
BRICS e la Contesa Globale per l’Antartide
Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in Attualità.
Come la Contesa sul Ghiaccio Rivela la Crisi dell’Ordine Globale e Ideologica tra Blocchi In questo contesto radicale, emerge con sempre maggiore evidenza il ruolo strategico dell’Antartide come nodo cruciale di una contesa globale che non può più essere spiegata nei termini semplicistici della vecchia guerra fredda. Il continente ghiacciato diventa il simbolo di una sfida epistemologica, culturale e materiale, in cui le nuove potenze mondiali, riunite in forme di cooperazione flessibili e non sempre ufficializzate, mettono in discussione l’egemonia occidentale, proponendo un mondo alternative e radicate in tradizioni profondamente differenti.
Nel cuore si colloca l’espansione del blocco BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che, con il supporto implicito o esplicito di altri attori come Iran, Corea del Nord e vari paesi del Sud globale, dà vita a un processo di costruzione di un ordine multipolare, non più incentrato su Washington, Londra o Bruxelles. Questo ordine nascente si struttura intorno a un principio fondante che contrasta apertamente con l’universalismo liberale: il pluralismo sovrano, ovvero la legittimità di modelli politici e culturali diversi, non subordinati a una narrazione normativa globale imposta dall’Occidente.
Il gruppo informale noto come “Axis of Upheaval”, costituito da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, rappresenta la manifestazione più visibile di questo processo. Pur non essendo un’alleanza formale sul piano giuridico, la convergenza strategica tra questi Stati è evidente nei fatti. Le loro storie, religioni e sistemi politici sono profondamente differenti, ma ciò che li unisce è il rifiuto di un mondo unipolare e il desiderio di rifondare le relazioni internazionali su basi di parità, autonomia e riconoscimento reciproco. La loro sfida non si gioca solo sul piano militare o economico, ma è innanzitutto una contestazione delle categorie concettuali con cui l’Occidente ha preteso di leggere, giudicare e governare il mondo.
Da Mosca a Pechino, da Teheran a Pyongyang, si fa strada l’idea che il potere globale debba essere riconfigurato non come gerarchia fondata sul primato tecnologico o sulla superiorità morale presunta, ma come un mosaico di civiltà, ciascuna portatrice di una propria concezione di ordine, giustizia e legittimità. L’Antartide, da questo punto di vista, è diventata non solo un territorio conteso per le sue risorse e la sua posizione strategica, ma un simbolo di questa nuova battaglia ideologica e materiale.
Per decenni considerato uno spazio neutrale, governato da un trattato internazionale del 1959 che ne garantiva l’uso pacifico e scientifico, il continente antartico è ora al centro di manovre sempre più aggressive. Russia e Cina hanno cominciato a costruire nuove basi, ufficialmente destinate alla ricerca, ma strutturate secondo una logica dual-use che consente potenziali impieghi militari, in aperta violazione dello spirito, se non della lettera, del Trattato Antartico. Questa trasformazione segnala una svolta nella geopolitica contemporanea: il confronto tra potenze si sposta in aree un tempo periferiche, ridefinendo la geografia del potere globale.
Le motivazioni di questo interesse crescente per l’Antartide sono molteplici. Il continente ospita riserve minerarie ancora largamente inesplorate, in particolare litio, elemento chiave per le tecnologie dell’energia rinnovabile e per la transizione ecologica. Possiede inoltre una posizione geografica in grado di influenzare le rotte navali, i sistemi di sorveglianza satellitare e i meccanismi di osservazione climatica. In un mondo dove il cambiamento climatico rappresenta non solo una minaccia ecologica ma anche un fattore geopolitico cruciale, la capacità di monitorare e intervenire sugli equilibri ambientali assume un valore strategico.
Il modo in cui le potenze dell’“Axis of Upheaval” interpretano l’Antartide riflette le loro visioni del mondo e le rispettive filosofie politiche. La Russia, sostenuta dalla sua rinascita ortodossa, presenta la propria presenza nel continente come una forma di missione storica e spirituale, un’estensione naturale della difesa dei “valori tradizionali” contro la decadenza dell’Occidente. La Chiesa ortodossa russa non è solo un attore religioso, ma un pilastro ideologico del nuovo nazionalismo putiniano, che fonde spiritualità e geopolitica in un racconto sacro di resistenza. In Cina, il ritorno del pensiero confuciano e taoista nel discorso pubblico fornisce una cornice ideologica che legittima il controllo sociale, l’autoritarismo armonico e una politica estera orientata all’ordine piuttosto che alla libertà individuale. L’Antartide, in questa logica, diventa un campo d’azione coerente con il mandato celeste di mantenere l’armonia nel mondo.
L’Iran, dal canto suo, interpreta la propria proiezione geopolitica come parte di una guerra spirituale contro l’arroganza occidentale. Il sistema teocratico sciita non concepisce la politica estera come un mero esercizio di potere, ma come estensione di un principio religioso di giustizia: resistere all’oppressione, anche attraverso la presenza simbolica nei territori estremi del mondo. La Corea del Nord, infine, con il suo isolamento assoluto e la costruzione di una realtà parallela, partecipa al processo di destabilizzazione dell’ordine internazionale con un contributo ideologico fondato sull’autarchia, la purezza ideologica e il culto del leader come figura sacra.
Sebbene divergenti, convergono nella loro opposizione all’universalismo occidentale. L’idea che vi sia un solo modello di modernità, un’unica forma legittima di governo e un unico sistema di valori universalmente valido, viene contestata con forza crescente. L’Antartide, nella sua apparente neutralità, diventa il terreno dove si sfida la pretesa occidentale di essere l’unico interprete del futuro del pianeta.
Le potenze dell’“Axis of Upheaval” e i BRICS stanno costruendo infrastrutture istituzionali e finanziarie alternative, che segnano una rottura con l’architettura economica globale dominata dagli Stati Uniti. La Nuova Banca di Sviluppo, fondata dai BRICS, è solo una delle manifestazioni di questa strategia: ad essa si affiancano accordi di swap valutari bilaterali, meccanismi di pagamento in valute locali, e una progressiva de-dollarizzazione del commercio internazionale. Il risultato è un sistema finanziario sempre più frammentato, multipolare e resistente alle sanzioni e al controllo politico occidentale.
Nel contesto antartico, ciò si traduce in una competizione anche tecnologica: i satelliti, le reti di sorveglianza ambientale, i sistemi di trasmissione dati e i sensori climatici diventano strumenti di potere tanto quanto le portaerei e i missili balistici. Il controllo dell’informazione scientifica e delle infrastrutture di ricerca si configura come una nuova forma di soft power, che può influenzare le decisioni politiche e la percezione pubblica delle crisi climatiche.
Ma la vera novità di questo confronto globale non è la militarizzazione o l’estrattivismo: è la battaglia per il senso del mondo. Il conflitto tra i blocchi emergenti e l’Occidente non si limita allo scontro tra interessi economici, ma si estende a una lotta simbolica tra visioni dell’umano, forme della comunità, concezioni del bene e del male. È una battaglia epistemologica, in cui i codici narrativi della modernità vengono messi in discussione da tradizioni antiche, riattivate e adattate alla contemporaneità. I BRICS e l’“Axis of Upheaval” non si limitano a sfidare l’Occidente sul piano della forza: lo sfidano sul terreno del significato.
Da qui la centralità della cultura, dei media e della diplomazia parallela. I nuovi blocchi non puntano solo a costruire alleanze militari, ma a forgiare un nuovo immaginario globale. Attraverso canali alternativi, festival culturali, media statali, programmi educativi, borse di studio e iniziative diplomatiche nei Paesi del Sud globale, queste potenze cercano di proporre una narrazione alternativa della storia, della politica e della civiltà. La posta in gioco non è più soltanto la supremazia economica, ma la definizione di ciò che è giusto, desiderabile, legittimo nel mondo del 21 secolo.
In questo quadro, anche le religioni ritornano al centro del discorso geopolitico. Non più marginalizzate come retaggi del passato, ma risorse vitali per la costruzione del consenso, per la coesione interna e per la legittimazione esterna. Le grandi tradizioni spirituali – cristiana ortodossa, islamica sciita, confuciana, taoista – diventano fonti di sovranità e strumenti di resistenza culturale. Il futuro dell’ordine globale dipenderà anche dalla capacità di queste religioni di dialogare tra loro, o al contrario di irrigidirsi in posizioni identitarie incompatibili.
La tensione crescente sull’Antartide e in altre regioni strategiche del pianeta – come l’Artico, l’Oceano Indiano, il Mar Cinese Meridionale – segnala che la sfida attuale non può più essere interpretata secondo i parametri della vecchia guerra fredda. Non si tratta di una semplice corsa agli armamenti o di una nuova spartizione del mondo tra potenze rivali. È in gioco la forma stessa del mondo che verrà. E proprio perché il conflitto è così complesso, esso apre anche spazi di possibilità: il riconoscimento del pluralismo come valore, la costruzione di un ordine mondiale policentrico, la fine delle pretese di universalismo autoritario.
I grandi progetti infrastrutturali che accompagnano l’espansione dei BRICS – dalla Nuova Via della Seta cinese, alle rotte artiche russe, fino alla proiezione iraniana nel Golfo Persico – indicano una geopolitica della connettività, non del dominio diretto. Si delinea così una nuova logica di potere, fondata su interdipendenze, alleanze regionali, pluralismo culturale e resistenza all’uniformazione.
Europa e Stati Uniti sono chiamati a ripensare radicalmente il proprio ruolo: non più potenze egemoni che impongono regole, ma attori tra molti, costretti al dialogo, alla mediazione e alla coesistenza. Questo richiede anche un cambiamento nella cultura politica occidentale, ancora spesso prigioniera di narrazioni binarie e di logiche da guerra fredda.
La contesa globale per l’Antartide, in definitiva, non è solo una questione di ghiacci e litio. È il luogo simbolico dove si gioca il futuro dell’ordine mondiale, la sua legittimità, la sua forma e il suo significato. Nel ghiaccio eterno si riflette il calore incandescente di un conflitto nuovo, profondo, radicale, che ci obbliga a rimettere in discussione tutto ciò che credevamo acquisito.
©Danilo Pette