
Agricoltura e Geopolitica nel XXI Secolo
Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in Attualità.
A cura di Ottavia Scorpati
Il Confronto Strategico tra Europa e Argentina
Un’analisi delle due visioni contrapposte e interdipendenti dell’agricoltura come leva di sovranità, sostenibilità e sviluppo economico nella nuova era globale.
Nel XXI secolo si è aperto un confronto agricolo profondo tra Europa e Argentina, che trascende i semplici scambi commerciali e si radica in visioni opposte del ruolo dell’agricoltura nella società, nell’economia e nella geopolitica. Questo confronto non è apertamente dichiarato, ma è strutturale, sistemico, e può essere analizzato attraverso la teoria delle geopotenze agricole asimmetriche, la quale considera l’agricoltura non solo come produzione di cibo, ma come strumento di potere, sovranità, resilienza e influenza globale. In tale ottica, non basta misurare l’estensione coltivabile o i volumi produttivi: ciò che realmente conta è la capacità di un sistema agricolo di agire come leva strategica nel contesto internazionale.
L’Europa ha compiuto un salto paradigmatico nel modo in cui concepisce l’agricoltura. Da attività economica primaria è diventata una piattaforma multidimensionale di sostenibilità ambientale, inclusione sociale, innovazione digitale e sicurezza geopolitica. In Argentina, invece, permane un modello più lineare e industriale, centrato su rese elevate, grandi estensioni monocolturali, uso intensivo di chimica agricola e dipendenza dai mercati esteri, soprattutto Cina e BRICS. L’Europa è oggi un laboratorio di governance agricola avanzata, mentre l’Argentina rimane un attore di peso nella produzione globale, ma con evidenti fragilità strutturali. Questi due modelli coesistono, si osservano, si scontrano e talvolta si intrecciano, dando vita a un equilibrio instabile di cooperazione e competizione.
L’agricoltura europea, attraverso la Politica Agricola Comune (PAC) e strategie come il Green Deal e Farm to Fork, ha visto una trasformazione profonda. Non più incentivi alla produzione in sé, ma premi legati a criteri ambientali, inclusivi, tecnologici. La sostenibilità è diventata la nuova misura del valore agricolo: rotazione colturale, riduzione dei pesticidi, tutela della biodiversità, sequestro del carbonio nei suoli. È un’agricoltura che si vuole non solo produttiva, ma anche giusta, verde, digitale. I fondi PAC vengono distribuiti anche per incoraggiare l’occupazione giovanile e femminile, per frenare lo spopolamento delle aree rurali, per promuovere il welfare locale. In sintesi, l’agricoltura come architrave di un progetto europeo resiliente, coeso, innovativo.
Nel modello argentino, invece, domina un’agricoltura altamente specializzata, focalizzata su poche colture chiave (soia, mais, grano), integrate nei circuiti globali delle commodities. Le grandi holding agricole sfruttano economie di scala, biotecnologie (OGM), input esterni e un’infrastruttura logistica orientata all’export. Questo modello ha garantito per decenni una competitività elevata e una posizione rilevante sui mercati globali. Tuttavia, mostra oggi limiti sempre più evidenti: deforestazione, degrado del suolo, dipendenza da input chimici, esclusione delle comunità rurali, vulnerabilità agli shock internazionali. La mancanza di una strategia nazionale agroecologica rende l’intero sistema esposto, fragile, e inadeguato a rispondere alle sfide climatiche e sociali del XXI secolo.
Il vero campo di confronto tra questi due modelli non è nei raccolti, ma nelle regole. L’Europa ha fatto della regolamentazione agricola un potente strumento geopolitico. Gli standard europei in materia di sicurezza alimentare, sostenibilità ambientale e benessere animale sono diventati condizioni obbligatorie per accedere al mercato unico. Paesi terzi, come l’Argentina, devono quindi adattarsi o restare fuori. Ciò genera una frizione sistemica: da una parte, l’Argentina accusa l’Europa di protezionismo ambientale travestito da etica; dall’altra, l’Europa ritiene inaccettabile importare prodotti che non rispettano le stesse regole imposte ai propri agricoltori. Questo scontro sugli standard è il cuore della geopolitica agroalimentare contemporanea.
Ma non è solo un conflitto. È anche una forma avanzata di interdipendenza. L’UE ha bisogno dell’Argentina per colmare le proprie lacune strutturali in alcune filiere, come quella delle proteine vegetali. L’Argentina, dal canto suo, non può fare a meno del mercato europeo, che resta uno dei più ricchi e regolati del pianeta. Tuttavia, questa dipendenza reciproca è diventata instabile. Le crisi recenti – COVID-19, guerra in Ucraina, tensioni commerciali globali – hanno portato l’Europa a voler “accorciare” le filiere, rilocalizzare la produzione, rafforzare la propria autonomia strategica. Parallelamente, l’Argentina guarda sempre più a sud: Asia, Africa, corridoi BRICS+, come nuovi spazi di influenza e di sbocco. Il risultato è una secessione agro-strategica latente, in cui i modelli si allontanano, pur restando ancora interconnessi.
Il paradosso è che entrambi i modelli si trovano di fronte allo stesso nemico: il cambiamento climatico. Ma la risposta è radicalmente diversa. L’Europa ha scelto di vedere la crisi climatica come un’opportunità di transizione, riforma e innovazione. L’agricoltura è un settore da decarbonizzare, ma anche da rigenerare. Si investe in colture resilienti, ripristino degli ecosistemi, infrastrutture idriche, agricoltura di precisione. L’Argentina, invece, percepisce il cambiamento climatico come una minaccia esterna, una punizione che arriva dall’alto e colpisce un settore già stressato da crisi economiche e conflitti sociali. La mancanza di visione a lungo termine rischia di rendere il modello agricolo argentino un acceleratore di disastri climatici, più che uno strumento di adattamento.
Le differenze sociali tra i due sistemi sono altrettanto profonde. In Europa, la riforma agricola è pensata anche come strumento di inclusione sociale. L’agricoltura è uno spazio di accoglienza, lavoro dignitoso, cittadinanza attiva. I migranti sono integrati, le donne sostenute, i giovani incentivati a restare o tornare nelle campagne. In Argentina, invece, la concentrazione fondiaria resta un nodo irrisolto. Le terre sono spesso in mano a poche grandi imprese; le comunità indigene vengono marginalizzate o espulse; il lavoro agricolo è spesso precario, non regolamentato, sfruttato. Senza una vera riforma agraria e senza politiche pubbliche a favore della piccola agricoltura, il settore rischia di approfondire le disuguaglianze sociali anziché ridurle.
La trasformazione agricola europea ha anche un impatto geopolitico. Dopo decenni in cui l’agricoltura era considerata un tema tecnico o settoriale, oggi è riconosciuta come strumento di sovranità. Gli shock internazionali hanno dimostrato che nessuna nazione può essere veramente stabile se dipende eccessivamente dall’esterno per il proprio approvvigionamento alimentare. L’autonomia alimentare è diventata una priorità strategica. Da qui l’adozione di politiche per accorciare le filiere, investire nella produzione interna, garantire la sicurezza e la qualità del cibo prodotto localmente. In questo contesto, l’agricoltura è diventata un vettore di stabilità interna e di influenza esterna. L’UE non solo produce cibo, ma anche norme, valori, modelli.
In un mondo multipolare e frammentato, l’agricoltura diventa anche moneta diplomatica. I negoziati commerciali non si giocano più solo sui dazi, ma sugli standard. L’Europa ha imparato a usare la sua forza regolativa come leva di soft power. I paesi che vogliono accedere al mercato europeo devono adeguarsi: etichettatura, tracciabilità, sostenibilità. Ma questo solleva interrogativi: fino a che punto è giusto esportare valori insieme ai beni? Qual è il confine tra protezione e protezionismo? In questo gioco di equilibri, l’Argentina si muove con cautela, cercando alleanze alternative e tentando di costruire un proprio spazio di manovra autonoma.
Lo scenario futuro può seguire tre traiettorie: antagonismo aperto, convergenza strategica, riconfigurazione multipolare. L’antagonismo significherebbe una guerra normativa: standard incompatibili, dumping ecologico, esclusione reciproca dai mercati. La convergenza, invece, potrebbe emergere da una presa di coscienza della complementarità: l’Europa trasferisce tecnologia e regolazione; l’Argentina fornisce risorse e capacità produttiva. Ma lo scenario più realistico è una riconfigurazione multipolare, in cui ogni blocco costruisce la propria rete agricola secondo affinità geopolitiche, valori, interessi.
In sintesi, il confronto agricolo tra Europa e Argentina non riguarda solo il cibo: riguarda il futuro dei modelli di sviluppo. Da una parte, un’agricoltura come infrastruttura verde della sovranità democratica; dall’altra, un’agricoltura come macchina estrattiva al servizio dell’economia globale. La sfida, per entrambi, è superare la logica della contrapposizione e costruire una geopolitica alimentare giusta, resiliente, cooperativa. Ma per farlo servono visione, coraggio e un nuovo patto tra natura, società e istituzioni.