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Un nuovo Equilibrio e il futuro è nelle Mani della comunità Internazionale

Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in .

A cura di Ottavia Scorpati

Il futuro globale dipenderà dalla capacità di ripensare i modelli di sviluppo, dalla governance delle nuove tecnologie e dalla gestione delle risorse fondamentali.

Nel corso del 2023, il mondo ha attraversato una fase di transizione accelerata, nella quale le dinamiche geopolitiche, economiche e tecnologiche si sono intersecate con una complessità inedita. L’ordine internazionale, già messo a dura prova dalla pandemia di Covid-19 e dalle sue conseguenze sociali ed economiche, è stato ulteriormente scosso da una serie di eventi che hanno evidenziato come le vecchie logiche di potere non siano più in grado di governare un mondo in rapido cambiamento.

La crisi energetica, alimentata dalle tensioni belliche e dalla competizione per le risorse strategiche, ha reso evidente la vulnerabilità delle economie avanzate, mentre i Paesi emergenti hanno cercato di capitalizzare il disordine, rinegoziando la loro posizione all’interno del sistema globale. In questo scenario, gli accordi segreti tra Stati, multinazionali e conglomerati industriali, in particolare nel settore farmaceutico e in quello energetico, hanno assunto un ruolo decisivo nel ridefinire gli equilibri planetari.

Il dossier Pfizer–Moderna–Cina, trapelato attraverso fonti vicine a Bruxelles, ha sollevato interrogativi inquietanti sulla gestione della pandemia. Mentre milioni di cittadini si sottoponevano a vaccinazioni su larga scala, ignari dei dettagli contrattuali, alcuni governi avrebbero negoziato condizioni capestro con le aziende farmaceutiche, garantendo forniture in cambio di clausole di segretezza e garanzie di immunità legale. Documenti riservati parlano di un sistema di scambi incrociati tra forniture mediche e concessioni di tipo energetico o tecnologico, soprattutto in paesi dell’Europa Orientale e del Sud-est asiatico, che hanno offerto l’accesso a infrastrutture strategiche in cambio di vaccini e tecnologie sanitarie.

Allo stesso tempo, il settore energetico ha conosciuto un’intensificazione delle trattative “ombra”. Mentre l’opinione pubblica seguiva il dibattito sul prezzo del gas e sulla transizione verde, dietro le quinte venivano firmati accordi riservati tra Stati del Golfo, conglomerati occidentali e potenze asiatiche. Il ritorno in grande stile dell’OPEC+, rafforzato dall’ingresso di nuovi partner regionali e dalla crescente assertività dell’Arabia Saudita, ha reso il mercato petrolifero nuovamente instabile, con oscillazioni del prezzo che sembrano rispondere più a logiche geopolitiche che a criteri di mercato.

Uno dei casi più emblematici riguarda l’accordo siglato nel secondo semestre del 2023 tra una delle principali compagnie energetiche europee e un consorzio sino-russo per la gestione di alcuni terminali di gas naturale liquefatto nell’Artico. Questo accordo, ufficialmente motivato da esigenze di “resilienza strategica”, in realtà includeva clausole riservate sulle modalità di trasferimento tecnologico, che potrebbero compromettere la sicurezza energetica europea nel lungo termine. L’influenza crescente della Cina attraverso la Belt and Road Initiative (BRI), riformulata nel 2023 con un focus sulla “connettività verde”, ha ampliato il raggio d’azione di Pechino anche in ambito sanitario, alimentare e digitale, spesso con modalità opache.

La crescente integrazione tra settori strategici — sanità, energia, tecnologia — è stata accompagnata da un’espansione dei meccanismi di sorveglianza, alimentati dall’intelligenza artificiale. Sistemi avanzati di tracciamento sanitario, sviluppati sotto l’egida della prevenzione pandemica, sono stati adottati anche per il controllo dei flussi migratori e la sicurezza urbana. Alcuni osservatori indipendenti hanno denunciato una crescente convergenza tra logiche autoritarie e strumenti tecnologici, in un contesto in cui la governance democratica appare sempre più marginalizzata. Il caso dell’accordo siglato tra Israele, India e alcune agenzie di sicurezza private europee per la condivisione di sistemi di riconoscimento facciale e archivi sanitari è paradigmatico: la motivazione ufficiale era il miglioramento delle risposte sanitarie, ma i dati raccolti sono stati utilizzati anche per scopi militari e di profilazione sociale.

Sul fronte africano, il 2023 ha visto l’emergere di nuovi poli di influenza. Mentre la Russia ha intensificato la sua presenza militare e diplomatica in paesi come il Mali e il Burkina Faso, la Turchia ha rafforzato i suoi legami economici con le ex colonie francesi, in una mossa volta a consolidare la sua posizione come potenza regionale. In parallelo, alcune società farmaceutiche occidentali hanno concluso intese con governi locali per l’installazione di impianti di produzione di vaccini, in cambio di accesso agevolato a materie prime critiche come il coltan, il litio e le terre rare. Queste dinamiche hanno suscitato proteste da parte delle comunità locali e di alcune ONG, che denunciano lo sfruttamento delle risorse in assenza di benefici reali per le popolazioni coinvolte.

In America Latina, la situazione è altrettanto fluida. Il ritorno al potere di governi progressisti in Brasile, Colombia e Cile ha tentato di rinegoziare i rapporti con i grandi attori globali, puntando su una maggiore sovranità economica. Tuttavia, anche in questo contesto sono emerse rivelazioni inquietanti: secondo un’indagine pubblicata in ottobre da un consorzio di giornalisti d’inchiesta, alcune multinazionali farmaceutiche e alimentari avrebbero ottenuto l’accesso prioritario a mercati e incentivi fiscali in cambio di donazioni a partiti politici locali e finanziamenti “filantropici” a fondazioni governative. Tali pratiche, seppur legalmente inquadrabili come lobby, hanno avuto un impatto profondo sulla struttura del mercato interno, favorendo la dipendenza economica e rallentando lo sviluppo di settori produttivi autonomi.

Nel frattempo, le piattaforme digitali hanno consolidato il loro ruolo di attori geopolitici. I grandi conglomerati tecnologici, spesso con sede negli Stati Uniti o in Cina, hanno stretto accordi diretti con governi per la fornitura di infrastrutture cloud, data center e software di analisi predittiva. Amazon, Google, Alibaba e Huawei hanno tutti ampliato la loro influenza, spesso senza una vera e propria supervisione democratica. In alcuni casi, questi attori sono diventati partner essenziali per la gestione dei servizi pubblici, dalla sanità all’istruzione, generando una dipendenza strutturale difficilmente reversibile. Questo modello, definito da alcuni analisti come “feudalesimo digitale”, solleva interrogativi profondi sulla capacità degli Stati di mantenere la propria sovranità tecnologica.

Nel contesto europeo, la guerra in Ucraina ha continuato a modellare le priorità strategiche dell’Unione. Tuttavia, accanto alla narrativa ufficiale di sostegno e resistenza, sono emerse trattative parallele tra alcuni Stati membri e attori economici russi. Nonostante le sanzioni, i flussi di gas e materie prime sono proseguiti attraverso triangolazioni con paesi terzi, in particolare con l’intermediazione di Turchia e Kazakistan. Questi accordi non ufficiali, spesso gestiti attraverso fondi sovrani e società di comodo, mettono in discussione la coerenza e l’efficacia delle politiche comuni, evidenziando una frammentazione interna sempre più difficile da contenere.

Il 2023 ha anche segnato una svolta nella gestione del cambiamento climatico. I fondi pubblici destinati alla transizione ecologica sono stati spesso dirottati verso progetti a forte ritorno geopolitico: grandi impianti solari in Nord Africa gestiti da consorzi europeo-cinesi, centrali eoliche offshore controllate da fondi sovrani arabi, e miniere di litio in Sud America co-finanziate da capitali angloamericani. Questo modello, che privilegia la logica dell’investimento strategico rispetto a quella della giustizia ambientale, rischia di produrre nuove forme di colonialismo verde. In questo contesto, le promesse fatte nelle sedi internazionali — dal G20 alla COP28 — sembrano sempre più parole vuote, prive di ancoraggio nei fatti concreti.

A dominare la scena, però, è l’assenza di una governance globale efficace. Le Nazioni Unite, già marginalizzate durante la crisi pandemica, appaiono incapaci di offrire una visione condivisa. Gli organismi multilaterali sono spesso bloccati da veti incrociati e dalla crescente influenza delle grandi potenze economiche. In questa paralisi, le decisioni cruciali vengono sempre più spesso prese in ambiti ristretti: consessi informali, summit esclusivi, consigli di amministrazione di grandi fondi d’investimento.

È in questi luoghi che si decide la distribuzione delle risorse, la direzione della ricerca scientifica, le regole del commercio globale.

Il 2023, sotto questa luce, si rivela un anno di scelte ambigue. L’umanità sembra sospesa tra la possibilità di costruire un nuovo paradigma — fondato su solidarietà, giustizia e sostenibilità — e la tentazione di cedere a un mondo dominato da interessi opachi e alleanze temporanee. I cittadini, sempre più informati ma anche disillusi, faticano a trovare rappresentanza politica credibile. Le proteste si moltiplicano, ma raramente riescono a incidere sulle decisioni strutturali. In questo vuoto di leadership e visione, il rischio maggiore è l’abitudine all’ambiguità: la normalizzazione della segretezza, dell’ingiustizia sistemica e del cinismo istituzionale.

Solo una comunità internazionale consapevole e attiva potrà invertire questa tendenza. La posta in gioco non è solo economica o geopolitica, ma profondamente etica. Il 2023 ci ha ricordato, con crudezza, che nessuna tecnologia e nessun mercato possono sostituire la necessità di un progetto umano condiviso. La sfida è ancora aperta. E riguarda tutti.

 

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