Skip to main content

Orrori del comunismo

A qualsiasi titolo, e con qualsiasi convinzione, questo libro non si può ignorare. La recensione, a firma di Gherardo del Lungo, traccia semplicemente l’odissea di questo attivista che non si è arreso al “pensiero unico”

Dario Fertilio pubblica diario di prigionia di Arbnori

 

Firenze, 27 giugno 2018 – 10.320 giorni nei carceri albanesi, in celle di pietra dura, sottoposto a ogni genere di violenza. La storia di Pjeter Arbnori, attivista colpevole di essersi opposto alla dittatura comunista di Enver Hoxha, rivive nelle pagine del suo diario di prigionia, pubblicato per la prima volta in Italia dall’editore Mauro Pagliai col titolo L’arca della morte. Il testo è curato dal giornalista scrittore Dario Fertilio, già autore di importanti saggi sui regimi autoritari, e inaugura la collana «Verità Scomode», dedicata a personalità e tematiche ai margini del dibattito pubblico.
Arbnori (Durazzo, 1935 – Napoli, 2006) entra già negli anni Quaranta a far parte di un’organizzazione segreta giovanile che distribuisce manifesti contro il regime. Accusato di far parte della resistenza, ha difficoltà a studiare e lavorare, e solo una volontà incrollabile gli permette, dopo essersi iscritto sotto falso nome alla facoltà di Filologia dell’Università di Tirana, di completare gli studi e diventare docente di letteratura nella città industriale di Kavajë. Nel 1961, dopo la rottura tra l’Albania e l’Unione Sovietica, forma con altri intellettuali un’organizzazione di ispirazione socialdemocratica fondata sui valori occidentali, firmandone il programma. Scoperto dalla Sigurimi, la polizia segreta albanese, subisce due anni di interrogatori e torture, quindi un processo politico che culmina con la condanna a morte – pena poi commutata in venticinque anni di carcere, prolungata di altri dieci per aver tentato di diffondere scritti sovversivi e indirizzato gli altri detenuti ad attività controrivoluzionarie. Il suo diario di prigionia, scritto in un italiano scolastico imparato da autodidatta, è il racconto di un mondo dove la violenza è realtà quotidiana. Arbnori subisce percosse, torture con i ferri, bruciature con sigarette accese, scosse elettriche. Trascorre innumerevoli giorni in isolamento, gli viene proibito di incontrare i familiari e ricevere corrispondenza. L’igiene è scarsa, la dignità umana è ferita nei modi più crudeli. Ma Pjeter riesce a resistere alle lunghe sofferenze, aiutato anche dalla fede, e nel 1989 torna in libertà. Riprende immediatamente l’attività politica: costituito il Partito Democratico d’Albania, ne diviene il segretario generale ed è eletto deputato nelle prime elezioni libere. Per due volte, nel 1992 e nel 1996, è eletto speaker del parlamento, e sarà anche per breve tempo presidente ad interim dell’Albania. Nel 1997, in occasione di uno sciopero della fame, diventa famoso in tutto il mondo come il “Mandela dei Balcani”.
Arbnori e Fertilio si conoscono nel 2003, in occasione del primo “Memento Gulag”, la giornata della memoria per le vittime del comunismo che – per iniziativa dello stesso Fertilio con il dissidente russo Vladimir Bukovskij – si celebra il 7 novembre. Nel 2006, poche settimane prima di morire, l’attivista albanese consegna al giornalista un quaderno artigianale dalla copertina azzurra sgualcita, contenente proprio le sue memorie di 28 anni di carcere. L’opera, suo testamento spirituale, si impone oggi come una delle testimonianze più lucide e drammatiche di un regime disumano, ma anche e soprattutto come esempio di forza fisica e morale, coraggio, dignità e capacità di perdono.


Un drammatico elenco delle torture subite

La lettera scritta da Arbnori al presidente dell’Alta Corte di Giustizia albanese