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Quando le colpe della crisi non sono della finanza

UN’ EMERGENZA IN CORSO DAI CONTORNI ANCORA INCERTI

un’ analisi di  GIUSEPPE PINO 

Il quadro generale dell’effetto coronavirus sull’economia italiana, che si sta delineando, è ormai abbastanza chiaro.  
Almeno per quanto concerne lo scenario italiano: calo della profittabilità, peggioramento del capitale circolante netto, aumento dei debiti a breve, riduzione della produzione, caduta della domanda. Trasversalmente ed indistintamente per aree geografiche, settori, ambiti.
Però (magra consolazione), non possiamo colpevolizzarne il mondo finanziario. No! L’infezione è partita e si è propagata venendo da un “altro mondo”. Una volta tanto la finanza non c’entra nulla, bolle economiche e speculative non ce ne sono, mercati drogati non esistono.

L’economia e la finanza, sempre sul tavolo degli imputati, nel ruolo di carnefici, oggi sono, loro malgrado, vittime. Forse ad esse dovremo affidarci e chiedere aiuto, passata l’emergenza. Per non cadere nell’abisso e per cercare di risalire la china da imponderabili ed indefiniti scenari. Dei quali non conosciamo appieno (ma li possiamo immaginare) risvolti epocali. Sicuramente destinati ad entrare nei libri di storia per le generazioni a venire.
Il crollo delle “torri gemelle”, il default di Lehman Brothers e tutto il castello finanziario planetario “venuto giù” a suo tempo, potrebbero essere nulla al confronto. Perché sostanzialmente si è invertito un ciclo: il contagio parte dalle persone, parallelamente aggredisce l’economia reale (quella di tutti i giorni), disintegra sistemi finanziari globali.
Fatto grave e quasi inimmaginabile per un’economia moderna. Anche da accettare. Perché non è il riflesso di crisi geopolitiche, di tensioni belligeranti o guerre in corso fra nazioni. Nemmeno imputabile a catastrofi naturali, fenomeni di ecosostenibilità o migratori. No! Niente di tutto questo.

La singolarità ed eccezionalità risiede tutta qui: insondabile quanto inaspettata. Non abbiamo ancora difese (vaccini o antibiotici), non si possono alzare muri per fermare tutto ciò. Si sta combattendo contro uno sconosciuto virus (almeno al momento), insidioso e, se non si riuscirà a bloccarlo (o capirci qualcosa), presto da epidemia verrà classificato pandemia. Allora cosa fare, come reagire.
In una situazione ancora fluida, in divenire, il rischio più grande è quello di fare passi azzardati, magari inopportuni. Paradossalmente il “contagio economico” generato da shock da economia reale è molto più difficile da governare, da contenere.

Le misure drastiche, da mettere subito in campo, potrebbero risultare solo degli ipotetici palliativi. Difficili da realizzarsi, di complicata attuazione a fronte anche di un’analisi oggettiva, serena e lucida. La “paura” nei mercati finanziari non è mai una buona consigliera. Provate solo ad immaginarvi quando si palesa a fronte di scelte non volontarie effettuate dagli operatori di mercato, bensì indotte, costrette da terzi. Ovvero dalla scienza, dalla medicina.
Forse da farci rimpiangere una maggiore facilità decisionale che si applica nei contesti di “economia di guerra”, di fasi post belliche (Piano Marshall) o di tante crisi descritte e affrontate nel corso del Novecento (ad esempio crollo delle borse mondiali, del petrolio, solo per citarne alcune). In questi casi, generalmente, il nemico si conosce (o, perlomeno, pensiamo di conoscerlo).
Nel caso di specie, del Covid 19, purtroppo ancora no. Avanza e trova difese e truppe sguarnite. Insidioso, non possiamo metterci “a tavolino” con lui per trattare una tregua, un armistizio. Nemmeno tanta tecnologia imperante, vista in quest’ultimo quinquennio spesso come l’unica chiave di lettura del progresso, è riuscita ad immunizzarci. Ed anche l’economia si rimette (una volta tanto ed abbandonando deliri di onnipotenza) necessariamente alla scienza, alla ricerca, alla medicina. Aspettare! Non possiamo fare altro, al momento. La politica, però, intervenga subito iniettando fiducia e speranza: questo chiedono gli italiani e non solo gli imprenditori!

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