A cura di Ottavia Scorpati
Tra ritardi, crisi geopolitiche e sfide economiche globali, l’Europa deve ripensare il proprio modello di governance, adottando soluzioni innovative come la cooperazione rafforzata e le alleanze tra Stati e imprese.
L’Unione Europea, un progetto che ha trasformato il panorama geopolitico ed economico del continente per oltre mezzo secolo, si trova oggi ad affrontare una crisi di governance senza precedenti. Seppur avendo ottenuto importanti successi, come la creazione del mercato unico e l’introduzione dell’euro, l’Europa appare ora rallentata da difficoltà interne e da una crescente concorrenza globale. La sua struttura decisionale, troppo spesso paralizzata dalla necessità di consenso unanime tra i suoi 27 Stati membri, fatica a rispondere con tempestività e coerenza alle sfide emergenti.
Il rallentamento della transizione ecologica, la crescente dipendenza dalle tecnologie avanzate importate da altri attori globali, e l’incapacità di reagire uniti alle crisi geopolitiche come quella in Ucraina o in Medio Oriente, hanno evidenziato i limiti di un’Europa che non riesce più a mantenere la sua posizione di leadership mondiale. In un contesto internazionale sempre più frammentato, con potenze come gli Stati Uniti e la Cina che dettano le regole del gioco, l’Unione rischia di perdere il suo slancio e di diventare irrilevante.
Di fronte a questo scenario, è necessario un ripensamento della sua governance. In che modo l’Europa può affrontare le proprie sfide interne senza perdere il treno della competizione globale? Come può rispondere alle crisi senza sacrificare la sua coesione interna? Soluzioni come la cooperazione rafforzata tra Stati, la creazione di coalizioni volontarie e il rafforzamento delle alleanze tra le grandi imprese europee potrebbero rappresentare la chiave per garantire il rilancio dell’integrazione europea. È tempo di un cambiamento di prospettiva che consenta all’Europa di non soccombere alle difficoltà, ma di affrontarle con decisione e visione.
La governance europea si trova ad affrontare una crisi senza precedenti che non sembra risolversi facilmente. Le difficoltà incontrate nel gestire le sfide globali e interne, tra cui la crescente frammentazione politica, la competizione internazionale sempre più intensa, e i ritardi nei settori chiave dell’innovazione e della sostenibilità, stanno mettendo sotto pressione le capacità decisionali e operative dell’Unione Europea. La citazione di Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Europa, secondo cui “niente è possibile senza gli uomini, e niente dura senza le istituzioni”, diventa oggi un monito: la visione di Monnet sull’Europa unita è stata guidata dalla convinzione che la forza dell’Unione risieda tanto nelle sue istituzioni quanto nella volontà politica dei suoi membri. Tuttavia, la realtà di oggi ci mostra che l’Europa rischia di perdere slancio nel processo di integrazione, spesso rallentato da conflitti interni e da un’incapacità di rispondere in modo univoco e tempestivo alle crisi globali.
Da oltre due decenni, l’Unione Europea affronta sfide economiche, sociali e geopolitiche che mettono a dura prova il suo modello di governance. La crisi finanziaria del 2008, la pandemia di COVID-19 e, più recentemente, le tensioni geopolitiche legate alla guerra in Ucraina e al ritorno in scena della rivalità fra potenze globali hanno amplificato le difficoltà di una governance che appare sempre più frammentata e incapace di agire con rapidità e coerenza. A ciò si aggiungono i ritardi nell’affrontare la transizione ecologica e il crescente divario tecnologico rispetto a Paesi come gli Stati Uniti e la Cina. Queste difficoltà minano la competitività dell’Europa, la sua capacità di attrarre investimenti e la sua posizione strategica nel panorama internazionale.
Il professore Umberto Triulzi, esperto di politica economica europea e internazionale, ha evidenziato che la crisi della governance europea non è una novità. Da oltre venti anni, l’Unione si trova in difficoltà nel gestire le crescenti disuguaglianze economiche tra i suoi membri, l’assenza di una strategia industriale coerente e la dipendenza crescente dalle tecnologie e dalle risorse esterne. L’Europa, seppur ha avuto dei successi, non è riuscita ad adattarsi ai cambiamenti rapidi delle dinamiche globali. La sua dipendenza dalle importazioni di tecnologie avanzate, in particolare nel settore delle telecomunicazioni e delle tecnologie digitali, l’ha resa vulnerabile alle politiche protezionistiche e alle manipolazioni delle catene globali di approvvigionamento.
Un altro fattore che ha contribuito a minare la stabilità della governance europea è l’incapacità dell’Unione di sviluppare una politica estera e di difesa comune in grado di contrastare le minacce emergenti. Nonostante i passi avanti in alcune aree, come la Cooperazione Strutturata Permanente (Pesco) per la difesa, la realtà è che l’Europa rimane un attore geostrategico troppo debole, incapace di agire come un blocco unito di fronte a crisi globali come quella in Ucraina o le sfide poste dal cambiamento climatico.
L’Unione Europea ha senza dubbio ottenuto traguardi significativi. La creazione del mercato unico, l’introduzione dell’euro, la politica di coesione economica e sociale, l’allargamento dell’Unione a nuovi Stati membri: questi sono solo alcuni dei risultati concreti che hanno trasformato l’Europa in uno dei più importanti attori economici e commerciali del mondo. L’Unione rappresenta circa il 20% del PIL globale e ospita 440 milioni di consumatori e 23 milioni di imprese. Tuttavia, questi successi non bastano a nascondere i limiti e le lacune che emergono in un mondo sempre più globalizzato e competitivo. L’Europa, infatti, si trova di fronte a sfide che richiedono una visione di lungo periodo e un approccio strategico più audace.
L’assenza di una vera politica industriale europea, unita a un inadeguato coordinamento delle politiche economiche tra i membri, limita la capacità dell’Unione di reagire tempestivamente alle crisi. La sua dipendenza da altri Paesi per tecnologie avanzate e risorse critiche ha messo in luce la debolezza strutturale del sistema, che non è in grado di rispondere efficacemente alle sfide globali. Se l’Unione vuole rimanere competitiva, deve affrontare con urgenza queste problematiche.
Le soluzioni per rilanciare la governance europea sono molteplici, ma una delle più promettenti è quella proposta dal professor Triulzi, che suggerisce di riscoprire il concetto di “cooperazione rafforzata” basato sull’articolo 20 del Trattato sull’Unione Europea. Questo strumento consente a gruppi di Stati membri di agire in modo autonomo in settori specifici senza necessità di un consenso unanime. Sebbene questa modalità possa sembrare una “scappatoia” alle difficoltà di una governance centralizzata, essa potrebbe rappresentare una soluzione pratica per affrontare le sfide più urgenti, come la difesa, l’energia e l’innovazione tecnologica. La cooperazione rafforzata permetterebbe ai Paesi più motivati di andare avanti con progetti ambiziosi, mentre gli altri membri avrebbero la possibilità di partecipare in un secondo momento, senza bloccare l’intero processo.
Tuttavia, come osservato dallo stesso Triulzi, l’adozione di questa soluzione dipende dalla volontà politica degli Stati membri e dalla loro capacità di superare le divergenze interne, che sono particolarmente evidenti nel caso della guerra in Ucraina o nei conflitti mediorientali. La difficoltà di trovare una posizione comune su temi così divisivi limita la capacità dell’Unione di affrontare efficacemente le crisi globali.
Un’altra soluzione potrebbe essere quella di rafforzare le coalizioni tra Stati membri, promuovendo un approccio più flessibile e dinamico. In tal modo, Paesi con obiettivi comuni potrebbero agire insieme senza necessità di un accordo unanime su tutti i temi. Un esempio di questo tipo di cooperazione è la Cooperazione Strutturata Permanente (Pesco), che consente ai Paesi membri di cooperare in ambito difensivo senza coinvolgere l’intera Unione. Tuttavia, questo tipo di collaborazione non ha lo stesso impatto delle politiche comuni e non modifica strutturalmente la governance europea.
Un altro esempio di cooperazione tra Paesi è rappresentato dagli accordi tra imprese europee in settori strategici, come l’industria aerospaziale. Ad esempio, i progetti per lo sviluppo di un aereo da caccia di sesta generazione tra la britannica BAE Systems, l’italiana Leonardo e il giapponese Mitsubishi Heavy Industries sono esempi concreti di come le grandi industrie europee possano collaborare per rafforzare l’autonomia strategica del continente. Allo stesso modo, il progetto per un sistema di combattimento aereo europeo (Scaf) coinvolge Francia e Germania in un’alleanza industriale che potrebbe servire da modello per altre aree dell’economia europea.
In assenza di una politica industriale europea adeguata, un’opzione praticabile potrebbe essere quella di incoraggiare accordi tra le grandi imprese europee, nonché fra le aziende europee e quelle non europee. La creazione di alleanze industriali su larga scala potrebbe consentire all’Europa di sfruttare le economie di scala necessarie per affrontare la competizione globale. Inoltre, una maggiore cooperazione tra le imprese nei settori legati alla difesa e alla sicurezza economica potrebbe migliorare la sostenibilità dei progetti industriali, ridurre la dipendenza dalle tecnologie esterne e rafforzare l’autonomia tecnologica dell’Unione.
La riflessione sulla governance europea non deve però portare a una visione rassegnata o fatalista. Sebbene le sfide siano considerevoli, l’Europa ha ancora la capacità di rinnovarsi e di adattarsi ai cambiamenti. Come sottolineato da Triulzi, la strada da percorrere non è quella della paralisi, ma della costruzione di un’Europa che, pur non necessariamente perfetta, sia in grado di rispondere alle esigenze dei suoi cittadini e alle sfide globali. La chiave del successo risiede nell’abilità di unire le forze, di favorire il dialogo tra Stati membri e di dare spazio a forme di cooperazione flessibili e pragmatiche.
Se l’Unione Europea non sarà in grado di superare le sue difficoltà interne, rischierà di perdere la sua capacità di incidere nelle dinamiche globali e, alla lunga, di sopravvivere come progetto politico e socio-economico coeso. La sua sopravvivenza dipende dalla sua capacità di evolversi, di cogliere le opportunità offerte dalle nuove forme di cooperazione tra Stati e imprese, e di rispondere con determinazione e rapidità alle sfide poste dal mondo in rapida evoluzione.