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Jure Grando l’ombra dell’Istria

Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in .

Dalla leggenda popolare alle origini del vampiro europeoNell’immaginario collettivo, la figura del vampiro è spesso associata al tenebroso conte Dracula, creatura nata dalla fantasia di Bram Stoker e divenuta nel tempo simbolo universale del gotico, dell’eros oscuro e della minaccia dell’Altro. Eppure, ben prima della letteratura vittoriana, dell’industria cinematografica e della commercializzazione moderna, esisteva un vampiro vero, documentato da fonti storiche, temuto da una comunità reale, e per questo ancora più inquietante: Jure Grando, contadino istriano del XVII secolo.

La sua storia si sviluppa in un contesto marginale ma fortemente suggestivo: l’Istria veneziana, terra di confine e di sincretismi, dove convivevano antiche tradizioni slave, superstizioni contadine e una religiosità cattolica spesso impotente davanti all’irrazionale. In questo territorio denso di tensioni sociali, politiche e spirituali, la morte non rappresentava solo la fine biologica dell’esistenza, ma poteva trasformarsi in un ritorno terrificante, in una minaccia che travalicava i confini del reale. Il caso di Grando – morto nel 1656 e ritenuto responsabile, per sedici anni, di morti inspiegabili e apparizioni notturne – ci restituisce un’immagine vivida del rapporto che l’uomo premoderno aveva con il corpo, con la comunità, con l’invisibile.

Questo approfondimento intende esplorare la figura di Jure Grando in tutta la sua complessità, ponendola in dialogo con il più celebre Dracula, ma anche con il contesto culturale, religioso e simbolico che ha permesso la sua nascita e sopravvivenza nel tempo. Attraverso uno sguardo trasversale – che spazia dalla storia locale all’antropologia del sacro, dalla letteratura al turismo moderno – analizzeremo come un oscuro racconto popolare possa trasformarsi in archetipo universale, capace di attraversare secoli e culture. Perché i vampiri, in fondo, parlano sempre di noi: delle nostre paure, delle nostre ossessioni, dei nostri desideri più profondi.

Il cuore dell’Istria del XVII secolo, una regione geograficamente periferica ma culturalmente centrale, si manifestò uno dei casi più affascinanti e disturbanti del folklore europeo: la storia di Jure Grando, un semplice contadino di Corridico – oggi Kringa, in Croazia – che, secondo numerose fonti storiche e popolari, fu protagonista del primo caso documentato di vampirismo. Mentre la letteratura gotica e l’immaginario moderno attribuiscono la nascita del mito del vampiro a figure come Dracula di Bram Stoker, fu invece questo umile abitante istriano a inaugurare un’archetipo culturale destinato a mutare la coscienza collettiva europea. La sua figura si è evoluta attraverso secoli di narrazione, superstizione e interpretazione, divenendo non solo una leggenda, ma un riflesso sociale e antropologico delle ansie del tempo.

L’Istria seicentesca era una terra di confine, non solo geografico, ma soprattutto politico e spirituale. La penisola si trovava schiacciata tra gli interessi della Repubblica di Venezia, l’Impero Asburgico e le forze locali croate e slave, ognuna delle quali portava con sé un retaggio culturale, linguistico e religioso distinto. Questo mosaico di influenze generava un ambiente fertile per lo sviluppo di credenze popolari complesse e sincretiche. Il folklore istriano, fortemente radicato nel mondo rurale, era alimentato dalla fragilità delle istituzioni, dalla paura dell’ignoto, dalla scarsità economica e dalla tensione spirituale tra cristianesimo e superstizione pagana. In questo contesto emerge la figura dello “štrigon” – una creatura che fonde le caratteristiche del vampiro slavo (strigoi, upyr) con quelle dello stregone latino. Lo štrigon era una creatura liminale, a metà tra la morte e la vita, portatore di caos in una società già fragile.

Jure Grando morì nel 1656 per una malattia sconosciuta, in un’epoca in cui le conoscenze mediche erano scarse e la morte era spesso interpretata attraverso una lente mistico-religiosa. Alla sua sepoltura non furono applicati i rituali preventivi comuni in Istria – come il pungere la lingua con un chiodo o inserire pietre in bocca – atti apotropaici pensati per impedire ai morti inquieti di tornare. Da quel momento, il villaggio fu avvolto in un incubo lungo sedici anni. Le testimonianze raccontano che il defunto Grando cominciò a vagare di notte, bussando alle porte con ghigno beffardo, portando con sé una pecora morta sulla spalla e un gatto nero sulla testa. Ogni famiglia che riceveva quella visita notturna, perdeva uno dei suoi membri nel giro di pochi giorni. Questo susseguirsi di decessi creò un vero e proprio collasso sociale, mettendo in crisi la già precaria economia agricola della zona, che si fondava sulla solidarietà e sull’equilibrio della comunità.

Il terrore si fece ancora più intimo e brutale con le dichiarazioni della vedova di Grando, Ivana, che affermava che il marito morto tornava a farle visita ogni notte, molestandola sessualmente, soffocandola con il suo alito irregolare, e tormentandola con il suo sorriso disturbante. Questa parte della leggenda tocca una dimensione tragica e profondamente umana: il corpo morto che ritorna non come affetto, ma come violenza; il legame coniugale che si trasforma in ossessione post-mortem. Qui si sovrappongono il trauma, l’oppressione del patriarcato e l’orrore sovrannaturale, in un miscuglio che preannuncia la complessità delle narrazioni vampiriche future, dove l’erotismo e la morte si intrecciano costantemente.

Il parroco del paese, Don Giorgio, cercò inizialmente di contrastare l’entità con messe, esorcismi, benedizioni. Ma persino lui, figura simbolo dell’autorità religiosa, fuggì dopo una notte in cui il vampiro lo affrontò nel suo stesso letto. Questo dettaglio non è secondario: simboleggia la crisi del potere ecclesiastico di fronte a una paura ancestrale che la religione non riesce a spiegare né a contenere. Quando le autorità spirituali falliscono, la comunità è costretta ad agire. Così, nel 1672, sedici anni dopo la sua morte, nove uomini guidati dal sindaco Miho Radetić e da Don Giorgio decisero di porre fine al terrore. Si recarono al cimitero, dissotterrarono la bara e trovarono il corpo di Grando perfettamente conservato: pelle intatta, guance rosate, sguardo vivo. Tentarono di conficcare un paletto di biancospino nel suo cuore, ma questo rimbalzò sul suo petto come su pietra. Solo il coraggio di Stipan Milašić, che con un’ascia gli decapitò il capo, riuscì a porre fine all’incubo: un getto di sangue schizzò dalla ferita, e da quel momento le apparizioni cessarono.

Il resoconto fu affidato alla carta da Johann Weikhard von Valvasor, nel suo monumentale trattato del 1689 Die Ehre des Herzogtums Crain. Valvasor, pur mantenendo un atteggiamento scettico, documentò la vicenda con precisione, aprendo la strada a una lunga serie di interpretazioni storiografiche, folkloriche e letterarie. Da quel momento, la figura di Grando entrò nel pantheon delle creature notturne europee, precorrendo di due secoli il Dracula di Bram Stoker.

La differenza tra Jure Grando e Dracula è netta, ma illuminante. Dracula è un prodotto dell’epoca vittoriana: è un aristocratico, intellettuale, simbolo dell’Oriente minaccioso e sessualmente trasgressivo, che terrorizza la morale borghese inglese. È un vampiro romantico, metaforico, il cui potere risiede nella seduzione. Jure Grando, al contrario, è contadino, reale, materialmente documentato. È l’horror popolare, viscerale, brutale. Non seduce violenta. Non affascina impaurisce. È il mostro che emerge dal mondo dei vivi, non dal castello gotico. Dracula nasce dalla penna di uno scrittore, Grando dalla voce del popolo.

Se Dracula è una creatura letteraria, teatrale, cinematografica, Grando è un prodotto di un contesto economico, geografico e spirituale ben preciso. La sua esistenza (reale o leggendaria) è frutto di una comunità traumatizzata, che traduce l’angoscia in narrazione. I rituali anti-vampirici – il paletto, la croce, le preghiere – sono espressione tangibile della lotta tra razionalità e superstizione, tra controllo e disordine. In quel paletto che non penetra, nella necessità di una decapitazione cruda, si riflette l’impotenza della religione e la forza della tradizione orale. È interessante notare come molti elementi del racconto – il morto che ritorna, il corpo non decomposto, le molestie notturne, l’azione collettiva per distruggerlo – siano gli stessi che si ritroveranno nella cinematografia horror secoli dopo. Dalla Hammer Films agli adattamenti contemporanei, ogni Dracula porta con sé l’eco di Jure Grando.

Nel XIX secolo, la storia fu ripresa da Johann Joseph von Görres, che aggiunse ulteriori dettagli, enfatizzando l’aspetto inquietante del cadavere, la resistenza fisica alla sepoltura, il coinvolgimento del clero e della moglie. Ma già in quel momento la figura di Grando stava mutando: da caso clinico di isteria collettiva, da trauma reale, stava diventando icona letteraria. Questo passaggio dalla cronaca al mito è ciò che permette a una figura come quella di Grando di sopravvivere nei secoli, assumendo forme nuove, interpretazioni diverse. Dal punto di vista antropologico, il vampiro è una figura che incarna le paure più profonde di una società: la morte, la sessualità, il ritorno del rimosso. E Jure Grando, con la sua vicenda, le rappresenta tutte.

Oggi, Kringa ha saputo sfruttare  questa oscura leggenda in un elemento di identità culturale e di attrazione turistica. Il “Vampire Tour”, il “Vampire Café”, la riproduzione della tomba, l’organizzazione di eventi folkloristici tutto contribuisce a rinnovare il mito, in chiave contemporanea. È il fenomeno del vampiro come spettacolo, già teorizzato da Baudrillard ciò che era terrore diventa intrattenimento. Anche il turismo culturale si appropria della figura, utilizzandola per valorizzare un territorio marginale, creando un ponte tra passato e presente. Non si tratta solo di sfruttamento commerciale, ma anche di riscoperta delle radici, di reinterpretazione identitaria.

In questo senso, Grando è il perfetto esempio di come una figura folklorica possa attraversare epoche, medium e linguaggi, mutando di volta in volta funzione e significato. Dalla paura collettiva alla fascinazione letteraria, dalla superstizione alla cultura pop, dal trauma storico al marketing territoriale: Jure Grando non è più solo il primo vampiro documentato, ma è diventato un archetipo fluido, sempre attuale. Una creatura che, proprio come un vampiro, non smette mai davvero di morire.

©Danilo Pette

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