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Scelte in salute, un progetto “saggio” fa dialogare meglio medico e paziente

La salute è protagonista del progetto “Fare di più non significa fare meglio” di Choosing wisely Italy, promosso da Slow medicine – che non significa medicina lenta, bensì ponderata, riflessiva, ragionata. Promosso in analogia a Choosing wisely Usa, ha diversi obiettivi attuati attraverso una serie di azioni e raccomandazioni. Il ruolo di Slow Medicine, nata nel 2011 come movimento di idee per riportare i processi di cura (anche reciproca) nell’ambito dell’appropriatezza, riconoscendone e sostenendone il valore all’interno di una relazione di ascolto, di dialogo e di condivisione delle decisioni con il malato, è sintetizzato in tre parole chiave.

Sobria, perché agisce con moderazione, gradualità e senza sprechi; rispettosa, perché è attenta alla dignità della persona e al rispetto dei suoi valori; giusta, perché impegnata a garantire cure appropriate e basate sulle migliori prove di efficacia disponibili per tutti. Queste ultime sono inserite tra le buone pratiche clinico-assistenziali nel Sistema Nazionale Linee guida – Snlg dell’Istituto Superiore di Sanità.

Scelte terapeutiche informate

Il razionale del progetto è che coniugare responsabilità dei curanti e partecipazione di pazienti e cittadini favorisce il dialogo e porta, grazie alla condivisione, a scelte terapeutiche informate, consapevoli e condivise. In Italia sono infatti molti gli esami diagnostici, i trattamenti e le procedure a rischio di non appropriatezza frutto della mancanza di relazione e comunicazione.

Il rapporto medico – paziente è sovente ancora, e sin dal giuramento di Ippocrate, caratterizzato da un’etica medica paternalistica, esplicitata nell’agire/non agire del medico per il bene del suo paziente. Ciò, senza necessariamente chiederne esplicito assenso. La procedura di raccolta, ad esempio, del consenso informato ai trattamenti, viene ancora troppo spesso relegata a fatto amministrativo. E non, come invece dovrebbe, diventare il momento per creare o rinsaldare la relazione di fiducia, che – quando ad esempio il curante è il medico di medicina generale – non si esaurisce in un tempo e spazio definito, ma si nutre di comunicazioni graduali, progressive e veritiere.

Ho fiducia in te

Se questa fiducia c’è, il paziente – cittadino – si sentirà per così dire autorizzato a fare al medico, quando questi gli prescrive un esame, un trattamento o un intervento chirurgico, alcune domande. Ho veramente bisogno di questo esame? Quali sono i rischi? Ho alternative più semplici e sicure? E, inoltre, cosa succede se non faccio questo esame/trattamento/intervento?

Sono queste le domande condivise dal movimento internazionale Choosing Wisely che abbraccia, a livello mondiale, 25 Nazioni e un altissimo numero di società scientifiche, oltre 50 in Italia. Il ruolo attivo di pazienti e cittadini consapevoli nel progetto “Fare di più non significa fare meglio” si esplicita anche nel coinvolgimento e partecipazione di pazienti, familiari/caregiver e cittadini consapevoli, indispensabili per l’elaborazione e la diffusione di materiale informativo con contenuti di qualità. Solo chi ha una determinata malattia, o è il soggetto familiare curante, può conoscerne ogni aspetto, anche quelli meno evidenti e spesso più destruenti.

La rete

Anche il Gruppo Italiano per una Sanità Partecipata – GISPa, partner del progetto, ha come principale obiettivo quello di rendere concreta l’interazione e la collaborazione tra associazioni di cittadini e pazienti, istituzioni e comunità medico-scientifica. Lo scopo ultimo da perseguire è il miglioramento della qualità e della sicurezza dei servizi sanitari. La ricetta proposta prevede il rafforzamento di un clima culturale che miri alla riduzione di pratiche che, secondo la più aggiornata letteratura, non apportano benefici significativi alle persone cui sono generalmente prescritte, ma, al contrario, possono esporle a rischi. Quanto l’organizzazione GISPa propone, tuttavia, nella società sempre connessa, potrebbe portare al black-out. Se da un lato è vero che il paziente deve informarsi ed essere informato, dall’altro sorge la preoccupazione di trovarsi di fronte – nell’imminenza di una visita, trattamento, esame – un cittadino con in mano lo scettro del sapere, consegnatogli personalmente dalla rete.

Raccomandazioni

È virtuosa Choosing wisely, che attua il suo mandato di “scelta saggia” attraverso una serie di passaggi. Ascolta e accoglie 5 raccomandazioni per ciascuna società scientifiche e associazione professionale italiana a essa affiliata: facilmente accessibili e molto utili – talvolta datate – rappresentano un piccolo sostegno anche per il cittadino in cerca di risposte affidabili a domande frequenti.

Iniziano quasi tutte con NON.

Leggiamone alcune a titolo di esempio:
– Acqua: non bere acqua in bottiglia ma, ove possibile, privilegiare quella del rubinetto che spesso ha caratteristiche organolettiche migliori ed è sottoposta a rigorosi controlli di qualità. Usare l’acqua sempre con parsimonia.
– Radiazioni ionizzanti: non eseguire mai radiografie senza una specifica indicazione clinica;
– Alimentazione: limitare i cibi di origine animale e quelli trasformati di produzione industriale. Privilegiare frutta, verdura, cereali e legumi integrali, meglio se freschi, locali, di stagione e coltivati in modo biologico;
– Non programmare il taglio cesareo iterativo di routine in tutte le gravide con un pregresso taglio cesareo;
– Non rimandare l’inizio di una pianificazione condivisa delle cure con il paziente, quando l’evoluzione della malattia rende importante comprendere le aspettative e i desideri della persona malata in merito alle scelte possibili alla fine della vita.

L’applicazione delle raccomandazioni – tantissime, scaricabili dal sito dell’organizzazione anche per parola chiave – avviene attraverso l’alleanza tra professionisti, pazienti e cittadini. La comunità scientifica, spesso coadiuvata da Enti del Terzo Settore e loro personale (medici, infermieri, fisioterapisti, Oss), promuove iniziative formative sul territorio così da favorire nei professionisti socio-sanitari l’acquisizione di competenze nell’ambito della comunicazione, oltre che della clinica.

Il tempo della relazione è tempo di cura

Quanto emerge dai racconti delle persone malate è, infatti, la mancanza di tatto, la difficoltà dei curanti a utilizzare un linguaggio chiaro e conciso, privo di “paroloni”, la fretta (mal celata) di terminare la visita/colloquio. Ed è proprio questo tempo che torna alla ribalta a cinque anni dall’entrata in vigore della Legge 219/2017, normativa che ha messo l’Italia al passo con l’Europa e con l’Occidente in generale.
Discussa sui divani e nei salotti televisivi oltre che in Parlamento, la 219 è espressione di un nuovo paradigma. La persona con malattia è al centro, il curante con lei: uno dinanzi all’altro, forse addirittura a fianco, in uno scambio che vede nella relazione un tempo dedicato alla cura.

Dammi ancora un minuto

Purtroppo non è ancora bandito il minutaggio assistenziale, tutto da rivedere. Luca Dall’Asta, professore associato presso il dipartimento in scienza applicata e tecnologia dell’Università di Torino, alcuni anni fa intervenne in un incontro di Choosing wisely con interessanti considerazioni. «La logica del minutaggio assistenziale prevede un tempo di assistenza che varia da 120’ die per i reparti di degenza ordinaria, fino ad un massimo di 600 minuti per le aree intensive» esordì.

«È pertanto desumibile che i riferimenti al cosiddetto “minutaggio assistenziale” rappresentino un metodo di calcolo e attribuzione delle risorse umane economicamente sostenibile, ma eticamente e umanamente incompatibile, anche alla luce dell’evoluzione professionale, con l’attenzione nelle cure e la crescente complessità del paziente».

Tale incompatibilità etica e umana delle risorse necessita di una rapida revisione. Tuttavia, ancora una volta, conosciamo il problema, ma non abbiamo la soluzione. Le risorse umane necessarie a prendere in carico e prendersi in cura del numero sempre crescente di malati – molti gli anziani, tante le persone con più patologie e cure ad alta intensità – non ci sono.

Sono ancora eroi?!

Questi professionisti della salute, per inciso, sono quelli stessi che, ricordiamolo, considerammo eroici durante la pandemia e che oggi vengono troppo spesso insultati e malmenati durante i turni.

Un recentissimo articolo pubblicato su Quotidiano Sanità – l’ottavo più letto negli ultimi giorni – ha diffuso dati Eurostat che non lasciano dubbi. Le principali professioni socio–sanitarie “sotto osservazione” perché risicate nel numero o mal distribuite nella Penisola, o in base alle funzioni svolte, sono medici, infermieri, ostetriche. Di queste ne mancano 8.300. Dati che lasciano stupefatti anche se già noti al Paese a causa delle tante esperienze personali negative vissute in ospedale, in pronto soccorso, nelle case di cura: le falle nel sistema di selezione dei professionisti della salute sono scandalose.

Tra i profili mancanti ora anche il personale di supporto all’assistenza, di cui fanno parte ad esempio ASA, OSS, caregiver domiciliari/familiari.

L’Italia è ancora molto al di sotto delle medie Ocse, il cammino per raggiungere i numeri utili a ricostruire una rete assistenziale capace di raggiungere ciascun cittadino – quindi omogenea a livello nazionale – e di rispondere ai bisogni assistenziali di qualsiasi tipologia di paziente/patologia sembra ancora lungo. Ma come possono essere fatte scelte informate e condivise se mancano la buona comunicazione, la relazione e il tempo? Come si può accogliere e accompagnare la persona con malattia nel percorso diagnostico-terapeutico se non ci sono medici e infermieri con le competenze e le specializzazioni di cui c’è bisogno? La rivoluzione che serve per rimetterci perfettamente in piedi, chiaramente, deve abbracciare anche la cultura, quella con “C” maiuscola.

La salute è un bene prezioso, forse quello più prezioso. E se davvero la saggezza è per l’anima ciò che la salute è per il corpo – come affermò De La Rochefoucauld – abbiamo già una suggestione da cui partire.

©  Senza Filtro                                                                                                                                                                                                                                                   © Chiara Francesca Caraffa


Chiara Francesca Caraffa

Impegnata da sempre nel sociale, è Manager del Terzo Settore in Italia, ove ricopre ruoli istituzionali in differenti Organizzazioni Non Profit. Collabora con ETS in Europa e negli Stati Uniti, dove promuove iniziative per la diffusione della consapevolezza dei diritti della persona, con particolare attenzione all'ambito socio-sanitario. Insegna all'International School of Europe (Milan), dove cura il modulo di Educazione alla salute. Cultrice di Storia della Medicina e della Croce Rossa Internazionale ed esperta di antiquariato, ha pubblicato diversi volumi per Silvana Editoriale e per FrancoAngeli.

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