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TRA MITO E LEGGENDA: IL LUPO MANNARO

Faccio cose di cui dopo mi vergogno, ho sogni che non puoi lontanamente immaginare (Lupo mannaro americano a Londra)

 

Il licantropo è una figura che ha sempre affascinato e terrorizzato un poco tutti. Il licantropo, (dal greco λúkος, lýkos «lupo» e ἄνθρoπος ánthropos «umano» quindi letteralmente: «lupo-umano») chiamato anche lupo mannaro o uomo lupo , è una creatura leggendaria della mitologia e del folclore che poi é divenuta un canone della letteratura e del cinema dell’orrore.

Il licantropo è una creatura condannata dalla nascita o da una maledizione a trasformarsi in lupo ad ogni plenilunio; di questa maledizione poi il portatore può raggiungere un certo grado di controllo ma ciò non è detto. La forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo in tutta l’europa, ma in altre culture prevalgono l’orso,vedi leggenda del berserk/bearsirk nella mitologia norrena, la volpe chiamata Kitzune nelle leggende giapponesi, il bue Erchitu e il bue Muliache nella tradizione sarda o il gatto selvatico. Attraverso la letteratura e le varie versioni cinematrogafiche sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si possa uccidere solo con un’arma d’argento o che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Si credeva inoltre che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione venisse infranta. Nella letteratura medica, con il termine licantropia clinica è stata descritta una rara sindrome psichiatrica che avrebbe colpito le persone, facendo sì che assumessero atteggiamenti da lupo durante particolari condizioni (come le notti di luna piena). In modo analogo un licantropo era semplicemente una persona affetta da questo disturbo ed è con questo unico significato che la voce è riportata su alcuni importanti dizionari della lingua italiana (Devoto e Oli, Dizionario della lingua italiana). In tempi recenti, l’esistenza di tale disturbo è stata considerata rarissima (Vinattieri, Dizionario di psichiatria e psicoanalisi).

                                        ETIMOLOGIA

“Licantropo” viene dal greco λύκος lýkos, “lupo” e ἄνθρωπος ánthropos, “uomo”. “Lupo mannaro” deriva dal latino volgare *lupus hominarium (Devoto, Avviamento all’etimologia italiana), cioè “lupo umano” o “lupo mangiatore di uomini” oppure dal latino lupī hominēs, sviluppatosi in area meridionale come calco del greco λυκάνθρωποι lykanthrōpoi e poi nel pugliese centrale lëpòmënë e nel calabrese settentrionale lëpuòmmënë – a cui si sarebbe aggiunto un suffisso -rë, come nell’abruzzese lopemënarë(Battisti e Alessio, Dizionario etimologico italiano)

                                   DIFFUSIONE DEL MITO

Il lupo è stato un animale soggetto a radicali cambiamenti nel tempo, dimostrando la sua intima connessione all’immaginario umano, il lupo è un simbolo dai tanti significati: amato per gli stessi pregi che hanno fatto del suo discendente, il cane, l’animale domestico per eccellenza; invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l’astuzia, addomesticato per diventare un alleato; questo stesso simbolo venne poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e poi demonizzato durante il Medioevo. Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell’uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza dell’animale totemico e del predatore che é in grado di scovare e uccidere la preda e il lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori nomadi delle steppe dell’Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo protettore. Il pastore e l’allevatore, invece, hanno un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diventa minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili. Il mito di un essere umano che si trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture. I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella prima età del bronzo, quando le migrazioni delle tribù nomadi indoarie le portarono in contatto con le popolazioni stanziali europee. Il substrato di religioni e miti “lunari”(lupo come animale propiziatore e fecondatore) e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle religioni “solari”(lupo legato alla caccia) e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. In Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli. In Kamčatka, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età da marito si sposassero entro lo stesso anno. Questo intimo legame, nel bene e nel male, tra l’uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche. Le leggende riguardo agli uomini-lupo si moltiplicano in tutta Europa dall’Alto Medioevo in poi. Il corpus mitologico che ne scaturisce si manterrà sostanzialmente in costante espansione fino al XVIII secolo, con punte di massima crescita tra il XIV e il XVII secolo, in coincidenza con le più grandi cacce alle streghe dell’Inquisizione. Dal Settecento in poi si tenderà a sconfessare apertamente la possibilità che un essere umano si muti fisicamente in un lupo, e la licantropia rimarrà contemplata solamente dalla psichiatria come affezione patologica che porta il malato già “lunatico” a credersi bestia a tutti gli effetti. Nel folclore locale mantiene tutt’ora solide radici.

                       LUPO MANNARO IN ANTICO EGITTO

Chiedere a un egiziano nell’antichità o al giorno d’oggi se esistono creature capaci di trasformarsi in animali è come chiedere a un indiano dell’India se esistono gli aereoplani o quelli che noi chiamiamo u.f.o. , vi direbbero entrambi che le loro società vivono da sempre con queste realtà davanti ai loro occhi.
Nell’Antico Egitto a partire dalla seconda dinastia fu presente una divinità teriomorfica (teriomorfismo dagli etimi greci Θηριον thēr, thērós, “bestia feroce”, e μορφή morphē, “forma”) fra tante che a noi interessa per questo articolo, il dio Anubi che nella concezione é una divinità che ha aspetto (forma) di animale con caratteristiche sia umane sia canine. Questa divinità veniva raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo. Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all’inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno (2134-1991 a.C.), quando si diffondono maggiormente le tombe in pietra riccamente decorate. È da specificare che in questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l’aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell’immaginario egizio e questa convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della religione egizia. Questo tipo di caratteristiche si riscontrano in varie religioni: non è tuttavia sempre facile determinare, nei singoli casi, se si tratti della venerazione per una intera specie di animali, considerate quindi sacre nella loro totalità, o per singoli animali di una determinata specie, ritenuti per particolari ragioni manifestazioni di una divinità. In genere la presenza di una divinità concepita come animale comporta che gli animali di quella specie vengano rispettati: così nell’antico Egitto, dove era venerata la dea-gatta Bastet, esisteva il divieto di uccidere gatti; tuttavia, sempre in Egitto, l’esistenza di divinità in forma bovina e il culto dei tori (come Api), ritenuti incarnazione della divinità, non escludevano dalla macellazione e dall’alimentazione umana i bovini stessi, ed in questo c’è una grande differenza con l’India.
In vari casi si riscontra la tendenza a eliminare, in tutto o in parte, gli elementi animaleschi dalla rappresentazione delle divinità, a vantaggio della rappresentazione in forma umana. In tal caso si parla più propriamente di teriocefalia (dal greco thēr / thērós, Θηριον, “bestia feroce” e kephalé, κἐφαλος, “testa”) o teriantropia (dal greco thēr / thērós, Θηριον, “bestia feroce” e anthrōpos, ανθρωπος, “uomo”). Così nella religione egiziana la dea Hathor può essere rappresentata da una vacca o da una donna con la testa di vacca; nella religione greca tale tendenza è spinta più oltre, e, ad esempio, il dio fluviale Acheloo, che originariamente aveva l’aspetto di un toro, ben presto fu rappresentato in aspetto umano con le sole corna; si assiste anzi al fenomeno per cui la divinità assume figura completamente umana, mentre l’animale che originariamente la rappresentava diventa semplicemente il suo simbolo o il suo animale sacro. Tale è il caso di Atena e della civetta.

ANTICA GRECIA: ZEUS E DANAO, APOLLO-FEBO E LICAONE, MORMOLICHE

Nell’Antica Grecia compaiono altre raffigurazioni, rispettivamente Zeus, Febo e Licaone. Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di Liceo era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso a causa del malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e per appoggiare l’eroe Danao, che al re fu sostituito. Danao in questo modo divenne il re di una delle città più importanti del mondo greco tanto che nell’iliade si parla di forze greche sia con il nome di achei che di danai. Apollo-Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa e quindi Apollo Febo ha la capacità di mutare forma e può quindi mutarsi in lupo quando vuole. A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele (il Liceo di Aristotele, da cui prende il nome l’ordine scolastico, detto, appunto, liceo). Il lupo diviene quindi animale della sapienza. L’interpretazione non è comunque univoca; secondo il nome deriverebbe da (Apóllōn) lýkeios, quindi “uccisore del lupo” (Montanari vocabolario della lingua greca)
Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere. Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi (vedi articolo sui miti della creazione nel mondo greco) , fonda sul monte Liceo la città di Licosura, la prima città di questo popolo. Lo stesso Licaone in seguto divenne un feroce re dell’Arcadia quando venne adorato come dio dalla sua popolazione. Un giorno dette ospitalità a un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d’uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli li trasformò in lupi, costringendoli a vagare per i boschi in forma di bestia. L’economia nella zona dell’Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata all’allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi in questo contesto storico l’atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale nei confronti del lupo; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. La lupa Mormolice invece è il demone femminile che secondo le madri greche fa diventare zoppi. L’origine della parola deriva dal termine Mormo ”terribile” e lice per ”lupo”. Il nome potrebbe derivare da una donna, Mormo per l’appunto, che aveva buttato i suoi figli fuori dalle finestre di casa. Mormo divenne poi l’equivalente greco del Lamia e Mormoliche venne identificato come l’orsogufo in forma di spauracchio per i bambini. Il “lupo cattivo” di 2000 anni di favole, ha quindi i suoi natali nella Grecia antica.

  ANTICA ROMA: L’AJTA ETRUSCO, ROMOLO E REMO,       IL VERSIPELLIS

La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente in tutte le zone europee: nelle tribù galliche è un carnivoro necrofago e viene raffigurato seduto come un uomo nell’atto di divorare un morto. Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze del mannaro, il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.
Nel mondo romano il primo esempio della coesistenza di uomo e lupo è nella leggenda della lupa che allatta Romolo e Remo. È difficile invece stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi. Di certo, la figura del lupo mannaro compare, ancora in epoca classica, nel I secolo nella narrativa della Roma antica. Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all’interno dell’esercito. I vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l’elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all’interno del corpo di un uomo, che poi si “rivoltava” assumendo le fattezze bestiali. Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (identificato dai Greci con il loro Pan), nel corso della quale il sacerdote, vestito da lupo, passava un coltello bagnato di sangue sulla fronte di due adolescenti (questo aspetto della cerimonia era probabilmente derivato da un originario sacrificio umano). Luperco era il protettore delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini. Essi identificavano sé stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori. Il termine “lupo mannaro” ha origine dal basso latino lupus hominarius, il cui significato etimologico è “lupo che si comporta come un uomo”. I Romani colti sembrano piuttosto consapevoli che la licantropia fosse concepita soprattutto come affezione psichiatrica piuttosto che come reale condizione fisica, e in ambito ellenico lo stesso Claudio Galeno nella sua Arte medica dà una descrizione più realistica di questa malattia, prescrivendo anche dei rimedi: è un morbo della specie della melanconia, che va inciso per fare evacuare il sangue e nel frattempo il malato va nutrito con cibi succosi e deve dare bagni con acqua dolce e prendere teriaca per alleviare la melanconia. La malattia viene identificata per molti versi come l’idropsia cui è stata accumunata anche in seguito.
Nel latino medievale, infine, wargus designa il lupo ma deriva da una parola germanica che indica l’uomo che viene punito per un crimine (ricordiamo qui i warg, cavalcati soprattutto da orchetti e goblin della mitologia fantasy del signore degli Anelli di Tolkien). Nella società germanica questi veniva allontanato dalla civiltà e dalla protezione che essa offre, divenendo simile all’essere selvatico per eccellenza. “Criminale” è detto dunque wearg in Antico Inglese, warag in Antico Sassone, warc(h), in Antico Alto Tedesco, vargr in Norreno e wargus in Latino medievale (come prestito dal Germanico) e a questo termine venne associato anche il lupo mannaro in questa epoca e in questo ambito spaziale.

         NORD EUROPA: I BERSERKR (ma non erano orsi?)

Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di guerrieri, uomini e donne, consacrati a Odino, i berserkr, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi, mentre gli úlfheðnar si tramutassero in lupi. Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo rendono  un ”gigante” di lupo. Due dei suoi figli lupi, Skǫll e Hati, inseguono dall’alba dei tempi il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e finiranno per divorarli nell’ultimo giorno del mondo. I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell’epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nella storia di Sigmund e Sinfjotli, ad esempio, questi due avventurieri rubano le pelli appese in una casa prendendo in questo modo la maledizione della licantropia, riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli. Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell’orso mannaro o del gatto selvatico. La diffusione di queste credenze è testimoniata da Olaus Magnus nella sua Historia de gentibus septentrionalis. Ulfhendhnir è il nome dato in molte regioni settentrionali a questi esseri, e il suo significato è “dalla casacca di lupo”.

              LUPI MANNARI IN ZONE LIMITATE IN EUROPA

In Italia il lupo mannaro assume nomi diversi da regione a regione: lupi minari nel forlivese (ben documentata nel 1437), lupu pampanu o marcalupu in Calabria, Lupunaru in palermitano Palermo Sicilia, , Malaluna a Porticello, luv ravas nel cuneese, loup ravat nelle valli valdesi. In Lunigiana (Fortezza del Piagnaro a Pontremoli) viene segnalata la figura del lupomanaio, che comunque deve provenire da una zona linguisticamente toscana data la terminazione in -aio. Nella Francia centrale e meridionale il lupo mannaro è il loup garou. L’etimologia è incerta; secondo Carlo Battisti e Giovanni Alessio garou deriva dal francone *wari(-wulf), “uomo(-lupo)”[5], mentre secondo altri deriva da loup dont il faut se garer, ovvero “lupo dal quale bisogna guardarsi”. Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert. In Germania e in Gran Bretagna esiste il werwulf o werewolf, la cui origine etimologica è la medesima: wer, dalla stessa radice del latino vir (“uomo”) e wulf o wolf (“lupo”). Nell’Europa dell’Est compare una figura ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di risucchiare la forza vitale (che, più tardi, si identificherà col vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l’origine del nome rimane sempre la stessa. È detto oboroten in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac’ (la forma forse più nota), in Romania.

               IL LUPO MANNARO NELLE DUE AMERICHE

In America gli indiani Pawnee si ricoprivano di pelli di lupo perché credevano sinceramente nella loro parentela con i lupi e c’é da notare che questo non aveva valore mimetico perché chi teme l’uomo teme anche il lupo. bisogna poco dopo la scoperta delle Americhe i coloni sostenevano che la licantropia fosse una maledizione dei “pelle rossa” dovuta all'”incrocio” di sangue tra coloni e indiani dovuti a matrimoni misti o ad altre motivazioni come gli stupri compiuti meschinamente da coloni nei confronti degli indiani, altri invece sostenevano fosse la punizione di Dio per aver accettato scambi con gli indiani. Dal canto loro i nativi americani sostenevano che la licantropia fosse una malattia o maledizione portata dai coloni. In Argentina e Paraguay esiste la leggenda del Lobizon dove si narra che il settimo figlio maschio di un settimo figlio maschio nascerà uomo-lupo. Nel Suriname è presente la figura dell’Azeman, spirito malvagio femminile con caratteristiche sia del licantropo che del vampiro (vedi il mio articolo sul vampiro). Costei poteva essere fermata lasciando del miglio da contare per terra, infatti come spirito soffriva dell’aritmomania per cui si fermava a contare i chicchi, e in questo modo inquisita e scacciata o uccisa, a seconda dei tempi, nel giorno seguente.

                       EPIDEMIE MEDIEVALI (ANCHE QUI)

Dal basso medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaformi, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia e Germania.        Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma sia nei Paesi cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti al rogo con l’accusa di mannarrismo, da sola o in congiunzione con quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il tredicesimo e il sedicesimo secolo,  alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer. Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria collettiva, che è ben testimoniata dagli studi di Jacques Collin de Plancy. De Plancy, studioso francese dell’Ottocento che si dedicò animatamente a studi di natura volterriana per spazzare la superstizione residua nella gente.  A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.

                      COME DIVENTARE UN LUPO MANNARO

Molti sono i modi per diventare licantropi. L’unico che non figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso. Il morso come veicolo dell’infezione muta forma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo.

Per tutto il medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia. Ciò, ovviamente, implica che la trasformazione sia volontaria. Per compierla ci si deve spogliare della propria pelle e indossare una pelle di lupo. Se si è restii ad autoscorticarsi, può bastare indossare una cintura confezionata con la pelle di questo animale. Caratteristica fondamentale perché la pelle possa funzionare è che la testa sia sostanzialmente intatta, se possibile con ancora il cranio inserito a supporto dei denti. La pelle, ovviamente, non può essere quella di un comune lupo, ma deve essere una sorta di veste maledetta. Questa deve essere consegnata da Satana, o chi per lui , che volentieri la fornisce a persone terribili, oppure, secondo consolidata tradizione, in cambio dell’anima. Un’alternativa all’uso della pelle è il ricorso a unguenti o filtri magici. Uno dei componenti fondamentali è quasi sempre il grasso di lupo. A volte questo viene mescolato con sostanze tossiche come la belladonna o dagli effetti psicotropi. Una delle più note ricette di filtro magico prevede di mescolare cicuta, semi di papavero, oppio zafferano, prezzemolo. Parte andava spalmata sul corpo e parte bevuta. Non è quindi improbabile che una persona, se assume un simile intruglio e sopravvive, si comporti come un animale invasato, arrivando ad essere pericoloso. Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere “acqua licantropica”, cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo-lupo.

La volontarietà di queste trasformazioni fa sì che possano avvenire in ogni ora del giorno o della notte e in ogni momento. Questo significa che, secondo molte tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena per essere in salvo dai lupi mannari. Il plenilunio assume importanza, anche se non sempre risulta fondamentale, nelle trasformazioni involontarie. Il primo autore ad associare la trasformazione alle fasi lunari è stato presumibilmente Gervasio di Tilbury uno scrittore medievale. L’idea dell’influsso della luna piena viene ripreso e ritenuto fondamentale dalla maggior parte delle leggende. Vi sono tradizioni ad esempio in Calabria secondo cui il licantropo si può trasformare anche sotto l’influsso della luna nuova. L’involontarietà della trasformazione non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche il venir maledetti da una strega, come pure da un santo o da persona venerabile può portare alla licantropia. San Patrizio secondo la tradizione, si dedicò a maledire e trasformare in lupi intere popolazioni, così come San Natale. I motivi per cui si può venire maledetti sono molteplici: eresia, empietà, antropofagia (qui ritorna il mito di Licaone), al limite anche solo essere nati in certi periodi dell’anno. Chi nasce la notte di Natale a cavallo della mezzanotte o il giorno dell’epifania, per esempio, ha buone probabilità di diventare lupo mannaro. Si tratterebbe di una sorta di maledizione divina per punire un gesto quasi blasfemo. Per salvare il figlio dalla crudele sorte, il padre, utilizzando un ferro rovente, deve incidere una croce sotto la pianta di un piede del bambino per i tre Natali successivi. La maledizione può essere dovuta anche a incidenti o piante velenose.  Per le piante, la credenza più diffusa proviene dall’est europeo e avverte di stare lontani dai fiori neri che crescerebbero di preferenza vicino a cimiteri. Il nero è un colore che le infiorescenze in natura non assumono, tranne in casi particolarissimi (non attira gli insetti o altri animali impollinatori), quindi indica soprannaturalità e probabile matrice diabolica.

                       COME DIFENDERSI DAL LICANTROPO

Tra le scarse difese contro questo essere forte e feroce la più efficace pare essere l’argento. Questo metallo può uccidere tutte le creature sovrannaturali (come per i vampiri sebbene alcune tradizioni prediligono il paletto di legno). Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall’epoca greca erano associate a questo metallo e chi deve combattere con una ferita ben sa che questo metallo viene usato sempre di più nella medicina attuale. Secondo alcune versioni del mito, l’arma d’argento deve anche essere benedetta, o addirittura fusa da un crocefisso d’argento. Un’alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli che usano una pelle per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa, possibilmente col fuoco.

La licantropia si fronteggia meglio sul fronte della cura e della dissuasione. Se uccidere un lupo mannaro è complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo.  L’uomo-lupo siciliano non è in grado di salire le scale che, di conseguenza, costituiscono un sicuro riparo e per curare il malcapitato da tale stato di affezione bisogna colpirgli la testa in modo da far zampillare fuori un quantitativo sufficiente di “sangu malatu” (sangue malato). Anche lo zolfo messo sulla soglia di casa costituisce un valido deterrente. Il lupo mannaro abruzzese potrà arrestare la trasformazione se gli si lascia a disposizione un recipiente con acqua pura, nel quale si possa bagnare, confermando l’identificazione e la similitudine con l’idropsia. In alternativa, si può indurre il licantropo a riassumere la forma umana spillandogli tre gocce di sangue dalla fronte o facendolo ferire da un suo familiare che brandisce un forcone, oppure ancora colpendolo con una chiave priva di buchi. Buona efficacia ha anche l’aconito che in inglese prende il nome di wolfsbane, “veleno dei lupi” e  che risulta particolarmente sgradito al licantropo ”ammalato”. Usare il fuoco sulla forma umana del licantropo rimane la migliore soluzione anche se incenerisce il ”paziente”.

©foto birdman magazine      © Francesco Spuntarelli

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