A cura di Ottavia Scorpati
Multinazionali, dipendenza e controllo: come il potere economico incide sulla psiche individuale e collettiva, trasformando la salute in uno strumento di influenza e dominio sociale.
Nel XXI secolo, il paradigma della potenza globale si è profondamente trasformato: i tradizionali equilibri tra Stati nazione sono oggi sfidati da soggetti economici sovranazionali dotati di risorse, capacità d’influenza e proiezione strategica tali da competere — e spesso sovrastare — le strutture istituzionali tradizionali. Le multinazionali, in particolare quelle operanti nei settori farmaceutico e tecnologico, hanno progressivamente acquisito un ruolo da protagoniste nell’arena geopolitica, diventando attori politici a tutti gli effetti. Non si tratta più di semplici fornitori di beni e servizi, ma di soggetti capaci di determinare l’accesso a risorse critiche, plasmare politiche pubbliche e indirizzare decisioni sovrane.
In un’economia globalizzata, dove le catene del valore attraversano continenti e la salute pubblica è divenuta una leva di influenza planetaria, le aziende farmaceutiche detengono un potere formidabile: decidono chi avrà accesso a cure salvavita, in quali tempi e a quali condizioni. Il mercato degli oppioidi, simbolo estremo di questa dinamica, racconta una storia che incrocia profitti record, crisi sanitarie sistemiche e politiche ambigue. Allo stesso tempo, la tecnologia — dalla sorveglianza digitale all’intelligenza artificiale — si afferma come strumento di controllo e proiezione militare, spesso in mano a corporation private che collaborano con governi ma mantengono autonomia d’azione e visione strategica.
Questo approfondimento analizza la nuova geoeconomia del potere, dove il valore politico di un farmaco, di un algoritmo o di un brevetto può eguagliare — se non superare — quello di un’arma convenzionale. In un mondo dove salute, informazione e tecnologia sono i nuovi campi di battaglia, le multinazionali riscrivono la mappa del potere globale.
Il mondo contemporaneo si presenta come un sistema dinamico e altamente competitivo, in cui la geopolitica si è trasformata in una complessa rete di influenze che travalicano i confini tradizionali delle nazioni e delle sfere di potere statale. Il campo di battaglia non è più circoscritto alla geografia fisica, ma si estende verso dimensioni più astratte, dove il controllo di risorse naturali, tecnologie strategiche, infrastrutture digitali e, soprattutto, la salute pubblica diventano le nuove arene del conflitto globale. In questo contesto, emergono con forza attori non statali il cui peso geopolitico è divenuto pari, se non superiore, a quello di molti Stati: le multinazionali. Fra queste, le aziende farmaceutiche incarnano una delle forme di potere più sottili e pervasive, capaci di intervenire simultaneamente sulle economie, sulle politiche e sulle strutture sociali dei paesi, condizionandone profondamente il futuro.
Non si tratta solo di potere economico, ma di una forma di sovranità surrogata, esercitata attraverso il monopolio della salute. Le multinazionali farmaceutiche non si limitano a fornire cure, ma controllano interi segmenti del mercato globale: decidono quali farmaci produrre, quali malattie combattere, quali trattamenti privilegiare. Detengono brevetti vitali, indirizzano la ricerca scientifica e impongono prezzi che spesso escludono intere popolazioni dall’accesso alle cure. Di fatto, la salute globale è divenuta una merce e, come tale, è soggetta alle logiche del profitto, della speculazione e della strategia geopolitica.
In questo scenario, il controllo delle sostanze oppioidi rappresenta un caso emblematico. L’oppio, un tempo simbolo della guerra coloniale e dell’espansione imperiale, è oggi al centro di una rete economica legale e illegale che coinvolge Stati, milizie armate, cartelli della droga e colossi farmaceutici. La produzione massiccia di oppiacei in Afghanistan, nonostante le missioni militari occidentali e i presunti sforzi di eradicazione, è aumentata in maniera esponenziale. Questa realtà svela l’ambiguità di molte strategie geopolitiche contemporanee: da un lato si combatte il narcotraffico, dall’altro si tollerano — o addirittura si gestiscono — i flussi economici che ne derivano, perché garantiscono stabilità in certe aree o servono interessi economici più ampi.
L’Afghanistan non è solo un esempio di fallimento politico, ma una chiave di lettura della nuova geopolitica delle risorse. Il controllo del papavero da oppio non ha solo implicazioni locali: alimenta mercati globali, condiziona l’economia informale e fornisce strumenti di potere a gruppi che sfuggono alle logiche statali tradizionali. Questo sistema, apparentemente caotico, è invece funzionale a una logica più ampia: mantenere l’instabilità per poterla gestire, sfruttare il disordine per trarne profitto. In tale quadro, le multinazionali farmaceutiche non sono esterne al fenomeno, ma in molti casi ne costituiscono uno snodo centrale, sia attraverso la produzione di farmaci oppioidi legali che attraverso il ruolo nella diffusione e normalizzazione del loro utilizzo, in particolar modo nei paesi occidentali.
L’epidemia di oppiacei negli Stati Uniti è una dimostrazione tangibile di questa spirale. Aziende come Purdue Pharma hanno spinto aggressivamente la prescrizione di analgesici potentissimi, minimizzandone i rischi e contribuendo alla dipendenza di milioni di cittadini. Il risultato è stato una crisi sanitaria devastante, ma anche un incremento degli introiti per l’industria farmaceutica, che ha poi riconvertito la produzione verso trattamenti per la dipendenza da oppiacei stessi. Un cortocircuito etico ed economico dove la cura diventa parte del problema, e il malato un consumatore perpetuo, prigioniero di una logica di dipendenza che è insieme chimica e sistemica.
Questo intreccio tra economia della salute, interesse farmaceutico e potere politico si inserisce in un contesto ancora più ampio, dove anche le tecnologie emergenti stanno ridefinendo le modalità della guerra. Non è più solo questione di bombe e carri armati: il cyberspazio, i droni, le armi autonome e i sistemi di sorveglianza rappresentano il nuovo arsenale con cui si combattono le guerre contemporanee. Le multinazionali tecnologiche collaborano attivamente con governi e apparati militari, costruendo infrastrutture di controllo che vanno ben oltre la sicurezza nazionale. Le alleanze tra Silicon Valley e Washington, tra intelligence e industria, disegnano uno scenario in cui la tecnologia è strumento di dominio e sorveglianza globale.
E anche in questo dominio tecnologico, le aziende farmaceutiche giocano un ruolo fondamentale. La raccolta di dati sanitari, la gestione delle pandemie, le campagne vaccinali, la distribuzione differenziata delle risorse sanitarie diventano leve di influenza geopolitica. La pandemia di COVID-19 ha mostrato con chiarezza come l’accesso ai vaccini, la produzione dei dispositivi medici e la capacità di distribuire trattamenti siano stati strumenti di pressione e negoziazione tra Stati e aziende. Chi possedeva i vaccini decideva le priorità, stabiliva alleanze, rafforzava posizioni di potere. In molti casi, le aziende farmaceutiche hanno agito come governi, decidendo chi curare, quando e con quali condizioni, spesso influenzando la politica estera di intere nazioni.
La salute, quindi, non è più solo una questione sociale o umanitaria, ma una risorsa strategica al pari del petrolio o dei dati digitali. Le multinazionali farmaceutiche, con la loro capacità di determinare l’accesso alla cura, sono divenute parte integrante del conflitto globale, in un mondo dove il potere si esercita sempre più attraverso il controllo delle vulnerabilità umane. Il corpo, la malattia, la cura: tutto è geopolitica. E questo potere non è più neutro, ma orientato da logiche di profitto, di mercato, di dominio.
In questa guerra ibrida del XXI secolo, ogni aspetto della vita è militarizzato: l’ambiente, l’informazione, la salute. Le linee di battaglia non sono più tracciate sui confini ma nei laboratori, nei data center, nei bilanci aziendali. La geopolitica è diventata un intreccio di interessi pubblici e privati, in cui gli attori statali e non statali si contendono risorse invisibili e fondamentali. Il futuro delle relazioni internazionali dipenderà sempre più dalla capacità di gestire queste risorse strategiche — farmaci, dati, tecnologie — e chi le controllerà non sarà necessariamente un governo, ma forse un consiglio di amministrazione.
Così, la guerra del futuro si combatterà su piani molteplici e interconnessi, dove la supremazia non sarà misurata solo in termini di forze armate o arsenali nucleari, ma nella capacità di dettare le regole del gioco sanitario, informatico, economico e cognitivo. Le multinazionali, in particolare quelle farmaceutiche, non solo partecipano a questa nuova guerra, ma ne sono protagoniste centrali, riscrivendo le regole della geopolitica in una forma che, forse, gli Stati non sono più in grado di controllare.