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“Figaro Rosina e i ragazzi “

Scritto da Davide Mengarelli il . Pubblicato in .

a cura Davide Mengarelli

Il Barbiere di Siviglia come scuola di libertà, ingegno e cittadinanza
Un’opera classica che diventa strumento educativo, palestra teatrale, specchio sociale e risorsa per la crescita personale dei giovani.Il Barbiere di Siviglia attraversa i secoli con una vitalità sorprendente e diventa una fonte inesauribile di stimoli educativi e formativi, una palestra per la crescita dei ragazzi: fin dal primo atto, il testo di Beaumarchais e la sua trasposizione operistica di Rossini offrono occasioni per riflettere su temi cruciali come l’identità, la resilienza, il rispetto, la collaborazione, la creatività e l’empatia. Il tutto senza diminuire l’ironia travolgente e il ritmo serrato che lo rendono uno strumento efficace, appassionante, democratico e trasversale, capace di coinvolgere generazioni diverse, lasciando tracce profonde nella memoria collettiva.
La scena si apre su un Siviglia brulicante di voci e personaggi che rappresentano la società in tutte le sue sfaccettature: c’è il Conte d’Almaviva, raffinato e innamorato, c’è Rosina, giovane scaltra e intraprendente, c’è Figaro, il barbiere tuttofare dotato di spirito e intelligenza, e infine Don Bartolo, il tutore severo e possessivo: ognuno di loro è un tassello di un mosaico sociale che parla ai ragazzi di ruoli, di poteri, di limiti da superare, di obiettivi da raggiungere.
La crescita di Rosina diventa metafora universale della conquista della propria voce, della consapevolezza che esistere significa essere ascoltati e rispettati. Costretta nel suo bozzolo da un tutore preoccupato solo del proprio potere, Rosina trova nell’amore e nell’astuzia strumenti per affermare sé stessa, per farsi dominare dal suo desiderio di libertà. Ai ragazzi, già dentro conflitti analoghi: infrangere soglie, sfidare convenzioni, farsi uno spazio in famiglia, nella scuola, nelle amicizie. Scopriranno che energia, intelletto e coraggio hanno un peso, un valore, e che l’ingegno è una via d’uscita da situazioni limitanti.
Figaro è l’eroe quotidiano, il facilitatore di situazioni, il tessitore di ponti tra opposti. Ai ragazzi mostra che il talento non è solo intuitivo, ma talentuoso quando diventa volontà, abitudine, organizzazione: Figaro lavora, pensa, coordina; non aspetta che le cose cadano in testa. Di fronte agli ostacoli costruisce vie; se bisogna entrare, canta e ride; se bisogna parlare, architetta parole e piani. In questo trova materia di insegnamento: l’importanza dell’impegno, del mestiere, dell’esperienza, del cooperare per un fine comune. Così impara che ogni passo ha un senso, e che non esiste successo senza uno sforzo consapevole.
Il Conte d’Almaviva, con le sue stratagemmi amorosi, rimanda al valore del rispetto e dell’eleganza nei rapporti umani: non basta desiderare qualcuno, è necessario conquistarne l’anima, rispettarne la dignità. Non è corteggiare per possedere: è corteggiare per risvegliare. Ai ragazzi chiede di giocarsi col sorriso, con la gentilezza, con la creatività. Lo straordinario valzer del primo atto insegna anche questo: il bello nella misura, la misura nel bello.
Don Bartolo, per quanto comico e un po’ macchiettistico, diventa icona del potere tradizionale, della norma autorevole che teme il nuovo: serve per raccontare ai ragazzi che le convenzioni possono essere valide, ma spesso diventano muri, limiti, gabbie. La sua battaglia per proteggere Rosina è animata da ansia e gelosia, da un senso di possesso che si confonde col bene. Ne nasce una riflessione potente: qual è il confine tra tutela e controllo? Tra amore e possesso? Educare i ragazzi a riconoscere i segnali di una relazione sana, e a distinguere tra guida e sopraffazione.
La lingua, la musica, il ritmo: la felicità linguistica di Beaumarchais, raffinata e piena di giochi verbali, si fonde con la musica di Rossini che amplifica, enfatizza, danza, rimbalza. Ai ragazzi insegna come la forma sia comunicazione, come la parola possa diventare magia quando potenziata da musica, espressione, arte. È un invito a non limitarsi a parlare, ma a comunicare, a sentire lo spessore delle parole quando trova un corpo sonoro. E li introduce alla cultura musicale: il recitativo, la melodia contenuta nel parlato, il cavatina, i tempi rapidi, la bellezza delle frasi musicali. Chi apprende diventa capace di riconoscere architetture sonore, di sentire le progressioni narrative dentro la musica.
Sul piano didattico, l’opera favorisce percorsi multidisciplinari: storia, letteratura, musica, sociologia, psicologia. Lo scenario settecentesco riporta a un mondo apparentemente lontano, ma le dinamiche familiari e sociali restano sorprendenti contemporanee. I ragazzi possono discutere libertà e imposizione, affetti e ruoli, identità e condizionamenti. Possono provare a tradurre Rosina ai nostri giorni: come sarebbe una ragazza di oggi che cerca voce propria? Quali barriere incontra? Quali strumenti usa? Può raccontarsi attraverso un blog, un video, un podcast? E quindi scende l’interrogativo: cosa cambia nei linguaggi, cosa resta del desiderio di libertà e autonomia?
Anche il rapporto tra adulti e giovani, tra autorità imposte e autonomia in espansione, trova nel Barbiere di Siviglia un terreno di confronto: il ragazzo lo avverte subito come terreno fertile per le proprie contese interiori, i propri progetti di conquista del mondo. È per questo che l’opera può diventare efficace leva educativa: attivare il dialogo tra generazioni, stimolare domande, trasformare l’autorità — incarnata in Don Bartolo, ma anche in guardie, domestici, regole sociali — in ipotesi da sondare, contestare, ridefinire secondo i valori condivisi.
Il comico, non banale spasso, si trasforma in saggezza: ridere per capire, misurarsi con la struttura drammaturgica che prevede sbagli, piani, ritorsioni, risate, redenzioni; il gioco è serio — e lo ridiamo fuori perché il poter ridere è sintomo di intelligenza, di resilienza. I ragazzi imparano a non sminuire l’ironia, a non ignorare il proprio bisogno di leggerezza, pur dentro i conflitti.
Dalle pagine si passa all’esperienza: il teatro come palestra di produzione artistica. Montare il Barbiere offre ai ragazzi un caleidoscopio di ruoli: recitazione, canto, orchestra, sartoria, regia, scenografia, luci, macchina teatrale. Chi partecipa scopre che ogni funzione è necessaria e bella; che la cura per i dettagli, il rispetto dei tempi, il lavoro collettivo genera valore e bellezza; che davanti a un pubblico, e dentro la pulsione del racconto, si cresce. Non solo: impara che l’arte è linguaggio comune, inclusivo, democratico.
Inoltre, il Barbiere come ponte tra culture: la sua traduzione, la sua adattabilità, il suo viaggio nel mondo intero lo rendono oggetto di studio della globalizzazione culturale. I ragazzi incontrano versioni tedesche, spagnole, giapponesi, rivisitazioni moderne: un’opera che parla d’amore e libertà mantiene intatta la capacità di sorprendere, proprio perché parla di questioni umane universali. E se diventa cartone, romanzo, film, spettacolo contemporaneo, in lingua diversa — cresce nella loro sensibilità la sensazione che ogni cultura può dialogare con le altre, che dietro la superficie cambia il modo, ma la sostanza resiste.
Nello specifico, nei percorsi scolastici, lo si può introdurre attraverso la lettura scenica, piccole messinscene seminarrative, podcast creativi, doppiaggio, adattamento contemporaneo. Un laboratorio di scrittura creativa può chiedere ai ragazzi di riscrivere la voce di Rosina oggi: immagini un diario Instagram contro le catture di Don Bartolo. Oppure, un blog di satira politica ispirato a Figaro. O ancora, un video musicale che accompagni l’aria del Conte, aggiornando i riferimenti sociali. Così la distanza temporale si annulla: il Barbiere torna attuale, entra dentro i giovani e li propone strumenti per raccontare il loro dentro e il loro attorno.
L’operazione diventa uno spazio di cittadinanza: attraverso dialoghi, musica e intrigo i ragazzi sperimentano negoziazione, collaborazione, strategia, rispetto dei ruoli; sviluppano la capacità di stare in pubblico e di farsi carico di responsabilità; gestiscono conflitti tra desideri e vincoli, tra autonomia e coesione; sperimentano l’inclusione, imparano a valorizzare ruoli diversi. Il montaggio diventa strumento civico.
L’esperienza nel teatro affina anche soft skills: self‑confidence, parlare in pubblico, affrontare l’imprevisto — come Figaro che inventa sempre una via d’uscita; esplorazione del cambio di prospettiva — attraverso l’incarnazione di un diverso da sé; lavoro in gruppo — l’orchestra, il coro, gli allestimenti; la capacità di accettare il feedback e trasformarlo; la responsabilità del singolo nella riuscita di tutti. Interazione tra emozione e disciplina, tra fantasia e ordine.
Il risultato è un’opera che non insegna mai una sola cosa, ma sempre molte cose insieme: la musica come collante, la parola come strumento, il teatro come palestra sociale, l’ironia come lente critica, la rappresentazione come finestra sul mondo. Il Barbiere di Siviglia restituisce ai ragazzi l’intuizione che dentro un testo possono stare libertà, strategia, desiderio, regole, complicità, tensione: è una mappa di relazioni e possibilità.
Nel mondo, le esperienze non mancano: scuole di musica e teatro che propongono laboratori sul Barbiere, festival giovanili in cui ragazze e ragazzi mettono in scena allestimenti low‑cost ma efficaci, compagnie giovanili che riscrivono testi, realtà interculturali che inseriscono Arcángel urbano, proponendo versioni afro‑latine, remix hip‑hop, mash‑up con linguaggi visivi contemporanei. Il modello funziona perché parte dal piacere, non dalla coercizione: i ragazzi scelgono, inventano, partecipano.
Infine, l’eredità: quel fuori scena che resta dentro. Quando un ragazzo porta dentro di sé un’aria del Barbiere, quando riconosce la mancanza del sé in Rosina, quando prende il coraggio di Figaro per inventare soluzioni, quando si domanda se un’azione tutoria può diventare controllo ossessivo, allora il Barbiere ha fatto il suo mestiere. È diventato racconto di sapere condiviso; ha abitato il presente.
Questa potenza formativa non è teoricamente astratta: nasce dalla capacità del testo e della musica di parlare al sensibile, al corpo, all’emotivo; di dare spazio alla sinergia tra intelligenze; di far scorrere dentro le vene dell’esperienza viva relazioni, conflitti, soluzioni: il cuore del teatro è incarnazione — e uscirne significa aver integrato. Il Barbiere di Siviglia entra nella formazione del gusto, dell’attenzione, della capacità narrativa, della responsabilità. Ed è per questo che, mentre scorrono le battute e le note, mentre si ride e si riflette, qualcosa si sposta davvero: nel pensiero, nella postura, nella voce, nella relazione.
Ecco l’operazione: un’opera che non “serve a imparare”, ma da cui si impara — e molto — in libertà, in relazione, dentro la partecipazione, senza l’idea di farne un compito. Un’opera che parla a giovani e adulti insieme e che riconcilia generazioni. Un’opera che, in ogni scuola, in ogni teatro, in ogni quartiere, può fiorire come una piccola rivoluzione della voce, della creatività, della socialità, dell’autonomia. E non c’è conclusione perché ogni ragazzo, ogni edizione, ogni racconto, ogni nuova voce, riapre il cerchio: il Barbiere di Siviglia resta aperto, come un’eco.

 

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