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La Salute come Potere

Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in .

                                                                                                                                A cura di Ottavia Scorpati

Dalla prevenzione cardiovascolare alla Biopolitica dei dati sanitari: come le malattie croniche stanno ridisegnando gli equilibri economici, sociali e strategici del mondo. Un viaggio attraverso le sfide della sanità pubblica, tra innovazione tecnologica, giustizia distributiva e sovranità industriale.

Le malattie cardiovascolari rappresentano oggi non solo la prima causa di morte a livello globale, con oltre 18 milioni di decessi l’anno secondo l’OMS, ma anche una minaccia sistemica, trasversale e silenziosa, capace di destabilizzare economie, aggravare le disuguaglianze sociali e influenzare l’equilibrio geopolitico mondiale. In Italia, ogni anno più di 230.000 persone muoiono per cause cardiovascolari, il 35% del totale, un dato allarmante che coinvolge uomini e donne senza distinzione, e che riflette un invecchiamento della popolazione accompagnato da un’esplosione dei fattori di rischio cronici.

La pandemia da Covid-19 ha agito da detonatore, svelando l’interconnessione tra salute pubblica, produttività economica e sicurezza nazionale. Durante il lockdown, le ospedalizzazioni per infarto sono crollate fino al 50%, ma la mortalità è aumentata. Le nuove prescrizioni di farmaci salvavita sono diminuite sensibilmente: -40% per gli anticoagulanti. E l’aderenza terapeutica, già problematica, si è ulteriormente aggravata. L’Italia ha toccato un minimo storico: solo il 55% dei pazienti ipertesi e il 45% di quelli con ipercolesterolemia ha seguito correttamente le terapie. Questi non sono solo numeri clinici: sono perdite di produttività, costi sanitari in crescita, assenteismo lavorativo, e spesa pubblica destinata all’invalidità e all’assistenza.

Secondo l’OCSE, le malattie croniche assorbono tra il 70% e l’80% della spesa sanitaria dei Paesi ad alto reddito. Per le sole malattie cardiovascolari si stima un impatto economico pari ad almeno il 2% del PIL annuo. Nelle economie a basso reddito, l’assenza di prevenzione accentua le disuguaglianze, impoverisce le famiglie e alimenta instabilità sociale. La salute è un indicatore di equità, ma anche uno strumento di potere: Paesi come Finlandia, Canada e Corea del Sud investono nella prevenzione cardiovascolare come leva di soft power, migliorando aspettativa di vita, benessere collettivo e competitività economica. In Europa, l’approccio “Health in All Policies” della Commissione UE chiede l’integrazione della salute nelle scelte fiscali, ambientali, urbane ed educative. Ma l’Italia, nonostante eccellenze mediche riconosciute, manca ancora di una strategia nazionale unitaria.

La prevenzione, secondo il professor Giovambattista Desideri, deve cominciare da giovani e considerare il contesto socio-familiare dell’individuo. La sanità del futuro dovrà essere predittiva, preventiva, partecipativa e personalizzata. Anche la semplificazione delle terapie gioca un ruolo chiave, soprattutto per la popolazione anziana: la complessità terapeutica genera errori, interruzioni e peggioramenti clinici. Con il 24% della popolazione italiana già over 65 (dato Istat 2023), destinata a salire al 33% entro il 2050, le malattie cardiovascolari costituiscono una bomba demografica. Investire nella loro prevenzione significa liberare risorse per innovazione, sviluppo e coesione sociale. Significa, in altre parole, difendere la sovranità sanitaria e l’autonomia industriale europea, riducendo la dipendenza da importazioni mediche.

Ma la salute pubblica non è solo una questione cardiovascolare. Anche le malattie oncologiche, soprattutto quelle maschili, rappresentano una sfida culturale oltre che clinica. In Italia si registrano ogni anno 37.000 nuove diagnosi di tumore alla prostata. Tuttavia, la consapevolezza maschile è ancora troppo bassa. La fine del servizio militare obbligatorio nel 2005 ha interrotto una pratica virtuosa di screening precoce per i giovani uomini. Oggi, molti scoprono la malattia tardi, spesso solo grazie alla spinta delle partner, prime alleate della prevenzione. Secondo una recente indagine di Elma Research e Fondazione Onda, oltre un terzo degli uomini affetti da tumore prostatico si sente poco informato. Eppure, il 66% ritiene la malattia curabile e non invalidante, segno di un divario tra percezione e realtà clinica.

Fondazione Onda, attiva dal 2005 per promuovere l’equità nella salute di genere, ha lanciato il progetto Bollino Azzurro, sulla scia del successo del Bollino Rosa destinato agli ospedali “a misura di donna”. Obiettivo: certificare e valorizzare i centri che offrono percorsi diagnostico-terapeutici innovativi e multidisciplinari per i pazienti con tumore alla prostata. Il progetto è sostenuto da enti scientifici e istituzioni, tra cui AIRO, CIPOMO, Fondazione AIOM, ROPI e SIUrO, con il patrocinio del Ministero della Salute. Il sottosegretario Pierpaolo Sileri ha definito l’iniziativa “cruciale”, ricordando i danni causati dalla pandemia: -11% di nuove diagnosi oncologiche, -13% di trattamenti farmacologici, -18% di interventi chirurgici. È fondamentale, afferma, rafforzare il dialogo tra istituzioni, specialisti e pazienti.

La prevenzione maschile ha anche un volto popolare: Movember, il movimento internazionale nato nel 2003 per sensibilizzare sulle patologie urogenitali, torna ogni anno con la campagna “Metti un baffo a novembre”, sostenuta da Janssen Oncology con testimonial come Umberto Pellizzari. L’iniziativa promuove uno stile di vita sano, il ricorso a visite di controllo e la costruzione di una rete di supporto attiva, per uomini e donne. Perché la prevenzione, come afferma la Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare, riguarda “tutti, ovunque, il prima possibile”.

In conclusione, nel mondo post-pandemico, la salute non è più una questione solo clinica: è una priorità politica, economica e culturale. È un progetto Paese che parte dalle scuole, dall’educazione alimentare, dall’urbanistica e dalla medicina territoriale. È una sfida che unisce il cuore e la mente di una nazione. Perché l’invecchiamento in salute è la nuova frontiera della competitività globale.

Le malattie croniche – in particolare le malattie cardiovascolari e oncologiche – non rappresentano più soltanto una questione sanitaria, ma un vero e proprio nodo strategico di portata economica, culturale e geopolitica. La pandemia da Covid-19 ha mostrato con estrema chiarezza come la gestione inefficace della salute pubblica incida profondamente su produttività, coesione sociale, stabilità politica e competitività globale. Oggi, nel pieno di una transizione tecnologica e demografica senza precedenti, la sanità è diventata un asset geopolitico primario, terreno di competizione tra potenze e cartina di tornasole della tenuta dei modelli di sviluppo.

Attori come Cina e Russia stanno adottando approcci lucidamente pragmatici, orientati al controllo dei dati sanitari, allo sviluppo di tecnologie predittive e alla costruzione di una capacità industriale autonoma. Il sistema cinese, in particolare, procede con velocità impressionante: la digitalizzazione della sanità, la creazione di gemelli digitali (digital twin), l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei percorsi diagnostici e la centralizzazione dei dati clinici rientrano in una strategia nazionale che considera la salute pubblica un vettore di potere interno ed esterno. La Cina investe nella medicina predittiva non solo per migliorare l’aspettativa di vita, ma per ridurre la dipendenza tecnologica e posizionarsi come fornitore globale di know-how sanitario.

L’Occidente, al contrario, appare frantumato, disallineato, incapace di formulare una visione unitaria su salute, innovazione e sostenibilità. L’Unione Europea promuove iniziative come “Health in All Policies”, ma fatica a tradurre questi principi in politiche concrete e vincolanti. La mancanza di una governance sanitaria internazionale condivisa, e l’assenza di una strategia europea integrata sulla prevenzione, rappresentano un limite strutturale che rischia di lasciare terreno libero alle potenze extra-UE. In un simile contesto, la frammentazione dell’informazione scientifica e l’utilizzo irresponsabile dei media accentuano il divario tra innovazione e consapevolezza. La gestione pubblica della salute dovrebbe fondarsi su trasparenza, affidabilità dei dati e empowerment del cittadino, ma spesso prevalgono logiche frammentarie, personalismi e un’informazione guidata più dall’emotività che dall’evidenza.

Serve un nuovo patto terapeutico tra cittadini, istituzioni e sistema industriale. Un patto che ridefinisca il rapporto tra medicina e società, mettendo al centro l’autonomia del paziente, la semplificazione dei percorsi clinici, la prevenzione come diritto strutturale. Questo patto non può prescindere da una trasformazione culturale profonda: è necessario superare il modello reattivo della sanità – che interviene solo quando la malattia è già manifesta – per abbracciare una logica predittiva, personalizzata e partecipativa, fondata su stili di vita sani, accesso diffuso alla tecnologia e alfabetizzazione digitale e sanitaria. La prevenzione va anticipata: inizia a scuola, nell’alimentazione, nei quartieri e nella progettazione delle città.

In parallelo, l’impiego crescente di tecnologie avanzate – dall’IA all’analisi dei big data, fino all’uso di algoritmi per decisioni cliniche – impone una riflessione profonda sull’etica dell’algoritmo, sulla giustizia distributiva e sull’uguaglianza nell’accesso ai benefici dell’innovazione. Le piattaforme predittive rischiano di amplificare le nuove disuguaglianze: chi possiede i dati possiede il potere, e senza garanzie di equità, trasparenza e sovranità tecnologica, i sistemi sanitari potranno diventare veicoli di esclusione più che strumenti di protezione.

Il peso dell’economia in tutto questo è centrale. La salute non è più un costo, ma un investimento strategico. Le malattie croniche drenano risorse pubbliche, riducono la produttività, frenano l’occupazione e alimentano la povertà sanitaria. Ma al tempo stesso, proprio il settore salute rappresenta oggi una delle più grandi opportunità economiche: in termini di occupazione qualificata, export tecnologico, filiere farmaceutiche e biomedicali, e sviluppo delle infrastrutture digitali. L’Italia, con le sue eccellenze cliniche e scientifiche, potrebbe giocare un ruolo centrale in Europa se solo riuscisse a integrare meglio ricerca, industria e governance.

Il futuro si gioca su un equilibrio sottile: garantire l’accessibilità e l’umanità della medicina in un mondo sempre più guidato da logiche algoritmiche. Una sanità che si affida solo all’intelligenza artificiale rischia di disumanizzarsi; una sanità che la rifiuta, di arretrare. Serve una sintesi: tecnologia al servizio dell’uomo, mai in sostituzione della relazione di cura. L’informazione scientifica, così come il ruolo dei media, diventa dunque cruciale. Occorre una comunicazione competente, responsabile, in grado di combattere le false credenze e creare una cittadinanza sanitaria attiva e consapevole.

La comunità internazionale ha oggi l’obbligo morale e politico di agire: per costruire una nuova architettura globale della salute, fondata su solidarietà, efficienza, autonomia strategica e giustizia sociale. La medicina, in questo scenario, non è più solo una disciplina terapeutica: è un laboratorio di futuro, dove si misurano le vere priorità di una civiltà.

 

 

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