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Il paradosso TheFork

Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in .

a cura Agostino Agamben

Il prezzo della visibilità. Sul capitalismo algoritmico e la crisi della concorrenza nel caso TheFork

Quando la piattaforma diventa norma e il ristoratore perde sovranità: una riflessione filosofico-economica sulla disuguaglianza, il valore e la nuova forma-di-vita economica

In una civiltà in cui ogni attività dell’umano è resa disponibile alla monetizzazione attraverso infrastrutture invisibili, la concorrenza cessa di essere una forma di gioco tra soggetti dotati di agire e volontà e diventa un processo automatico, sistemico, integrato, governato da logiche non più discutibili ma solo accettabili. Il caso TheFork — denunciato da TNI Italia come attentato al principio della concorrenza leale — non è che un sintomo di un più ampio dislocamento: dal mercato alla piattaforma, dalla politica all’algoritmo, dal lavoro alla prestazione calcolata. Qui si apre una riflessione sul rapporto fra economia, visibilità, diritto e soggettività, in un regime post-industriale dove la ristorazione diventa il laboratorio stesso della nuova forma-di-vita economica.

Sotto il segno della performance, ogni attività è valutata, monitorata, indicizzata, premiata o penalizzata attraverso meccanismi di visibilità che, lungi dall’essere neutrali, costituiscono la vera governance del presente. Il ristoratore non è più un imprenditore che entra liberamente in relazione con il cliente: è un nodo subordinato in una rete, un operatore di valore condizionato da variabili algoritmiche esterne al suo controllo. TheFork, come ogni piattaforma digitale, non è un semplice mediatore: è un produttore di norme. Norme implicite, distribuite, opache. Chi non aderisce alle dinamiche imposte — sconti obbligatori, ranking, promozioni coatte — viene espulso dal circuito economico simbolico. Diventa invisibile. La visibilità non è più effetto della qualità, ma condizione della sua possibilità.

L’algoritmo come nuovo nomos

L’azione economica moderna si fondava sull’assunto di reciprocità differita, sulla fiducia, sulla reputazione e sulla presenza reale. Nel capitalismo algoritmico, questa logica viene invertita. Non è più la reputazione che genera valore, ma il valore generato (apparentemente) dall’algoritmo che fonda la reputazione. Le piattaforme come TheFork impongono un nomos inedito: la legge dell’indicizzazione. L’esistenza stessa del ristorante diventa subordinata alla sua posizione nella lista, alla sua apparizione entro una griglia di visibilità predeterminata. Il meccanismo è esattamente quello della inclusione esclusiva — si è presenti, ma condizionatamente; si è visibili, ma solo se si accetta la logica imposta.

È qui che si realizza la profonda sovversione della concorrenza. Non si tratta più di competizione tra imprese autonome che offrono prodotti di qualità, ma di competizione tra visibilità ottenuta attraverso la sottomissione. Chi non accetta lo sconto è oscurato. Chi non si sottomette alle condizioni della piattaforma è bandito dal flusso del consumo. La concorrenza è stata espropriata della sua funzione liberale originaria: essa non serve più a garantire pluralità e innovazione, ma a regolare un’economia della sopravvivenza all’interno di un ecosistema dominato dalla piattaforma.

Il ristorante come corpo economico esposto

La figura del ristoratore, nella crisi attuale, si configura come nuda vita economica: è colui che lavora, produce, investe, rischia, ma che non dispone più della sua sovranità economica. È esposto al giudizio dell’algoritmo, alla recensione dell’utente, all’arbitrio della piattaforma. Il cliente — oggi utente — può prenotare più tavoli in contemporanea, annullare, non presentarsi. Il ristoratore, invece, non ha mezzi simmetrici di tutela. La piattaforma, a sua volta, non interviene. La responsabilità viene frammentata, dissolta, distribuita. Non esiste più una relazione bilaterale fra produttore e consumatore: esiste solo la rete.

In questa dissimmetria si gioca la condizione di vulnerabilità strutturale della piccola e media impresa. Come segnala Antonio Leo, referente di TNI Italia, «molti ristoranti sono usciti dalla piattaforma… a totale danno del ristoratore a cui viene a mancare l’incasso». Non si tratta di errori di progettazione o di effetti collaterali: è la struttura stessa del modello economico a produrre perdita, spreco, precarietà. La piattaforma si limita a fornire accesso, non garanzia. Essa non è mai responsabile, ma solo abilitante. Così il danno si distribuisce silenziosamente sui corpi economici reali: i titolari, i cuochi, i camerieri, i fornitori, gli artigiani del cibo.

Economia del ribasso

Il meccanismo degli sconti obbligatori, spesso richiesti per ottenere visibilità, si configura non come strategia di marketing ma come tecnica di disciplinamento. Ridurre i prezzi è un modo per convertire la qualità in quantità, l’identità in fungibilità, la differenza in standard. Ogni ristorante diventa interscambiabile, valutabile solo in funzione del prezzo proposto, non della proposta culturale o gastronomica. La gastronomia — arte che unisce estetica, tecnica e memoria — è ridotta a prestazione valutabile. L’identità di un ristorante è, in fondo, la sua irripetibilità: ma la piattaforma tende a cancellare ogni specificità, in nome di una performatività adattiva.

TheFork non mina solo la concorrenza: mina l’antropologia del valore. Se tutto è scontabile, allora niente ha valore proprio. L’economia dello sconto diventa cultura dello scarto: ogni prestazione è già considerata eccessiva, ogni prezzo troppo alto, ogni differenza sospetta. Non si acquista per scelta, ma per calcolo. L’utente non è più partecipe di una relazione economica, ma terminale di una sequenza algoritmica. La qualità diventa un’eccezione da giustificare, non un principio da assumere.

Fiscalità, potere e disuguaglianza sistemica

Un ulteriore livello della crisi riguarda il disallineamento giuridico-fiscale tra le multinazionali digitali e le imprese locali. TheFork, controllata da Tripadvisor, ha sede legale fuori dall’Italia e non è soggetta al medesimo regime fiscale cui sono sottoposti i ristoratori italiani. Il risultato è una distorsione sistemica: una piattaforma che genera valore estratto dal tessuto economico italiano non restituisce, in modo proporzionale, nulla a quel contesto. La asimmetria fiscale si aggiunge all’asimmetria informativa e relazionale, consolidando un ordine economico profondamente iniquo.

È questo il senso della battaglia di TNI Italia: non si tratta solo di difendere interessi corporativi, ma di contestare un modello di economia estrattiva, che preleva valore da contesti locali per accumularlo in centri decisionali remoti, opachi, globalizzati. La denuncia all’Autorità Garante della Concorrenza non è una mera procedura legale, ma un atto politico: un tentativo di restituire legittimità all’economia reale contro la desovranizzazione indotta dalla piattaformizzazione.

Sondaggio, sciopero, ricorso: la soggettività torna in scena

La forza del gesto sindacale promosso da TNI Italia risiede proprio nel fatto di riportare la parola là dove regnava il dato, la testimonianza là dove si imponeva l’automatismo. Il sondaggio nazionale lanciato ai ristoratori diventa così non solo uno strumento di indagine, ma un rituale di ricostruzione della soggettività. Il ristoratore, spesso ridotto a fornitore anonimo in un ecosistema digitale, torna ad essere soggetto politico ed economico: qualcuno che parla, che racconta, che denuncia.

Allo stesso modo, lo sciopero e il ricorso legale si configurano come atti di riaffermazione: non il rifiuto della tecnologia, ma la richiesta che essa sia integrata in un quadro giuridico, fiscale ed etico equo. La battaglia non è contro la piattaforma in quanto tale, ma contro il modo in cui essa fonda la propria normatività, senza responsabilità, senza reciprocità, senza garanzia.

Una sovranità del comune economico

Dietro la vicenda TheFork si cela un’altra questione, che riguarda la possibilità stessa del politico nell’economia contemporanea. Quando le regole sono prodotte da enti privati transnazionali, quando le relazioni economiche sono filtrate da protocolli informatici, quando l’agire è subordinato a logiche estranee al contesto sociale concreto, allora il diritto perde presa. In questo vuoto nasce il bisogno di una nuova forma di sovranità del comune economico: un potere diffuso, relazionale, costruito sulla testimonianza, sull’etica, sulla qualità.

Una tale sovranità non può fondarsi né sullo Stato centralizzato né sulla logica del mercato puro. Essa esige una terza via, fatta di reti orizzontali, istituzioni intermedie, responsabilità condivise. TNI Italia — attraverso il suo agire sindacale e culturale — tenta di costruire questa via, trasformando un ricorso tecnico in atto fondativo di una diversa economia della ristorazione.

Oltre TheFork: per una pluralità di canali

TheFork non è il nemico. È solo il nome più visibile di una tendenza globale: la piattaformizzazione totale delle relazioni economiche. Essa riguarda i ristoranti, ma anche i trasporti, la sanità, l’educazione. La sfida, allora, non è distruggere le piattaforme, ma ridefinire il loro posto in un ecosistema pluralistico, dove convivano canali diversi, logiche differenziate, strumenti alternativi.

La piattaforma è uno strumento, non un monopolio. La visibilità è un effetto della qualità, non un diritto acquisito. Il cliente è un alleato, non un utente da sedurre. Il ristorante è un progetto culturale, non una scheda da cliccare. L’infrastruttura digitale deve potenziare la relazione, non sostituirla. Deve facilitare la scelta, non condizionarla. Deve rispondere al territorio, non imporsi su di esso.

Cosa significa “concorrenza leale”?

Oggi, parlare di concorrenza leale non significa più semplicemente impedire cartelli o accordi di prezzo. Significa, più radicalmente, interrogarsi sul quadro istituzionale e tecnologico entro cui la concorrenza avviene. Una concorrenza non è leale se presuppone condizioni di partenza diseguali, se genera vantaggi per alcuni e obblighi per altri, se premia l’adattabilità e punisce la qualità. Una concorrenza è leale solo quando garantisce la dignità dell’agire economico, la pluralità delle forme, la trasparenza delle regole.

Nel caso di TheFork, questa dignità è a rischio. Il meccanismo dello sconto forzato, la gestione opaca delle prenotazioni, l’asimmetria fiscale, la mancanza di tutela contro i no-show, tutto concorre a costruire una situazione dove la concorrenza non è più fra pari, ma fra soggetti assoggettati e poteri algoritmici.

Una nuova forma-di-vita economica

Ciò che emerge da questa analisi è la necessità di pensare a una nuova forma-di-vita economica, che tenga insieme tecnologia e umanità, efficienza e cura, profitto e rispetto. Una forma-di-vita dove il ristoratore non sia più semplice produttore, ma custode di relazioni, creatore di significato, agente del territorio. E dove la piattaforma non sia tiranno né salvatore, ma semplice mezzo.

Solo così si potrà uscire dalla gestione dell’evidenza — quel regime dove tutto è calcolato, tracciato, visibile ma privo di senso — per entrare in un’economia del comune, dove il valore si costruisce nel tempo, nella fiducia, nella qualità, nella parola.

In questo orizzonte, il ricorso all’Antitrust, il sondaggio, lo sciopero non sono che gesti di inizio, forme di disobbedienza creativa che aprono spazio al possibile. Essi rompono il silenzio algoritmico, interrompono la sequenza automatica, fanno esistere di nuovo l’impresa come soggetto.

Forse non è ancora la rivoluzione. Ma è già una forma di resistenza.

 

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