La Geografia Invisibile dei Mutui e Debiti
Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in Economia e Politica.
a cura Agostino Agamben
Come il costo del credito e lo spread disegnano i confini di un’Italia frammentata tra sicurezza e precarietà
Mutui e debito pubblico. Due dimensioni apparentemente distanti, ma profondamente intrecciate, sebbene in modi sottili, quasi invisibili all’occhio distratto dalla contingenza immediata. L’Italia, paese che si muove sempre sull’orlo di una soglia incerta, si rivela attraverso queste due figure – quella del mutuo e quella del debito sovrano – come un dispositivo di tensioni politiche, economiche e simboliche, un luogo dove la differenza tra Nord e Sud, tra potere centrale e periferie, si manifesta in termini che non sono soltanto monetari, ma che toccano il senso stesso dell’abitare, della sicurezza e della precarietà.
Consideriamo, allora, la disparità che emerge dal confronto tra le rate mensili del mutuo a Bologna e a Catanzaro, tra la convenienza e la difficoltà, fra chi può accedere a un credito a condizioni più favorevoli e chi, invece, si vede costretto a pagare un prezzo superiore del 25%. Duecento euro al mese – un divario che si trasforma in migliaia di euro lungo l’arco del finanziamento – non è solo un dato quantitativo: è una soglia simbolica, un segno che indica la distanza fra diverse geografie dell’Italia contemporanea, in cui il costo del denaro si fa luogo di una diseguaglianza radicale.
La banca, come istituzione, si pone qui come una macchina che trasforma il futuro in debito, e il debito in differenza. Il mutuo non è soltanto un contratto tra privati; è un dispositivo politico che stabilisce chi può abitare con una certa sicurezza e chi invece è condannato all’instabilità, al rischio, a una precarietà esistenziale. La disparità tra Emilia-Romagna e Calabria, tra Lombardia e Molise, è un segnale di come il potere del capitale si articoli sul territorio, stratificando le condizioni di possibilità dell’abitare, del costruire un progetto di vita, del riposizionarsi nel tempo.
Nel medesimo tempo, questa geografia del mutuo si intreccia con la crisi del debito pubblico, con l’aumento dello spread e con l’incertezza che grava sul governo Meloni, schiacciato tra le esigenze di stabilità finanziaria e le pressioni di una società che non può più permettersi l’illusione della crescita infinita. La condizione di sospensione in cui si trova l’Italia – fra il timore di una svalutazione del rating e la minaccia di un rialzo dei tassi – è emblematico di un presente che si fa cronaca di un passato ancora irrisolto, di un futuro che non si lascia facilmente prevedere.
Ecco che la riflessione sul mutuo, apparentemente un tema tecnico e specialistico, assume allora una portata più ampia. Essa diviene un accesso privilegiato alla comprensione della struttura profonda del potere economico e delle sue ripercussioni sulla vita quotidiana. La scelta fra tasso fisso e variabile, oggi, non è solo una questione di convenienza immediata, ma un gesto che investe la fiducia nel tempo, nell’inflazione, nella capacità del sistema di stabilizzarsi o di implodere. L’ipotesi di un ritorno a una condizione di tassi elevati rimanda non solo a un ritorno al passato – con le sue crisi e le sue recessioni – ma anche alla persistente incertezza di una modernità che non ha saputo, o forse non ha voluto, trovare un modo per uscire dal regime del debito.
L’esperienza del mutuo, quindi, si presenta come una forma concreta di quella soggettivazione economica che Agamben chiama in causa nelle sue analisi: il soggetto del diritto e della politica non è più solo l’individuo come cittadino, ma l’individuo come debitore, come colui che è chiamato a mantenere in equilibrio la propria esistenza su un filo teso fra vincoli finanziari e desideri di emancipazione. Il mutuo è allora un contratto esistenziale, un patto di soggezione che plasma il modo stesso in cui ci pensiamo nel tempo e nello spazio.
Il tema dello spread, del debito sovrano, non è meno complesso. Esso è la misura di una soggezione più generale, che non riguarda solo l’Italia, ma l’intero sistema europeo e globale. Il debito pubblico diventa così la cifra della vulnerabilità di uno Stato che si trova a dover negoziare costantemente con i mercati, con le agenzie di rating, con le istituzioni sovranazionali, la propria capacità di sopravvivere come entità politica autonoma. La riduzione della sovranità economica a un vincolo di mercato è, in ultima analisi, la perdita di quella “potenza di agire” che caratterizza ogni forma di politica autentica.
Nel confronto tra le diverse regioni, si vede come questa dinamica si riproduca anche su scala minore, in un gioco di rispecchiamenti fra il locale e il globale. Il Molise, la Calabria, la Sicilia – tutte regioni che scontano tassi d’interesse più alti – appaiono come le periferie di un sistema che concentra il potere finanziario in pochi nodi metropolitani, dove la fiducia e il capitale si accumulano. Bologna, Milano, Roma – città in cui il mutuo costa meno – sono invece i centri, i luoghi da cui si irradiano le possibilità di una certa sicurezza economica.
Eppure, questa geografia non è solo una questione di costi: è una geografia del tempo stesso. Il tasso fisso, che sembra oggi più conveniente, rappresenta una promessa di stabilità, di controllo sul futuro, mentre il tasso variabile porta con sé l’oscillazione, la scommessa, l’incertezza. Questi due modi di intendere il credito abitativo riflettono quindi due concezioni del tempo profondamente diverse: quella di un futuro programmabile e prevedibile, e quella di un futuro aperto e potenzialmente disastroso.
Questa dialettica si inscrive dentro la crisi più ampia che attraversa il sistema capitalistico contemporaneo, in cui il debito assume un ruolo centrale come modalità di governo della vita sociale. Il debito, sia esso privato come nel caso del mutuo, o pubblico come nel caso del BTP, è il modo in cui si esercita oggi il potere sovrano, non più attraverso la mera violenza o la legge, ma attraverso un regime di aspettative, di fiducia condizionata, di rischi calcolati. In questa logica, il mutuo non è solo un atto di acquisizione, ma una forma di subordinazione: il soggetto diventa debitore, vincolato a un futuro che non controlla pienamente.
L’inquietudine che si percepisce nel timore di un downgrade del rating italiano, o nell’aumento dello spread, è quindi anche un’indicazione della fragilità di questa forma di sovranità. Il governo Meloni, che si muove tra timori, rassicurazioni e necessità di mantenere un equilibrio precario, è l’espressione politica di questa condizione: un governo che deve, allo stesso tempo, cercare di stimolare l’economia reale e rassicurare i mercati finanziari, in una danza impossibile tra crescita e austerità.
Il richiamo all’ordine da parte dell’UE e della BCE non è soltanto un diktat tecnico, ma una forma di governo che impone una logica di disciplina finanziaria e di controllo sociale. Questa logica produce esclusioni, gerarchie, e differenze che si riflettono nelle vite concrete delle persone, nelle possibilità o impossibilità di abitare una casa, di costruire un futuro, di immaginare una stabilità.
Così, il mutuo, il debito pubblico, lo spread non sono semplicemente numeri o dati statistici: sono la cifra di una condizione storica, politica, ontologica. Essi raccontano una forma di vita in cui la soggettività è plasmata da un regime di debito, in cui la possibilità di agire è continuamente minacciata da forze che sfuggono al controllo democratico. L’abitare diventa allora un gesto di resistenza, un modo per affermare una qualche forma di stabilità dentro la precarietà, un modo per dire sì alla vita nonostante tutto.
In questo senso, ogni mutuo contratto in Emilia-Romagna o in Calabria è un atto politico, una negoziazione con un potere invisibile ma onnipresente. Il divario tra i tassi di interesse è una traccia, una scrittura della differenza e della diseguaglianza che attraversa il corpo sociale italiano. Questa scrittura non si cancella con una semplice misura tecnica, ma richiede una riflessione profonda sulla natura stessa del potere economico, sulla sua relazione con il territorio e con il tempo.
L’orizzonte che si apre è dunque duplice: da una parte, la necessità di ripensare le forme di sovranità economica in un contesto globale che non lascia spazio alla semplice sovranità nazionale; dall’altra, l’urgenza di riconnettere questa riflessione a un’esperienza concreta, quella di chi ogni mese paga una rata, affronta un tasso, vede il proprio futuro legato a un indice variabile o fisso. Il potere, in questo scenario, non è mai astratto: è fatto di corpi, di storie, di vite.
Il mutuo e il debito pubblico si presentano così come due facce di un medesimo problema: come abitare un mondo che è sempre più strutturato come un campo di forze economiche e politiche che plasmano, disciplinano, vincolano. La loro analisi non può quindi limitarsi a una mera descrizione tecnica o finanziaria, ma deve trasformarsi in una meditazione sul senso stesso della politica, della libertà, della vita in un’epoca in cui tutto sembra ridursi a un equilibrio instabile fra credito e debito, fiducia e paura, centro e periferia.