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Doha, il mediatore silenzioso nel cuore del Medio Oriente

Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in , .

Dopo dodici giorni di escalation militare senza precedenti tra Israele e Iran, una tregua fragile ma cruciale è stata raggiunta grazie alla diplomazia discreta e strategica del Qatar. Un attore apparentemente marginale si è rivelato centrale nella gestione di un conflitto che rischiava di incendiare l’intera regione.Qatar si è ritagliato un ruolo decisivo. Nella “guerra dei dodici giorni” tra Israele e Iran, Doha ha operato dietro le quinte come facilitatore, negoziatore e garante di una tregua che, seppur temporanea, ha impedito un’escalation dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche.
L’emirato ha saputo sfruttare la sua ambigua ma efficace posizione geopolitica, mantenendo aperti i canali con tutti gli attori coinvolti: dagli Stati Uniti a Teheran, da Israele a Hamas. Non è la prima volta che il Qatar si propone come mediatore, ma questa crisi ha confermato in modo definitivo la sua trasformazione da piccolo Stato del Golfo a protagonista diplomatico globale.
Comprendere come e perché Doha abbia potuto giocare questa partita — e con quali obiettivi di lungo termine — è fondamentale per leggere le dinamiche future della regione, dove la guerra potrebbe essere solo rimandata.

Nella notte italiana del 24 giugno 2025 è arrivato l’annuncio tanto atteso, e al contempo imprevedibile, del cessate il fuoco tra Israele e Iran dopo dodici giorni di conflitto aperto. A sancire la tregua è stato il presidente americano Donald Trump, che ha attribuito il ruolo decisivo della mediazione al Qatar, un attore diplomatico emergente nel complicato scacchiere mediorientale. Quella che sembrava una guerra destinata ad allargarsi, complice il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti con attacchi mirati contro obiettivi nucleari iraniani, si è così arrestata, almeno formalmente, grazie a un gioco di diplomazia sotterranea e a un bilanciamento strategico fragile e complesso.

L’emirato del Qatar, guidato da Tamim bin Hamad Al Thani, è stato al centro della mediazione per la tregua, agendo da ponte tra Teheran, Washington e Tel Aviv. Nei giorni precedenti, Doha ha chiuso il proprio spazio aereo e ha gestito con Teheran la rappresaglia iraniana contro le basi americane in Qatar, in particolare quella di Al Udeid, colpita dagli attacchi iraniani in risposta alle operazioni Usa del 22 giugno che avevano colpito siti nucleari di Fordow, Isfahan e Natanz. Senza questo ruolo del Qatar, stando a quanto riferito da fonti americane, l’annuncio di Trump non avrebbe potuto prendere forma.

Non è un caso isolato. Il Qatar negli ultimi mesi ha messo in campo una diplomazia attiva e propositiva, diventando un mediatore chiave in conflitti complessi. A gennaio ha guidato i negoziati a Doha per una tregua tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, trattative che purtroppo sono naufragate per la decisione unilaterale di Tel Aviv di interrompere la tregua. Allo stesso tempo, Doha è stata attiva nella mediazione tra Congo e ribelli M23, lavorando congiuntamente con gli Stati Uniti per riaprire i negoziati in un’altra zona di crisi internazionale. Il Qatar, dunque, emerge come un attore che vuole consolidare la sua influenza geopolitica attraverso un ruolo da mediatore affidabile e capace di dialogare con tutti gli attori, spesso anche quelli più controversi.

La diplomazia qatariota è quindi cruciale nel contesto israeliano-iraniano. Doha ha interesse a mantenere canali aperti con Tel Aviv, anche in vista di una possibile futura normalizzazione, ma contemporaneamente condivide interessi energetici con l’Iran, in particolare nei giacimenti di gas di South Pars, oggetto di tensioni militari nei giorni di guerra. Inoltre, lo stretto di Hormuz, una via di transito vitale per il commercio petrolifero mondiale, è un punto nodale di interesse comune per Qatar e Iran, con Doha che ha espresso preoccupazione per la possibilità di una sua chiusura.

Il ruolo del Qatar non si limita a questa crisi. Il piccolo emirato si posiziona come un protagonista diplomatico chiave nel più ampio teatro mediorientale. È stato garante della tregua temporanea Israele-Hamas, è sempre più presente in Siria come partner finanziario e diplomatico del fronte delle opposizioni siriane sostenute dalla Turchia, e svolge un ruolo importante anche nel Libano, dove la recente elezione del generale Joseph Aoun alla presidenza ha segnato una possibile fase di ritorno alla stabilità dopo anni di stallo politico. Il Qatar, mantenendo buoni rapporti anche con l’Iran, cerca un equilibrio delicato in una regione dilaniata da conflitti che minacciano anche la sua sicurezza e le sue rotte economiche vitali.

Un report dell’Università della Navarra di maggio 2024 spiega questa assertività diplomatica come una risposta a una profonda vulnerabilità percepita del Qatar, minacciato da boicottaggi regionali imposti da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti tra il 2017 e il 2021. Essere un mediatore affidabile permette a Doha di giocare un ruolo centrale e di tutelare così i propri interessi economici, politici e di sicurezza, agendo come un “perno” indispensabile per la comunità internazionale.

Nel conflitto che ha infiammato il Medio Oriente, il ruolo di Doha è stato cruciale non solo per facilitare la tregua, ma anche per permettere la liberazione di ostaggi e l’accesso degli aiuti umanitari a Gaza. Questo percorso diplomatico, lungi dall’essere altruistico, rappresenta una strategia mirata ad affermare il Qatar come grande potenza regionale e globale, capace di gestire con equilibrio equilibri delicatissimi, grazie anche a una rete di alleanze che comprende la Turchia e i Fratelli Musulmani, il cui ruolo è tornato a crescere in Medio Oriente dopo la caduta di Bashar al-Assad in Siria.

L’ambizione qatariota di plasmare un nuovo Medio Oriente, in cui Israele possa trovare un posto da partner e non da nemico, si scontra però con le dinamiche militari in corso. Israele, da parte sua, ha dichiarato con fiducia, riportata dalla Cnn, di essere “molto, molto vicino al completamento” dei suoi obiettivi militari contro l’Iran, auspicando di non essere trascinato in una guerra di logoramento. Gli attacchi dell’Idf hanno colpito obiettivi simbolici e militari, compreso il carcere di Evin, noto per ospitare detenuti politici, molti dei quali legati al movimento di protesta “Donna, vita, libertà” nato nel 2022 dopo la morte di Mahsa Amini.

Nonostante la pressione militare e i raid devastanti, le attese israeliane di un sollevamento popolare in Iran contro il regime degli ayatollah non si sono concretizzate. Anzi, si sono registrate manifestazioni di sostegno al governo di Teheran, che ha saputo mostrare una coesione interna sorprendente e una resistenza che ha sconfitto le aspettative di Netanyahu e Trump, quest’ultimo arrivato a utilizzare slogan come “Make Iran Great Again” (Miga), ricalcando il proprio celebre “Make America Great Again”.

L’Iran è certamente uscito indebolito dal conflitto: i siti nucleari sono stati colpiti duramente e l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica sarà chiamata a valutare l’entità dei danni. Tuttavia, il programma nucleare civile, e probabilmente anche quello militare, non sembra cancellato. Le riserve di uranio arricchito sarebbero state messe in salvo, mentre l’Iran ha fatto sentire la sua forza lanciando attacchi contro obiettivi israeliani, tra cui la città di Beer Sheva, e minacciando la chiusura dello Stretto di Hormuz, un’arma economica dirompente che avrebbe effetti devastanti a livello globale. Anche la minaccia della chiusura di Bab el-Mandeb, passaggio strategico per il commercio mondiale, ha aumentato la tensione geopolitica.

Sia Mosca sia Pechino hanno condannato verbalmente gli attacchi israeliani ma non hanno espresso la volontà di intervenire direttamente a sostegno dell’Iran, segno delle complesse alleanze che si stanno ridisegnando.

Il regime degli ayatollah, nonostante la pressione esterna, ha però fissato chiaramente alcune linee rosse, come il mantenimento del programma nucleare e la salvaguardia della guida suprema Ali Khamenei, il cui ruolo politico e religioso resta centrale e supportato da una significativa base nella comunità sciita regionale. Un tentativo di eliminarlo potrebbe scatenare un caos regionale che nessuno, né Israele né gli Stati Uniti, desidera realmente affrontare, come spiegato dallo storico James Gelvin, che ha sottolineato come le strategie di cambio regime tramite assassini spesso portino solo al caos e non a un governo favorevole.

Sul fronte politico italiano, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso il 23 giugno alla Camera una posizione chiara in vista del Consiglio europeo, ribadendo l’assenza di coinvolgimento diretto italiano nelle operazioni aeree Usa e la necessità di un dialogo serrato tra governo e Parlamento, anche in vista delle evacuazioni dei cittadini italiani da Israele e Iran e della possibile temporanea chiusura dell’ambasciata italiana in Teheran. Meloni ha sottolineato l’importanza di un’azione diplomatica coordinata per garantire la pace e ha espresso preoccupazione per la corsa al nucleare in Medio Oriente, affermando che un Iran nucleare rappresenterebbe una minaccia non solo per Israele ma per l’intera regione.

Sulla questione di Gaza, Meloni ha condannato la brutalità delle reazioni israeliane e ha chiesto un’immediata cessazione delle ostilità, proponendo un futuro in cui Hamas venga esclusa dalla governance e l’Autorità Palestinese, opportunamente riformata, assuma maggiori responsabilità. Ha inoltre segnalato la presenza, in particolare nel Golfo, di leader arabi interessati a un futuro di pace e integrazione regionale di Israele.

Riguardo all’Ucraina, il conflitto in Medio Oriente rischia di distrarre l’attenzione internazionale da Kiev, ma Meloni ha assicurato che l’Italia non abbasserà la guardia, ribadendo il sostegno all’Ucraina e invitando l’Europa a mantenere l’unità.

Il cessate il fuoco tra Israele e Iran dopo la “guerra dei dodici giorni” è il risultato di una complessa mediazione internazionale in cui il Qatar ha avuto un ruolo decisivo, confermando la sua crescita come potenza diplomatica regionale. La tregua è fragile, con tensioni ancora forti e interessi geopolitici contrapposti che potrebbero riaccendere il conflitto in qualsiasi momento. Nel frattempo, il quadro mediorientale resta instabile e incerto, mentre l’Occidente cerca di contenere la crisi senza un coinvolgimento militare diretto, puntando sulla diplomazia e su equilibri di potere estremamente delicati.

©Danilo Pette

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NOTE A MARGINE
Già da vari anni questa metamorfosi del Qatar impegnato sapientemente ad assumere, da piccolo Stato del Golfo, un ruolo di protagonista globale in ambito Diplomatico / Giuridico / Professionale – e non solo, considerando anche il comparto dell’Alta Moda, del Football Stellare e del Turbo Lobbysmo Internazionale, a cui la Consul-Press aveva riservato una notevole attenzione ad inizio del 2020. 
Al riguardo si desidera riproporre una serie di articoli dedicati al
Convegno Giuridico “Legal Working in Progress”, svoltosi presso il Palazzo di Giustizia di Roma, organizzato dall’Ordine Avvocati di Roma  a cura dell’Avv. Eleonora Di Prisco (Componente Comm.ne Diritto Europeo ed  Internazionale, delegata per i  Paesi di Lingua Araba), con il Patrocinio del Ministero Affari Esteri Italiano, del Ministero degli Affari Esteri Qatarino e dell’UNINT – Università Studi Internazionali di Roma.  I suddetti articoli contengono, oltre ad un resoconto sulle tematiche esaminate, interviste, relazioni e video audio registrazioni.  

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