Sila Sibiri-2 il nodo energetico Russo
Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in Economia e Politica.
A cura di Agostino Agamben
Dal rifiuto della Mongolia al gasdotto Sila Sibiri-2, tra tensioni tra Russia e Cina, protezionismi globali, trasformazioni economiche e fragilità delle soggettività: un’analisi approfondita della frammentazione del potere globale e delle sue ricadute sulle infrastrutture, le imprese e i consumatori.
Nel contesto globale contemporaneo, il mondo attraversa una fase di profonde trasformazioni segnate da crisi sistemiche, ridisegno degli equilibri geopolitici e tensioni economiche che si riflettono in ogni aspetto della vita politica e sociale. La vicenda del gasdotto Sila Sibiri-2, nato come progetto emblematico della potenza energetica russa e oggi bloccato dal rifiuto della Mongolia di concedere il passaggio sul proprio territorio, incarna una crisi che va ben oltre i confini nazionali e le logiche di mercato.
In questo scenario, si intrecciano i rapporti di forza tra Russia e Cina, le strategie di potere che attraversano il continente euroasiatico, le manovre protezionistiche di potenze come il Canada e le difficoltà interne delle economie nazionali, come nel caso italiano. L’infrastruttura energetica diventa così simbolo e campo di battaglia di una sovranità fragile, continuamente negoziata e minacciata. Le aziende e i consumatori, a loro volta, vivono sulla propria pelle le conseguenze di questo nuovo ordine incerto, fatto di rincari improvvisi, contratti rinegoziati e precarietà diffusa.
Questo testo intende offrire una lettura critica e articolata di questi fenomeni, mostrando come la crisi del gasdotto e il mutamento degli equilibri energetici siano sintomo di una più ampia trasformazione del potere globale e delle sue modalità di esercizio, in cui la sovranità, l’economia e la vita quotidiana si intrecciano in modi inediti e complessi.
La decisione della Mongolia, apparentemente un fatto tecnico o burocratico, diviene invece il nodo d’incontro di molteplici tensioni: tra la sovranità di uno Stato “piccolo” e la volontà di un gigante energetico di espandersi; tra l’apparente amicizia che cela rapporti di dipendenza e subordinazione; tra l’egemonia economica che tenta di imporre condizioni e il campo di resistenza di un altro soggetto politico, che cerca spazi di autonomia. Non si tratta semplicemente di un diniego infrastrutturale, ma dell’esito di una complessa rete di poteri che si svelano, di un dispositivo politico che espone la fragile natura dell’ordine globale contemporaneo.
La Mongolia, Stato per secoli dominato dalla tensione tra Russia e Cina, è da sempre il teatro di un gioco di influenze e contrappesi. Il rifiuto di partecipare al progetto del gasdotto, che avrebbe dovuto attraversare il suo territorio e fungere da arteria vitale per l’esportazione russa verso la Cina, rivela come la dimensione geopolitica sia inseparabile dall’economia e dalla politica del territorio. Il gasdotto, in questo senso, non è solo un’infrastruttura di trasporto, ma diviene dispositivo di sovranità che incide sul corpo politico, sulle relazioni di potere, sugli equilibri regionali.
L’ingerenza cinese, nelle vesti di “longa manus”, si inserisce con la delicatezza – e al contempo la durezza – di una strategia che mira a piegare la Russia a condizioni non negoziabili, facendo leva sul bisogno energetico del proprio Paese e sul momento di vulnerabilità economica di Gazprom. La richiesta che il gas venga venduto a prezzo interno cinese non è semplicemente una condizione commerciale, ma un atto di sovranità economica che svuota la potenza contrattuale russa e, più ampiamente, mette in discussione la stessa capacità di Mosca di condurre una politica energetica autonoma.
Ciò che si dispiega qui è la crisi di una soggettività politica ed economica che aveva creduto di potersi imporre attraverso l’energia come leva di potere globale. La crisi di Gazprom, che per la prima volta nel 2023 chiude un bilancio in perdita, è la manifestazione di un cambiamento radicale nelle strutture di potere che regolano il mercato mondiale dell’energia. In questo senso, la sconfitta simbolica subita dalla Russia si inscrive in una trama più ampia di decentramento delle egemonie, di frammentazione delle alleanze tradizionali e di rinegoziazione incessante dei confini di potere.
Questo smottamento geopolitico si riflette anche nella realtà interna della Russia, dove, nonostante i dati ufficiali parlino di crescita del PIL e di un mercato del lavoro apparentemente florido, si aggrava la crisi strutturale di molte aziende, con un aumento esponenziale dei fallimenti e delle bancarotte. Questa dicotomia tra i dati macroeconomici e la realtà microeconomica delle imprese sottolinea la contraddizione profonda di un modello che basa la propria “resilienza” su interventi statali massicci e temporanei, piuttosto che su un sistema produttivo organico e sostenibile.
L’“effetto Sila Sibiri-2” non può allora essere compreso solo come un episodio geopolitico o economico, ma deve essere interpretato come il segno di una crisi sistemica che attraversa le forme di potere e le modalità di produzione contemporanee. Qui la relazione tra infrastruttura e sovranità si fa drammatica: l’infrastruttura energetica, che dovrebbe essere vettore di forza e autonomia, diventa terreno di scontro, sede di negoziazioni asimmetriche e, in ultima analisi, indice della vulnerabilità di un intero sistema politico-economico.
Parallelamente, l’azione protezionista del Canada contro i veicoli elettrici e le materie prime cinesi si inscrive in questo stesso orizzonte di tensione globale. L’imposizione di dazi e tariffe, la risposta di Pechino con minacce di ritorsioni e la condanna del “protezionismo commerciale” mettono in luce la crisi delle regole multilaterali di commercio e la sempre più marcata disgregazione di un sistema economico mondiale che pare andare verso una nuova fase di rivalità aperta. Questa frammentazione del mercato globale rivela, ancora una volta, come le dinamiche economiche siano intimamente intrecciate con logiche di potere e di controllo, dove le dimensioni sovranazionali si confrontano con la volontà statuale.
Nel mezzo di queste tensioni si situa anche il mercato europeo e, più specificamente, il caso italiano di TIM e della possibile formazione di una cordata nazionale per rilevare la quota di maggioranza detenuta da Vivendi. Questa ipotesi non è solo un’operazione finanziaria, ma un segnale di una trasformazione più profonda nel tessuto economico nazionale e continentale. L’idea di uno “spezzatino” e la valorizzazione di asset sottovalutati rivelano come le aziende si trovino oggi a navigare tra dinamiche di globalizzazione e tentativi di riaffermazione della sovranità economica nazionale, in un contesto di incertezza e volatilità che caratterizza i mercati contemporanei.
Questa oscillazione tra integrazione globale e riaffermazione del locale è speculare a quanto avviene nel mondo dei consumatori, che si trovano sempre più spesso esposti a rincari improvvisi e a modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali nei settori della pay tv e della telefonia. Il consumatore, privato della trasparenza e della sicurezza di un prezzo bloccato, diventa figura paradigmatica della precarietà economica contemporanea. La sua esperienza quotidiana di rincari, comunicazioni spesso criptiche, e necessità di difendersi attivamente costituisce un piccolo microcosmo delle tensioni globali più ampie.
I diritti dei consumatori, in questo senso, appaiono come residui di un ordine passato, tentativi di ritessere un minimo di sicurezza e di prevedibilità in un ambiente sempre più instabile. La normativa che impone agli operatori di comunicare aumenti con almeno trenta giorni di anticipo e il diritto di disdire senza penali sono piccoli dispositivi di potere che il soggetto può utilizzare per difendersi, ma sono anche testimonianza della crisi strutturale di un mercato che tende a disarticolare le garanzie e a spostare il peso della crisi sui soggetti più vulnerabili.
Il moltiplicarsi delle rimodulazioni e delle tariffe indicizzate all’inflazione riflette non solo le dinamiche economiche globali, ma anche l’espropriazione di potere decisionale che colpisce le soggettività individuali. Qui, il mercato si configura come un campo di battaglia in cui si gioca una nuova forma di politica economica, dove la vita quotidiana e le pratiche di consumo diventano terreno di negoziazione, resistenza e adattamento. In questo modo, l’analisi del fenomeno si estende dal macro al micro, dalla grande politica internazionale ai gesti più minuti degli utenti.
In ultima istanza, il caso del Sila Sibiri-2, la crisi di Gazprom, l’azione protezionista canadese, le trasformazioni del mercato italiano delle telecomunicazioni e le difficoltà dei consumatori sono frammenti di un unico quadro complessivo: quello di un mondo che si scompone e si ricompone in nuove configurazioni, di un ordine internazionale che perde le sue certezze, di un’economia globale che non può più essere pensata come un sistema lineare e stabile.
Questa condizione di incertezza e di tensione continua, che definisce il contemporaneo, ci mette di fronte a una verità radicale: il potere, che una volta sembrava incarnarsi in forme univoche e solide, si rivela oggi fluido, frammentato, sempre suscettibile di rotture e trasformazioni improvvise. La “forza della Siberia”, così, assume una valenza simbolica che va oltre il suo valore economico o geopolitico immediato, diventando emblema di una potenza mai del tutto realizzata, di un progetto che si scontra continuamente con limiti, resistenze e contraddizioni.
La crisi del gasdotto e la crisi di Gazprom si inscrivono, allora, in un orizzonte più ampio di riflessione sulla natura del potere nel XXI secolo, sulle forme di sovranità che si reinventano e si perdono, sui rapporti di forza che attraversano la politica globale e si riflettono nelle esperienze quotidiane delle persone.
In questo senso, il nostro tempo può essere pensato come una condizione di sospensione, un momento di transizione in cui nulla è dato definitivamente, ma tutto è aperto a nuove configurazioni, dove la storia si dispiega non come un racconto lineare ma come una rete complessa di eventi intrecciati, di pratiche e discorsi che si influenzano reciprocamente.
Il gas che doveva scorrere, dunque, non scorre. La forza che si voleva dispiegare resta trattenuta, costretta a negoziare, a ricostruirsi in forme nuove e imprevedibili. E noi, testimoni di questa storia, siamo chiamati a decifrare i segni di questa trasformazione, a comprendere il gioco di poteri che si nasconde dietro ogni scelta, ogni decisione, ogni ritardo.