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Un’Emorragia Silenziosa

Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in .

Dai numeri all’emergenza, l’Europa si prepara a rispondere a una patologia che colpisce milioni di persone e mina la sostenibilità dei sistemi sanitari. Un’analisi delle politiche sanitarie, dell’innovazione tecnologica e della prevenzione nella lotta contro lo scompenso cardiaco.

Lo scompenso cardiaco si impone sempre più chiaramente come una delle emergenze sanitarie più pressanti e complesse dell’Europa contemporanea. Si tratta di una patologia cronica, progressiva, spesso silenziosa, che compromette la capacità del cuore di pompare sangue in maniera adeguata per soddisfare le necessità dell’organismo. Nonostante le grandi conquiste della medicina moderna, che hanno ridotto la mortalità per infarto e migliorato la sopravvivenza in acuto, lo scompenso cardiaco si è insinuato come effetto collaterale di questo successo clinico: le persone sopravvivono più a lungo agli eventi cardiovascolari, ma ciò comporta un aumento esponenziale delle condizioni croniche legate al cuore.

Con oltre 20 milioni di casi diagnosticati in Europa, e stime di crescita che prevedono un aumento del 25% nei prossimi due decenni, questa malattia è diventata un banco di prova per la sostenibilità dei sistemi sanitari europei. I numeri sono inequivocabili: in Italia, ad esempio, i pazienti affetti da scompenso cardiaco sono circa 600.000 e la tendenza è in costante crescita, alimentata dall’invecchiamento della popolazione. Secondo le proiezioni Eurostat, entro il 2050 un europeo su tre avrà più di 65 anni, e oltre il 10% supererà gli 80 anni. La pressione esercitata da questa realtà demografica sui servizi sanitari è immensa, rendendo lo scompenso cardiaco non solo una priorità clinica, ma una sfida trasversale, che tocca l’economia, la politica pubblica, l’equità territoriale e la coesione sociale.

La patologia si manifesta spesso con sintomi subdoli, come affaticamento, dispnea e ritenzione di liquidi, segnali che troppo frequentemente vengono scambiati per semplici effetti dell’età avanzata. Questa sottovalutazione è particolarmente grave, perché impedisce diagnosi tempestive e interventi precoci. Eppure, se individuato nelle sue fasi iniziali, lo scompenso cardiaco può essere gestito in modo efficace, migliorando significativamente la qualità della vita dei pazienti e riducendo i costi per i sistemi sanitari.

Proprio per colmare questa lacuna di consapevolezza, nel 2014 sono state istituite le Giornate Europee sullo Scompenso Cardiaco, promosse dalla Heart Failure Association (HFA) della European Society of Cardiology (ESC). Questo evento, giunto nel 2023 alla sua decima edizione, rappresenta molto più di una campagna informativa: è un’opportunità di convergenza tra scienza, politica, società civile e mondo sanitario per affrontare in modo sistemico una delle principali cause di morbilità e mortalità nel continente.

Nel corso degli anni, queste giornate hanno portato alla luce l’ampiezza del fenomeno e le sue implicazioni profonde. Si è compreso che curare lo scompenso cardiaco non significa solo prescrivere farmaci o effettuare controlli cardiologici: significa attivare un ecosistema integrato, che coinvolga medici, infermieri, farmacisti, caregiver, famiglie, e soprattutto i pazienti stessi. È emersa la necessità di un approccio olistico, multidisciplinare e continuativo, che prenda in carico l’intera persona e non solo la sua malattia.

Uno dei modelli più avanzati in tal senso è stato sviluppato in Italia, presso il Centro dell’Università di Ferrara guidato dal professor Roberto Ferrari. In questo centro si sperimentano soluzioni terapeutiche che vanno oltre la clinica tradizionale: medicina narrativa, attività fisica personalizzata, educazione alimentare, coinvolgimento attivo dei familiari e persino cucina terapeutica. La collaborazione con lo chef Gualtiero Marchesi, che ha contribuito alla realizzazione di menù “cardioprotettivi”, ha segnato un momento simbolico dell’alleanza tra scienza e cultura, medicina e quotidianità.

Anche in altri Paesi europei si registrano buone pratiche. In Francia, ad esempio, è stato avviato un programma nazionale di telemonitoraggio per i pazienti cronici, basato su una piattaforma accessibile a livello nazionale. In Toscana sono stati sperimentati ambulatori cardiologici digitali nelle aree interne, dove la carenza di servizi rappresenta una criticità costante. Questi modelli, oltre a ridurre i tempi di intervento, contribuiscono ad abbattere il divario tra centri urbani e zone marginali, garantendo una maggiore equità nell’accesso alle cure.

Ma non tutte le aree d’Europa beneficiano dello stesso livello di innovazione e assistenza. Le disuguaglianze tra i Paesi membri restano profonde. Nel 2023, la HFA ha evidenziato come Romania e Bulgaria presentino tassi di ospedalizzazione per scompenso cardiaco più che doppi rispetto a Paesi come Svezia e Danimarca. Anche la mortalità intraospedaliera varia sensibilmente, oscillando tra il 4% e il 10%, in funzione della disponibilità di tecnologie, personale qualificato e percorsi di cura integrati. Il divario sanitario è, in larga parte, lo specchio del divario economico: nei Paesi con PIL pro capite più basso, le reti di assistenza sono deboli, i professionisti della salute scarseggiano, e le terapie più avanzate restano spesso inaccessibili.

Sul fronte europeo, sono stati compiuti tentativi per ridurre queste fratture. Il programma EU4Health ha stanziato risorse per sostenere la prevenzione e la sostenibilità delle cure, mentre in Italia il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha introdotto interventi mirati alla digitalizzazione sanitaria e al rafforzamento della medicina di prossimità. Tuttavia, questi sforzi, pur meritevoli, si sono rivelati frammentati e disomogenei. Ciò che manca è un coordinamento sistemico, un’armonizzazione delle politiche, l’adozione condivisa di best practices e la creazione di strumenti di monitoraggio unitari. L’istituzione di un registro europeo dei pazienti affetti da scompenso cardiaco rappresenterebbe un passo fondamentale in questa direzione, permettendo una valutazione omogenea dei dati epidemiologici, degli esiti clinici e dell’accesso alle innovazioni.

Le innovazioni tecnologiche, infatti, sono oggi una delle armi più promettenti nella lotta allo scompenso. Dispositivi impiantabili di nuova generazione, defibrillatori intelligenti, sensori sottocutanei e applicazioni mobili consentono un monitoraggio continuo e personalizzato dello stato di salute del paziente. L’intelligenza artificiale è già in grado di analizzare enormi quantità di dati biometrici, prevedere riacutizzazioni e suggerire aggiustamenti terapeutici. Queste tecnologie, se correttamente integrate nel percorso assistenziale, possono ridurre i ricoveri inutili, migliorare l’aderenza alle cure e aumentare la sicurezza clinica. Ma l’adozione diffusa di tali strumenti richiede infrastrutture solide, formazione specifica per gli operatori e politiche di rimborso adeguate. In assenza di questi elementi, il rischio è quello di accentuare il digital divide sanitario e di escludere proprio i pazienti più fragili.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre il 50% dei casi di scompenso cardiaco potrebbe essere evitato intervenendo sui principali fattori di rischio modificabili: ipertensione, diabete, obesità, dislipidemia, sedentarietà e fumo. La prevenzione primaria e secondaria diventa quindi un pilastro imprescindibile, da costruire in sinergia con politiche educative, ambientali e sociali. Il legame tra condizioni socioeconomiche e rischio cardiovascolare è ormai evidente. Le fasce a basso reddito presentano una prevalenza doppia di patologie cardiovascolari rispetto ai ceti medi e alti, a causa di diete meno equilibrate, esposizione a maggior stress, minore alfabetizzazione sanitaria e limitato accesso ai servizi. In molte aree periferiche delle grandi città europee, l’aspettativa di vita è inferiore anche di 10 anni rispetto ai quartieri centrali.

Questo quadro impone una revisione strutturale delle politiche pubbliche. La sanità non può più essere considerata come un ambito a sé stante, ma deve dialogare con l’urbanistica, la scuola, il lavoro, i trasporti e l’ambiente. Il concetto di “health in all policies” deve guidare ogni strategia di sviluppo, mettendo al centro la salute pubblica come indicatore di progresso e benessere collettivo.

La pandemia  ha accelerato alcune trasformazioni e ha mostrato con chiarezza la vulnerabilità dei sistemi sanitari non integrati. Il ricorso alla telemedicina ha dimostrato la sua efficacia, specialmente nella gestione delle malattie croniche. Sensori domiciliari, piattaforme di triage digitale, consulti a distanza hanno evitato ricoveri inutili e garantito continuità assistenziale. Tuttavia, anche in questo ambito, la differenza tra Nord e Sud Europa è marcata. In Scandinavia e in alcune regioni tedesche e francesi, questi strumenti sono già standard di cura. In Italia, Spagna, Grecia o Portogallo, la loro implementazione è ancora limitata a progetti pilota o iniziative regionali.

Tra il 2020 e il 2023 sono stati istituiti tavoli di lavoro tra istituzioni europee, ministeri della salute, società scientifiche e associazioni di pazienti per discutere l’inserimento dello scompenso cardiaco nei programmi europei di contrasto alle malattie non trasmissibili (NCDs). Questa inclusione consentirebbe di accedere a fondi specifici per la prevenzione, la formazione dei professionisti, la ricerca clinica e traslazionale. Al tempo stesso, la creazione di un sistema condiviso di indicatori di performance, qualità e accesso alle cure rappresenterebbe un potente strumento di governance.

Lo scompenso cardiaco rivela, in ultima analisi, tutte le tensioni che attraversano la sanità europea contemporanea: tra innovazione e diseguaglianza, tra progresso tecnologico e crisi demografica, tra esigenze individuali e sostenibilità collettiva. I costi diretti sono elevati, ma quelli indiretti – perdita di produttività, carico sui caregiver, impatto sulla vita familiare – sono ancora più difficili da quantificare. L’assenza di un coordinamento adeguato rischia di aggravare ulteriormente le disparità e compromettere la tenuta stessa dei sistemi di welfare.

Le Giornate Europee sullo Scompenso Cardiaco, con il loro crescendo di iniziative negli ultimi dieci anni, non sono stati semplici appuntamenti scientifici, ma tappe di una presa di coscienza collettiva. In esse si è sedimentata la consapevolezza che la cura non riguarda solo la dimensione clinica, ma anche quella relazionale, educativa, culturale. Gli slogan utilizzati, come “Il cuore non aspetta”, hanno saputo sintetizzare l’urgenza del problema e al tempo stesso promuovere una visione proattiva, fondata sulla prevenzione, l’empowerment del paziente, il coinvolgimento delle comunità locali.

L’Europa si trova ora davanti a una scelta cruciale. Se sarà in grado di mettere davvero al centro il cuore di chi soffre, se saprà valorizzare le tecnologie senza perdere di vista l’equità, se riuscirà a rendere la sanità uno strumento di coesione e non di esclusione, potrà affrontare con dignità una delle più grandi sfide del nostro tempo. Lo scompenso cardiaco è oggi il simbolo di una transizione: da una medicina centrata sulla malattia a una medicina centrata sulla persona; da un sistema sanitario reattivo a uno preventivo e integrato. E proprio in questa trasformazione si gioca il futuro della salute pubblica in Europa.

©Danilo Pette

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