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Verso un Modello Sostenibile e L’Evoluzione della Politica Agricola

Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in .

di Ottavia Scorpati

Dalla sussidiarietà alla sostenibilità: come la trasformazione dell’agricoltura europea sta ridisegnando equilibri economici, sociali e politici in un contesto globale sempre più instabile.

Nel panorama in evoluzione dell’agricoltura europea, la Politica Agricola Comune (PAC) non è solo uno strumento di sviluppo economico, ma un pilastro fondamentale per l’inclusione sociale e il benessere delle comunità rurali. A partire dalle riforme del 2000, l’UE ha intrapreso un percorso che va oltre l’orientamento produttivo per abbracciare una visione integrata che mette al centro la sostenibilità ambientale, ma anche la giustizia sociale. Il settore agricolo non è più solo un ambito di produzione, ma un contesto di innovazione sociale che si propone di affrontare questioni cruciali come il lavoro dignitoso, l’integrazione dei migranti, la parità di genere e il ricambio generazionale nelle aree rurali. In questa ottica, l’agricoltura diventa un’opportunità per il rafforzamento delle comunità, non solo attraverso l’occupazione, ma anche attraverso la creazione di spazi di cittadinanza attiva e partecipazione, facendo dell’inclusione sociale una priorità della nuova PAC.

L’evoluzione della Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione Europea dal 2000 a oggi ha segnato una trasformazione radicale che ha ripensato completamente il ruolo dell’agricoltura nel contesto europeo e globale. Questo cambiamento non si limita a una semplice riforma agricola, ma riflette una visione strategica che integra sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica, coesione sociale e sicurezza geopolitica. L’obiettivo dell’UE è chiaro: rendere l’agricoltura un pilastro per l’autonomia alimentare, la resilienza climatica e la competitività globale, superando il vecchio modello di sussidi alla produzione in favore di pratiche agricole sostenibili e orientate al futuro.

Negli ultimi decenni, i finanziamenti europei si sono trasformati, passando da un sistema di sussidi diretti incentrati sulla quantità e sulla resa, verso un approccio che premia le pratiche sostenibili e l’innovazione. Il concetto di “greening” è diventato il cuore pulsante delle politiche agricole: la protezione della biodiversità, la rotazione delle colture e l’adozione di tecniche a basso impatto ambientale sono ora le condizioni principali per accedere ai finanziamenti. I pagamenti diretti agli agricoltori sono ora condizionati a queste pratiche ecologiche, che riflettono una visione agricola più integrata, in cui la produzione non è fine a se stessa, ma parte di un processo che valorizza anche la conservazione dell’ambiente e la tutela del suolo. In questo nuovo modello, l’agricoltura non è più vista solo come una fonte di reddito, ma come un elemento strategico per la creazione di valore ecologico, sociale e culturale.

Questa trasformazione ha avuto un impatto significativo sull’equilibrio economico all’interno dell’UE. La rivalutazione delle aree rurali come centri di innovazione e sviluppo è stata una delle ricadute più evidenti. L’agricoltura, da un settore statico e tradizionale, è diventata un motore di innovazione, grazie all’introduzione di tecnologie come l’agricoltura di precisione, l’uso di big data, la gestione dei terreni attraverso sistemi satellitari e l’intelligenza artificiale. Questa digitalizzazione ha cambiato radicalmente il modo in cui vengono gestite le risorse naturali, migliorando l’efficienza dei raccolti e riducendo al minimo gli sprechi. Le imprese agricole sono diventate veri e propri hub di innovazione, in stretta collaborazione con università, centri di ricerca e startup tecnologiche. In tal modo, l’agricoltura si è interconnessa con altre aree economiche, come l’industria tecnologica e quella della ricerca scientifica, creando nuove filiere a valore aggiunto e rafforzando l’economia circolare.

Tuttavia, l’adozione di queste nuove tecnologie e pratiche sostenibili non è stata priva di sfide. Le tensioni tra i vari Stati membri dell’UE sono aumentate, specialmente tra i paesi con un forte comparto agricolo tradizionale, come la Francia, la Spagna e la Polonia, e quelli più orientati ai servizi o all’industria. Le regioni agricole più sviluppate hanno visto in queste riforme una minaccia alla loro competitività, mentre i paesi con un tessuto agricolo meno strutturato hanno beneficiato maggiormente degli incentivi a innovare e modernizzarsi. Le riforme hanno spinto l’UE verso una politica di riequilibrio territoriale, che ha avuto effetti positivi sulla coesione sociale, con il rafforzamento delle aree rurali e la riduzione dello spopolamento. L’agricoltura è tornata a essere un elemento cruciale per la creazione di occupazione e benessere, contribuendo a frenare fenomeni come il declino demografico e la desertificazione sociale.

In parallelo, la crisi globale, acutizzata dalla pandemia di COVID-19 e dalla guerra in Ucraina, ha portato l’Unione Europea a rivedere la sua dipendenza dalle importazioni alimentari. Le vulnerabilità delle catene di approvvigionamento globali sono emerse con prepotenza, facendo comprendere quanto la sicurezza alimentare sia cruciale per la stabilità geopolitica. In risposta, l’UE ha lanciato la strategia Farm to Fork, che mira ad accorciare le filiere di approvvigionamento, ridurre l’uso di pesticidi e antibiotici, promuovere l’agricoltura biologica e incentivare la produzione locale, riducendo la vulnerabilità a shock esogeni. La strategia non è solo una scelta ecologica, ma anche una necessità geopolitica, per rafforzare l’autonomia dell’Europa in un mondo che sta rapidamente diventando multipolare.

Dal punto di vista geopolitico, la Politica Agricola Comune si è evoluta anche come strumento di soft power. L’Unione Europea ha fatto della “potenza normativa” un elemento fondamentale della sua politica agricola, imponendo standard qualitativi, sanitari e ambientali come condizioni imprescindibili per l’accesso al suo mercato. I paesi terzi che desiderano esportare verso l’UE devono conformarsi a rigidi criteri di tracciabilità, benessere animale, riduzione dei pesticidi e sicurezza alimentare. Sebbene questa politica abbia conferito all’Europa un ruolo di regolatore globale, ha anche suscitato frizioni con paesi come l’Argentina e altri produttori agricoli emergenti, che considerano queste norme come barriere non tariffarie e strumenti di protezionismo commerciale.

Un altro punto cruciale di questa evoluzione è la crescente consapevolezza del ruolo ambivalente dell’agricoltura nei confronti del cambiamento climatico. Se da un lato il settore agricolo è una delle principali fonti di emissioni di gas serra, dall’altro può rappresentare un alleato nella lotta contro il riscaldamento globale. La PAC ha incluso l’agricoltura tra i settori chiave per il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’UE, come la neutralità carbonica al 2050. Le pratiche di sequestro del carbonio nei suoli, la riforestazione, la gestione sostenibile dei pascoli e l’adozione di colture resistenti ai cambiamenti climatici sono diventate componenti fondamentali della strategia europea per la sostenibilità. Le misure climatiche integrate nella PAC rappresentano una sfida, ma anche un’opportunità per fare dell’agricoltura un settore più resiliente, in grado di affrontare le sfide future e proteggere le comunità rurali.

La dimensione sociale è diventata anch’essa una priorità in questo processo di trasformazione. Le politiche agricole dell’UE sono state orientate non solo verso la sostenibilità ecologica, ma anche verso una maggiore giustizia sociale, con iniziative mirate a combattere il lavoro nero, favorire l’inclusione dei migranti, promuovere il lavoro femminile e garantire il ricambio generazionale nelle zone rurali. L’agricoltura è stata così ridefinita come uno strumento di inclusione sociale e innovazione, capace di integrare nuove generazioni e culture, e promuovere un modello di sviluppo più equo e cooperativo.

Parallelamente a questa evoluzione in Europa, il modello agricolo dell’Argentina ha seguito una logica completamente opposta. Concentrato sulla competitività internazionale, sull’agricoltura intensiva e sull’esportazione di commodities come soia, mais e grano, l’Argentina ha sviluppato un’agricoltura basata su economie di scala e sfruttamento massivo delle risorse naturali. Sebbene l’Argentina rimanga uno dei maggiori produttori agricoli globali, questo modello ha sollevato importanti preoccupazioni ambientali, sociali e geopolitiche. L’utilizzo massiccio di OGM, fertilizzanti chimici e pratiche agricole che minacciano la biodiversità ha avuto ripercussioni negative sull’ambiente, mentre le disuguaglianze sociali e la concentrazione fondiaria hanno creato una fragilità sociale nelle aree rurali.

Il confronto tra i due modelli, quello europeo e quello argentino, si inserisce in un contesto globale sempre più frammentato, in cui le dinamiche economiche e geopolitiche sono in continua evoluzione. Mentre l’Europa punta a una maggiore autosufficienza alimentare, sostenibilità e integrazione tra agricoltura, scienza e tecnologia, l’Argentina continua a puntare sulla massimizzazione della produzione per il mercato globale. Tuttavia, entrambe le strategie sono chiamate a confrontarsi con le sfide legate ai cambiamenti climatici, alle disuguaglianze sociali e alla crescente competizione internazionale per risorse e mercati.

Il futuro dell’agricoltura, sia in Europa che in Argentina, dipenderà dalla capacità di adattarsi a un mondo sempre più interconnesso e in rapida trasformazione, dove la sostenibilità, l’innovazione e la cooperazione saranno le chiavi per garantire non solo la sicurezza alimentare, ma anche la stabilità economica e geopolitica in un panorama globale sempre più incerto.

 

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