla portatrice di significato, integrare nel codice una grammatica che conservi mistero, libertà, imprevisto. Elementi che nessun algoritmo, per sua natura, potrà mai calcolare. L’AI non è destinata a sostituire l’umano, ma a stimolare una rinascita del senso. Un processo attraverso il quale occorre ritrovare quella saggezza che integri cuore e calcolo, coscienza e dato, tecnica e significato.
In questo panorama globale, l’Italia – grazie alla sua tradizione umanistica, filosofica, spirituale – può svolgere un ruolo di avanguardia. Proprio qui si potrebbe elaborare un’etica digitale “mediterranea”, capace di integrare la potenza utopistica californiana – il sogno che tutto è possibile – con la logica del controllo autoritario, spesso associata a modelli asiatici. Non si tratta di opporsi al progresso, ma di guidarlo. Di suggerire una via che prenda sul serio il valore delle relazioni, della coscienza, della comunità. Una via umanistica e relazionale, capace di generare sapienza.
E dove meglio che nel campo della Pubblica Amministrazione – purtroppo spesso percepita come un carrozzone inefficiente – emerge questa sfida? La digitalizzazione della PA passa da strumenti come SPID, CIE, sistemi basati sul cloud e wallet digitali. Ma l’innovazione non può essere solitamente intesa come funzioni. Deve diventare interfaccia civica: un ponte tra cittadino e istituzione, un luogo di dignità, non di automazione anonima e fredda. Nulla deve essere fatto solo perché funziona: serve onorare la persona, la comunità, il significato del cittadino che dialoga con lo Stato.
Quando si integra l’intelligenza artificiale nei processi pubblici, ci si trova davanti a due scenari opposti: uno di Stato automatico, alienante, basato sulla standardizzazione e sulla eliminazione delle differenze; l’altro di tecnologia relazionale, empatica, attenta all’individuo. In quest’ultima visione, si può costruire un nuovo patto digitale, fondato sulla prossimità – concetto profondamente mediterraneo –, sull’ascolto, su un modo di “essere insieme” dove la macchina rafforza il tessuto umano, anziché annullarlo.
Nel quadro di sicurezza digitale e cybersecurity, è emersa una tensione essenziale: come possiamo proteggere senza sorvegliare? Come possiamo costruire sistemi robusti senza ridurre la libertà dell’individuo a una serie di dati tracciati? È evidente che l’AI offre strumenti straordinari per difendere, ma rischia di trasformarsi in strumento di controllo pervasivo. Qui entra in gioco la Teoria del Codice Vivente, che chiama alla resilienza etica: sapersi difendere senza perdere la propria anima. In questa ottica, la privacy non è un semplice diritto da tutelare in tribunale, ma una dimensione ontologica. Protegge l’interiorità, il mistero personale, la soglia tra noi e l’Altro. È qui che la coscienza umana si accende.
Nel panel dedicato ai CIO, è stato ribadito un punto: le decisioni tecniche non sono mai innocenti; sono infuse di cultura, di visione, di storia. Il CIO non è un manicotto tecnico, ma un architetto del futuro, un narratore consapevole. Ogni software, ogni infrastruttura, ogni interazione automatica porta con sé una visione del mondo. Ecco perché formare i CIO non vuol dire solo insegnare nuove tecnologie: significa sviluppare consapevolezza culturale, sensibilità narrativa ed etica. Costruire una coscienza critica sul codice che costruiscono e lasciano dietro di sé.
Una delle riflessioni emergenti ha richiamato Hannah Arendt: la scienza e la tecnologia ci hanno dato un potere immenso, ma non ci hanno insegnato come impiegarlo. Chi decide “come” usare la potenza? Chi orienta il potere? Questa domanda, nel contesto ibridato dell’AI, diventa ancora più urgente. Serve una forma di intelligenza spirituale, intesa come capacità interiore di discernere: il sapere non basta, serve sapienza, intesa come comprensione del significato profondo delle scelte.
Spiritualità non vuol dire religiosità: vuol dire profondità, consapevolezza, apertura verso il mistero. Una “tecnologia interiore” che ci rende capaci di vedere e abitare la complessità del mondo, e di costruire strumenti che non ci ingabbiano. In questo senso, l’AI può accompagnare l’uomo – ma non può salvarlo. La salvezza, oggi, passa attraverso le scelte che ciascuno di noi fa nel costruire e implementare queste tecnologie.
Il Digital Italy Summit 2024 ha rappresentato un crocevia di visioni, prospettive e sensibilità: una rete poliedrica di riflessioni su ciò che vogliamo costruire. Non solo intelligenza artificiale, bensì una riflessione sul senso profondo del divenire umano. Lo specchio che l’AI ci pone davanti non è una sfida inutile: è un invito a scegliere – a scegliere chi essere, come convivere, come custodire la fragilità, la compassione e la libertà.
Questa riflessione diventa pratica quando si trasforma in azione: nel codice, nelle architetture tecniche, nei regolamenti, nella formazione, nella politica. Si trasforma in una grammatica dell’umano: un linguaggio rinnovato che consenta all’AI di sostenere e non sostituire chi siamo. Un linguaggio che sappia custodire il mistero, la complessità, la bellezza della persona, in ogni ambito: dalla sanità alla scuola, dalla pubblica amministrazione alla sicurezza, dalla cultura al lavoro.
La Teoria del Codice Vivente, allora, diventa una bussola imprescindibile: ogni tecnologia è insieme un’ontologia, ogni algoritmo racconta un possibile, ogni innovazione è una domanda sull’essere. Il futuro non si gioca più nei soli laboratori: si gioca nei significati che sapremo creare, custodire, risvegliare. E se, davvero, desideriamo che l’AI sia al servizio dell’uomo – e non il contrario – allora dobbiamo tornare al senso più profondo di ciò che genera e nutre il nostro spirito: non saranno i bit a salvarci, ma l’umanità che sapremo aumentare, non solo nella capacità di fare, ma nella capacità di essere.
L’onda che arriva non è una minaccia da temere, ma un’opportunità da scolpire. Sta a noi riscrivere dentro il codice l’anima del vivente, preservare ciò che rende unico il cammino dell’essere umano: la sua fragilità che diventa forza, la sua compassione che diventa cura, la libertà che diventa scelta responsabile, il mistero che diventa spinta verso l’infinito. Solo così potremo trasformare il futuro non in una distopia digitale, ma in una nuova rinascita dell’umano, dentro e fuori il codice.
©Danilo Pette