Skip to main content

La Musica del Futuro che Nasce Oggi

Scritto da Davide Mengarelli il . Pubblicato in .

a cura Davide Mengarelli

Bolzano Festival Bozen 2023

Un viaggio tra tradizione e innovazione, tra giovani talenti e maestri affermati, per scoprire come un festival internazionale una città e rinnova il senso stesso della musica.È una sera d’agosto, ma potrebbe essere l’ultimo giorno di un mondo, o il primo. Il Teatro Comunale di Bolzano non è più solo spazio scenico: è corpo vibrante, arteria viva di un respiro collettivo. Sul podio, Jakub Hrůša non sta semplicemente dirigendo. Sta tessendo, come un monaco laico, l’ordito invisibile di un tempo altro, scavando nel cuore della Nona sinfonia di Mahler. Davanti a lui, la Gustav Mahler Jugendorchester. Giovani. Talenti. Creature del futuro eppure già scavati dalla profondità dell’opera che stanno affrontando. E quando le ultime note sfumano – in quel silenzio che non è assenza ma rivelazione – accade qualcosa che va oltre il rituale: i musicisti si abbracciano. Non per forma. Non per convenzione. Si stringono per necessità, per raccontare senza parole che quanto è avvenuto ha lasciato un segno, ha mutato la loro traiettoria, ha inciso una linea luminosa nella loro storia. È in quel gesto, nudo e semplice, che si coglie il senso profondo del Bolzano Festival Bozen 2023: un festival che non offre musica, ma la genera; che non celebra la gioventù, ma la convoca, la mette al centro, la rende potenza viva.

La Nona di Mahler non è mai solo una sinfonia. È un testamento, una soglia, un abisso. È la voce di un uomo che ha intuito la fine, che ha guardato l’orizzonte e ha visto la luce spegnersi, ma non si è arreso. Ha composto. Ha scolpito nel suono un addio che è anche carezza. Hrůša la prende in mano come un romanzo interiore, la apre, la sfoglia, la rende trasparente. Non cerca l’effetto, non si concede al languore. Procede con lucidità, con una forza che è prima di tutto chiarezza. Ogni episodio emerge netto, ogni dinamica ha un senso, ogni pausa è uno spazio di respiro e di riflessione. E la Gustav Mahler Jugendorchester risponde come un organismo unico: preciso, fluido, febbrile. Non c’è traccia di retorica, nessuna concessione al compiacimento. È musica necessaria, urgente, che sa essere violenta e intima, che sa gridare e sussurrare. E quando l’ultimo movimento giunge, con la sua tensione dissolvente, tutto si ferma. Il suono si spegne ma non muore: evapora, resta nell’aria, si fa presenza invisibile. Il direttore tiene le braccia sollevate nel vuoto, come a voler trattenere quel silenzio, proteggerlo. E il pubblico resta lì, in sospensione, incapace di interrompere il flusso con un applauso. È solo dopo lunghi secondi – forse minuti – che il teatro esplode. E quell’ovazione non è entusiasmo: è gratitudine.

Il titolo scelto per questa edizione del festival – The Future of Music – potrebbe apparire un’iperbole, un esercizio retorico. Ma non lo è. È una dichiarazione di responsabilità, una presa di posizione. In un’epoca che frammenta, che consuma, che spesso dimentica, questo festival sceglie di unire, di costruire, di ricordare. E lo fa mettendo al centro la gioventù. Non come categoria anagrafica, ma come atteggiamento, come postura verso il mondo. I giovani delle orchestre residenti – la Gustav Mahler Jugendorchester e la European Union Youth Orchestra – non sono appendici decorative, non sono presenze di contorno: sono il cuore pulsante. Il festival non parla della gioventù. Parla con la gioventù. La ascolta, le dà spazio, la sfida e la accompagna.

La Gustav Mahler Jugendorchester, nata a Vienna nel 1986 per volontà di Claudio Abbado, è molto più di un ensemble: è un laboratorio umano, una scuola di vita e di musica, un progetto che mette insieme giovani talenti da tutta Europa e li pone di fronte al repertorio più esigente. Il suo legame con Mahler non è solo nominale: è un legame spirituale, esistenziale. Mahler, che fu compositore, direttore, pensatore, inquieto cercatore di verità, rivive in questa orchestra che non smette di interrogarsi, di cercare senso dentro le partiture. Ecco perché l’attesa per la loro esecuzione della Nona era così intensa. Ecco perché ciò che è accaduto a Bolzano è molto più di un concerto riuscito: è stato un evento, un passaggio, una traccia che resta.

Ma il Bolzano Festival Bozen non è solo questo. È un organismo polifonico. È un tessuto complesso di voci, spazi, tempi, prospettive. Dal 31 luglio al 3 settembre 2023, la città si è trasformata in un teatro diffuso. Le chiese, i cortili, le strade, i castelli, le sale da concerto: ogni angolo si è fatto risuonatore, cassa armonica di un progetto ambizioso. Non si tratta semplicemente di disseminare concerti in luoghi suggestivi: si tratta di abitare il territorio, di fargli dire qualcosa. A Bolzano, la musica non occupa lo spazio: lo interpreta.

Il direttore artistico Peter Paul Kainrath ha costruito un programma che è una dichiarazione poetica. Ogni scelta – dai grandi nomi come Antonio Pappano, Manfred Honeck, Roberto Molinelli, Matthias Pintscher, Christian Blex, Giovanni Acciai, Arvo Volmer, fino ai solisti come Julia Fischer, Kerson Leong, Jacquelyn Wagner, Benjamin Grosvenor, Giovanni Gnocchi, Giuliano Carmignola – è pensata per creare un discorso, una narrazione plurale. Non si assiste a una sfilata di eccellenze, ma a un dialogo tra sensibilità differenti. L’alternanza tra orchestre giovanili e maestri affermati non è un trucco, ma un metodo. L’esperienza incontra la curiosità, la sicurezza incontra l’irrequietezza. Si costruisce un ponte. Si crea futuro.

Un momento simbolico di questo processo è rappresentato dalla prima mondiale dell’opera “11.000 Saiten” di Georg Friedrich Haas. Un progetto nato da una visione, o meglio, da un ascolto: quello che Kainrath fece in una fabbrica di pianoforti a Ningbo, in Cina, dove oltre cento strumenti venivano suonati simultaneamente come test finale prima della vendita. Un’esperienza sonora totalizzante, quasi allucinatoria, che ha trovato il suo naturale destinatario in Haas, compositore che da sempre lavora sulla microtonalità, sulla rottura dei confini tonali tradizionali. Il risultato è una composizione per 50 pianoforti – tutti arrivati dalla Cina – che ha debuttato il 1° agosto negli spazi della Fiera di Bolzano. Un’opera che è al tempo stesso performance, installazione, rito collettivo. Il pubblico non assiste, ma partecipa. Non si ascolta, si è immersi. Non c’è centro né periferia: c’è solo un’onda sonora che trasforma l’ascolto in esperienza fisica.

Allo stesso modo, il Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni non è solo una gara. È un percorso di scoperta, di formazione, di emersione. Oltre seicento candidati da tutto il mondo, una giuria prestigiosa – Ingrid Fliter, Iain Burnside, Chen Jiang, Imogen Cooper, Fulvia de Colle, François-Frédéric Guy, Aleksandar Madžar, Nicolas Namoradze, Clemens Trautmann – una nuova modalità che prevede anche recital solistici e prove di musica da camera. La finalissima, per la prima volta di domenica mattina, sarà trasmessa in streaming in tutto il mondo, grazie alla collaborazione con Rai e con la piattaforma STAGE Plus di Deutsche Grammophon. Anche qui, il futuro non è un’astrazione: è un volto, un suono, una possibilità concreta.

Accanto a tutto questo, il Festival Antiqua. Una sezione che si occupa di musica antica, ma non la tratta come reliquia. Al contrario: la interroga, la mette in movimento, la propone come laboratorio di modernità. Händel come esploratore sonoro dell’Oriente. Napoli come crocevia delle culture nel regno delle Due Sicilie. Monteverdi, Scarlatti, le forme barocche come strumenti per pensare il presente. Con artisti come Girandole Armoniche, Academia Montis Regalis, Fiori

Musicali Austria, Harmonices Mundi, Dorothee Oberlinger, Edin Karamazov, Valeria La Grotta, Rolf e André Lislevand, la musica antica diventa avanguardia. Si ascolta il passato per riscoprire l’oggi.

E poi c’è la dimensione educativa, forse la più rivoluzionaria. La Gustav Mahler Academy, fondata da Abbado, non è un semplice corso estivo: è un cammino biennale per cinquanta giovani selezionati su oltre novecento candidature. Un percorso che combina musica da camera, progetti contemporanei, riflessione sull’Originalklang – il suono originale dell’epoca di Mahler. Non è solo formazione tecnica: è costruzione di identità musicale, di pensiero critico, di responsabilità artistica.

E per i più piccoli? “Tutt’orecchi!” – una proposta semplice, ma potentissima: ogni bambino può accedere ai concerti per un euro, se accompagnato da un adulto. Ma non solo. Può fare domande, incontrare direttori, esplorare gli strumenti, vivere la musica da dentro. Non come pubblico passivo, ma come soggetto attivo. È un investimento culturale. È un atto politico. È un atto d’amore.

Bolzano, in tutto questo, non è cornice. È parte viva. Piazza Walther, Castel Mareccio, i vicoli, le piazze, gli scorci nascosti: ogni luogo risuona. Si può uscire per una passeggiata serale e imbattersi in un quartetto, in un assolo, in un’improvvisazione. La musica scorre nell’aria, abita le pietre. Il festival non è un evento. È una trasformazione.

E così, tornando a quella sera d’agosto, al Teatro Comunale, a Hrůša e alla Nona di Mahler, si capisce che nulla è stato casuale. L’abbraccio degli orchestrali, la sospensione del pubblico, l’ovazione finale: tutto è parte di una coreografia più ampia, che tiene insieme formazione, creazione, memoria, ascolto. Il Bolzano Festival Bozen non si limita a programmare concerti: costruisce futuro. E lo fa con una consapevolezza rara, mettendo in scena un modello di comunità musicale che è, prima di tutto, comunità umana. Dove la musica non è ornamento, ma linguaggio. Non è intrattenimento, ma visione. Dove la gioventù non è solo speranza, ma forza presente. Una forza che compone, dirige, interpreta, ascolta. Che cambia il mondo, una nota alla volta.

 

Condividi su: