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Nessun segno sulla neve, noir di Daniela Alibrandi

Figli della violenza

Fra i titoli dei noir scritti da Daniela Alibrandi, numerose volte premiati in Italia e negli U.S.A., è attualissimo, anche per il ricorrere di un cinquantenario del ’68, un periodo duro e convulso, “Nessun segno sulla neve”.

Sembra un romanzo, d’amore, di gioia, di giovinezza: ideali, primavere lucenti, ragazzi con i loro segreti e con gli impulsi all’emancipazione dalla famiglia, come tutti, come sempre. Si inizia a leggerlo per aprirsi ad un sorriso che vuol essere di partecipazione e di memoria, o di ambedue: la semplice verità dello stile letterario dell’Autrice, spontaneamente neorealista, è come il pennello forte e leggero di Raffaello. Spontaneamente neorealista perchè talvolta il neorealismo ha qualche forzatura di ricerca che qui viene meno, con l’ esito di permettere un’immersione totale nella realtà che viene esposta come se la si vivesse al momento.

“Nessun segno sulla neve” descrive l’affermarsi dei movimenti pseudorivoluzionari del 1968, la contestazione giovanile, studentesca soprattutto, anche se è servita di veicolo ad esponenti di altre professioni popolari al di là del ceto medio ed alto che hanno, semmai, avuto qualche rara superbia di leaders, ma hanno penetrato con la politica un mondo che ne era indenne. La composta e talvolta vittoriana educazione degli adolescenti si spezza in icebergs di prese di coscienza che non sono altro che le cime di quel malcontento postbellico e postottocentesco nei riguardi delle idee e dei comportamenti ormai obsoleti, messi a nudo dal paziente rinascere da un conflitto disastroso .

Sotto questo mosaico spesso tragico della società si nota chiaramente una divinità rosea, semisdraiata, con la mano gentile posata su una cornucopia di frutti multicolori e multiforme: Roma.

Il basso continuo dei libri di Daniela è questo, è la sua città amatissima, anche nei momenti e negli angoli di personalità lutulenti. Appare in tutte le ore del giorno, sotto le nubi, sotto l’azzurro cielo, è la vera matrice e inapparente protagonista delle opere dell’Alibrandi: è piaciuta la descrizione dell’evolversi dei quartieri storici nel noir “Una morte sola non basta”, scuote la relazione poliedrica di zone e residenze illustri o di normali ma tipiche abitazioni. Roma dorata nel Gianicolo mattutino, Roma punteggiata dalle luci di festa o da finestre alla sera. Non si fa menzione di particolari monumenti, il romanzo non è una guida, è un canto del cuore a questa armonia creatrice, o un triste appoggiare la testa alle braccia delle sue vie nelle situazioni di dolore: Monteverde come Parioli, l’EUR come Piazza Vittorio. E’ interessante notarne anche la diversa importanza nel passare dei tempi e delle mode, ma senza marcarne la voce: è questo muoversi sommesso a dare evidenza ai luoghi. Si viene ad apprendere così una Roma sconosciuta ed incantevole, si segue l’orgoglio mai ridondante dell’Autrice a dichiararsene figlia.

Questo scenario ai fatti dei libri, tutti, di Daniela Alibrandi, costruito su una Roma vera fino al nucleo, in quanto è vista senza sentimentalismi o caratteri precostruiti, è comune a tutti i suoi noir, e, se si estrapolano fondali e quinte di esso, viene a costituirsi un libro a sè, un libro su Roma tanto presente quanto poco còlta ed apprezzata: spesso, infatti, per quello che riguarda ogni passante, l’interesse che lo trae durante al giorno, fatto di motivi di lavoro o più personali, distoglie l’attenzione a questo immenso affresco di una città che non s’impone con capitelli e tramonti, ma che è là, aperta come una porta sull’infinito, magica perchè corrisponde a quella via indicibile di ricerca, diversa da tutte le altre, che ogni uomo ha.

L’Autrice, che non si pone su di essa come un erudito e non la trascura a vantaggio del filo del narrare, sembra averla di fronte come una grande amica, con la quale si può avere confidenza, anche discutendoci, soprattutto ascoltandola, magari prendendola sottobraccio. Con questo animo infatti personaggi di “Una morte sola non basta” cenano in friggitoria, parlano del futuro seduti su una panchina, cercano assistenza durante una fuga, o rammentano attimi d’amore, e, come in “Nessun segno sulla neve”, attendono ad un incontro, o soffrono delle lentezze del traffico che distingue la città da secoli, se si fa mente ad Orazio o Persio, o altri.

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Il “sessantotto a Roma non ha le tragedie eclatanti di Piazza Fontana, ma le ha più tacite e forse più terribili: “Nessun segno sulla neve” lo esprime chiaramente riportando il mutare atroce perpetrato dalle idee politiche da semplice contrasto adolescenziale o giovanile in odio sterminatore . In questo noir non si fa a pugni; ci si accoltella senza pietà, biechi, corrotti da voci di ideologie estremiste ed assassine venute da lontano, o aventi la mano nel vicino Est. Il contrasto fattosi odio ricopre ogni aspetto: da puro e solo antagonismo verso i professori, verso autorità impietrite, che spesso vedeva i ragazzi associati a buon diritto, a desiderio di distruzione, di morte, di rovina l’uno verso l’altro, sia esso uomo o donna, come se si volesse risputare la catastrofe della guerra in una coazione a ripetere. Perchè, oltre le ragioni degli storici, e da dove, al di là di Berkeley e da Parigi? Vale l’espressione di un semplice: perchè non era solo un diverbio fra età ed autorità, ma era lo strumento di penetrazione di un partito politico di stampo sovietico, al fine di prendere il potere d’Europa attraverso la destabilizzazione di ogni Stato. Un modo diverso, ma lo stesso scopo subdolo del liberismo globalizzante.

Il vero motivo del ’68 era un rovesciamento della società per la costruzione di una nuova: le donne, prima solo legate all’obbedienza, in lotta per l’emancipazione, cioè per la parità sociale e la costituzione di un proprio futuro, il riconoscimento della validità di ogni classe sociale, la fiducia nel senso di ricerca dell’istruzione, nell’innovazione; in questo, è sulla via di una totale riuscita, a cinquant’anni dalla sua manifestazione. Altro, ed i modi usati per raggiungere l’obbiettivo sono stati solamente negativi.

 Protagonista vero dei libri di Daniela Alibrandi è l’indifesa innocenza, che l’egoismo di chi dovrebbe amarla o proteggere strazia, provocando conseguenze anche a distanza atroci, sia sotto forma di difesa dell’inerme, che di vendetta o ancora compensazione di un orribile vuoto creato. Che le vittime siano spesso di sesso femminile, è perchè chi vulnera è fisicamente il più forte, stato favorito tipico dell’ego prevaricatore, ma non mancano figure maschili, come lo stesso protagonista di “Nessun segno sulla neve”, la sensibilità del quale in ogni atto è oscurata da debolezza . I noir di Daniela sono una presa di posizione contro la violenza attraverso l’esito delle tremende distorsioni che produce, che il linguaggio espositivo netto e veritiero rende ancora più ineluttabile ed agghiacciante. Ogni frase è disposta a questo, ogni vocabolo, come precise frecce diritte al bersaglio dell’umano intelletto, perchè non le sia dato adito. La poesia cede, l’amore si raggela: la violenza uccide un’anima, e quella di chi la commette, e la muta in nulla ed in lemure diabolico.

Marilù Giannone

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