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Rilancio Italia, una “doccia scozzese”

Il Rilancio dell’Italia,
ennesima occasione mancata

Torquato Cardilli

Piano Prestito Patriottico 
Sono due anni che vado predicando inutilmente che l’Italia per risollevarsi economicamente, avrebbe dovuto sollecitare l’amor proprio degli Italiani (le famiglie detengono titoli pubblici solo per il 3% del debito dello Stato) per indurli ad investire parte della loro enorme ricchezza fluida, valutata intorno al doppio del Pil nazionale, nel cosiddetto prestito patriottico. 
La mia proposta prevedeva che il prestito fosse riservato esclusivamente ai contribuenti Irpef o d’impresa con imponibile in Italia e direttamente collegato con uno sconto sulle tasse dell’1% del capitale investito. In altre parole il sottoscrittore di 100 mila euro avrebbe potuto pagare 1.000 euro di tasse in meno ogni anno fino alla redenzione dei titoli.

Stop and Go ovvero le Famiglie e la Famiglia  

Dopo tante pene e preoccupazioni per il diffondersi dell’epidemia, finalmente la settimana scorsa sono arrivate due ottime notizie, suscettibili di accendere una speranza sul piano della tenuta economica del paese a dispetto delle temerarie fibrillazioni politiche da parte di Renzi e dei suoi accoliti, soliti spararle grosse per fare poi una puerile marcia indietro.

Il Ministro del Tesoro con il suo staff, dopo lungo travaglio, ha offerto sul mercato la sottoscrizione dei Btp Italia, destinati a contribuire alle spese dello Stato per l’emergenza della pandemia virale nei settori della sanità, dell’occupazione, del sostegno alle piccole imprese.  
I buoni del tesoro, per la prima volta sottoscrivibili direttamente on line in una quantità aperta, con scadenza a 5 anni non sono collegati ad uno sconto fiscale, ma assicurano un rendimento minimo dell’1,4% all’anno, indicizzato al tasso di inflazione italiana, con cedole semestrali ed un premio di fedeltà dell’8 per mille se il titolo viene mantenuto per tutta la sua durata. 
L’accoglienza che le famiglie italiane hanno riservato all’offerta è stata robusta, tanto che nei soli primi due giorni sono stati sottoscritti ben 6 miliardi di euro. Tale entusiasmo è stato subito spento da una notizia che al piccolo risparmiatore italiano ha fatto l’effetto di una secchiata di acqua gelata.

Burocrazia e Geroglifici

La FCA (ex Fiat, società multinazionale non più italiana, con sede fiscale in Inghilterra e sede legale in Olanda) ha subito sfruttato il famoso decreto “liquidità”, annunciato come bazooka dal presidente del Consiglio, si è messa in prima fila per risparmiare sui costi di finanziamento che sarebbero stati molto più alti se avesse dovuto far ricorso al credito normale.  Ha presentato la domanda per avvalersi del prestito a tasso agevolato di 6,3 miliardi con assicurazione della SACE garantita dallo Stato per l’80% dell’importo erogato per intero dalla banca torinese Intesa S. Paolo.
E qui sono costretto a ripetere quanto già denunciato circa l’ottusità burocratica di chi concepisce e scrive i testi di legge di cui i semplici cittadini non capiscono nulla al pari dei parlamentari che li votano al buio. Come avrà fatto FCA a districarsi nell’oscura congerie di ben 472 rinvii ad altre leggi e decreti, persino del periodo regio, contenuti nel cosiddetto decreto bazooka di liquidità più oscuro dei geroglifici? Mistero.

Viene il sospetto che in Fiat, per aver reagito con tale rapidità allo sfruttamento economico di quanto previsto dal decreto, ne avessero una previa conoscenza, senza bisogno di ricorrere a Champollion ed alla sua stele di Rosetta per decifrarne il contenuto. 
Ciò che desta ancor più sorpresa è l’entità del prestito richiesto che è di poco superiore ai 6 miliardi di euro che i sottoscrittori italiani hanno dato allo Stato in cambio dei BTP. Per cui estremizzando in modo grossolano si può dire che i risparmiatori italiani hanno costituito il tesoretto per assicurare il debito della FCA. 
Come se ciò non bastasse il Governo non è stato capace, o non ha voluto, porre condizionalità severe, nero su bianco; dopo un timido ballon d’essai di possibile delimitazione di vincoli e condizioni, si è accontentato della risposta di FCA di avere pieno titolo per chiedere il prestito in base alle norme nazionali ed europee. 
La Fiat, e per brevità diciamo la galassia Agnelli-Elkann, già padrona di buona parte della stampa nazionale, possiede metà della FCA e questa metà è ceduta al 50% alla francese Peugeot che, nella fusione esprime l’amministratore delegato e la maggioranza nel consiglio di amministrazione. In altre parole la SACE dà la copertura assicurativa sul prestito all’intera FCA, domiciliata all’estero, che per metà è americana e per un quarto francese, senza che gli altri soci abbiano tirato fuori e messo sul piatto un solo euro e senza che ci sia stato un impegno cogente a far rientrare la società in Italia.

Immancabile esterofilia

Purtroppo non è finita qui. Non solo non c’è alcuna garanzia che quei soldi del prestito non escano dall’Italia, ma FCA si appresta a retribuire gli azionisti con un dividendo di 5,5 miliardi (quasi quanto sborsato dai risparmiatori italiani), di cui un quarto, cioè quasi un miliardo e mezzo andrà direttamente nella cassaforte della proprietà italiana esentasse.

Riassumendo: i piccoli risparmiatori hanno dato allo Stato 6 miliardi;  FCA ha chiesto un prestito di 6,3 miliardi  a tasso agevolato assicurato dallo Stato; FCA che solo per un quarto è italiana non ha chiesto identico finanziamento agli altri partner lasciando tutto il peso solo sull’Italia; FCA a parole si è impegnata a dar corso ad investimenti per 5 miliardi, già promessi da novembre 2018 e mai realizzati, per cui anziché tirare fuori capitali propri se darà corso agli investimenti promessi due anni prima lo farà con il prestito garantito ora dallo Stato; se il settore auto dovesse continuare a risentire della prolungata crisi congiunturale è evidente che i soci di FCA faranno i tagli soprattutto al ramo italiano che è in minoranza e che non ha un patto ferreo sul mantenimento del piano occupazionale in Italia; FCA si appresta a retribuire gli azionisti con un dividendo di 6 miliardi, di cui un quarto riservato a Fiat, cioè con i 6 miliardi prestati allo Stato dai sottoscrittori italiani.

Siccome iene e sciacalli non agiscono mai in solitario, poteva finire qui? No. All’orizzonte della prateria è comparso anche il gruppo Benetton, quello del ponte Morandi, che ha incassato montagne di miliardi sulle concessioni statali, che ha omesso le manutenzioni, che ha concesso liquidazioni milionarie ai sui dirigenti e che ora chiede un prestito di poco inferiore ai due miliardi per fare il minimo sindacale di manutenzione sulle autostrade che continua a gestire in monopolio.

Altro drago divoratore di quattrini è Alitalia, vero buco nero delle finanze di tutti gli italiani, che non sazia di aver inghiottito già 10 miliardi a fondo perduto ed in prestiti ponte non restituiti, ora chiede un altro prestito di tre miliarducci come se fossero noccioline. 
Pensate che la stampa abbia stigmatizzato la valenza di queste operazioni solo a vantaggio dei grandi gruppi, mentre migliaia di piccoli imprenditori debbono fare una vera via crucis burocratica prima di ottenere un prestito di 50.000 euro? 
Dopo questa doccia fredda ci voleva una notizia più allegra per risollevare lo spirito degli italiani, caduti in depressione. Il primo Ministro Conte sette giorni fa aveva messo per iscritto in una lettera alla Presidente della Commissione europea Von der Leyen quali fossero le condizioni italiane per lanciare il “recovery fund” di 500 miliardi a fondo perduto, inteso come debito europeo e non dei singoli Stati.

Il 20 maggio Conte ha ricevuto conferma da Macron e dalla Merkel che si sono consultati (come previsto dal patto di Aquisgrana) e dichiarati favorevoli a concedere il prestito assegnabile a ciascun stato membro in proporzione ai danni subiti per il Coronavirus. A queste condizioni l’Italia dovrebbe ricevere un quinto del fondo, circa 100 miliardi, molto di più di Germania e Francia mentre la Gran Bretagna che è fuori dall’Europa resterà a bocca asciutta malgrado sia stato il paese europeo che abbia sofferto più di tutti in termine di vite umane dalla pandemia. 
E qui arriva la doccia scozzese. L’entusiasmo suscitato da questa notizia è stato subito spento da un’altra secchiata di acqua gelata: il no tetragono dei Paesi del Nord, capitanati dalla solita Olanda con Austria, Svezia, Danimarca e altri Stati sovranisti, ostili ad ogni forma di solidarietà.

L’ultima parola sta ora al Consiglio Europeo dei capi di Stato e di Governo. È lì che Conte dovrà usare il vero bazooka.

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