Skip to main content

La Federal Reserve e la “cautela” nel futuro

Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in .

A cura di Agostino Agamben

Mentre la solidità del mercato del lavoro americano sfida le previsioni di un rallentamento, le banche centrali, con la Federal Reserve in prima linea, si trovano a navigare in un contesto di incertezze globali, con gli occhi puntati sulle politiche economiche di Trump e le sfide interne all’Eurozona.

Le borse globali sembrano aver trovato una stabilità post-festività, un po’ come se il mercato avesse dovuto liberarsi dell’impalcatura di incertezze accumulate durante la fine dell’anno, per poi guardare al futuro con uno sguardo che, pur restando cauto, comincia a prendere misure per nuove scommesse. La scena è quella di una tensione sottile tra due forze potenti e contrastanti: l’economia degli Stati Uniti, che dimostra una solidità straordinaria, e le manovre politiche della Federal Reserve, che potrebbero limitare le sue azioni. In questo quadro, le fluttuazioni dei mercati non si limitano a una semplice danza di numeri e percentuali: sono l’espressione tangibile di un mondo in bilico tra la continuità e la frattura, dove ogni dato economico si carica di un significato che va ben oltre l’apparente semplicismo dei numeri.

Negli Stati Uniti, i prezzi al consumo sono ancora sotto la lente d’ingrandimento, una riflessione che non è solo economica, ma si intreccia con il mutamento della struttura sociale e politica del Paese. Gli effetti combinati dei dazi voluti da Trump e una robusta economia interna stanno riducendo l’incertezza circa un possibile taglio dei tassi da parte della Fed. In effetti, l’economia americana, nonostante le incertezze globali, non sembra fermarsi. Eppure, se da una parte la solidità della crescita sembra garantire un certo ritorno alla normalità, dall’altra i segnali provenienti dalla Federal Reserve non sono affatto tranquillizzanti. La sua cautela, così come l’interpretazione di alcuni dati di mercato, fa sorgere interrogativi sui prossimi sviluppi.

Il verbale della riunione della Fed del dicembre scorso non ha lasciato spazio a fraintendimenti: “molti partecipanti” alla discussione hanno enfatizzato la necessità di un “approccio cauto” alle decisioni di politica monetaria nei prossimi trimestri. Non è solo un richiamo alla prudenza, ma un vero e proprio monito a non fare passi azzardati in un contesto in cui, nonostante la resilienza economica, l’inflazione non è ancora sotto controllo. Il mercato del lavoro americano è indubbiamente in salute, ma questo non elimina i rischi connessi a un eventuale cambio di rotta sotto la nuova amministrazione Trump. Le politiche economiche, per quanto stabili in apparenza, sono attraversate da tensioni che potrebbero influenzare negativamente il panorama globale.

La questione non è solo tecnica. In un’ottica di analisi geopolitica ed economica, l’equilibrio che la Fed tenta di mantenere è anche il risultato di forze politiche interne ed esterne. Le previsioni a riguardo, ormai quasi esoteriche nella loro complessità, nascondono una verità più cruda: l’America sta facendo i conti con la propria posizione nel mondo, proprio mentre la sua economia sembra procedere a ritmo sostenuto. La Fed, da sempre baluardo della stabilità, oggi deve destreggiarsi tra la necessità di alimentare la crescita e il rischio di inflazione incontrollata, in un contesto globale sempre più turbolento.

Dall’altra parte dell’Atlantico, la Banca Centrale Europea si trova ad affrontare una situazione simile, pur in un contesto decisamente più complesso. Se la Fed ha mostrato la sua apertura a politiche espansive condizionate dalla salute dell’economia, la BCE sembra essere più cauto, nonostante il rallentamento dell’inflazione nell’Eurozona. Le dichiarazioni di Francois Villeroy de Galhau, membro del Consiglio direttivo, sono un segnale di una volontà di proseguire sulla strada della discesa dei tassi, con l’obiettivo di raggiungere un livello neutrale entro l’estate del 2025, a meno di sorprese inflazionistiche. Eppure, mentre la Fed si trova in una posizione relativamente più solida, la BCE deve fare i conti con una crescita che stenta a decollare e con un’Unione Europea divisa su come affrontare le sfide economiche globali.

Il dato che più di ogni altro ha influenzato i mercati, alla fine del 2024, è stato quello relativo al mercato del lavoro negli Stati Uniti. I numeri di dicembre, con il tasso di disoccupazione sceso al 4,1%, sono stati un chiaro segnale della solidità di un sistema economico che, a dispetto dei venti contrari, sembra mantenere una vitalità che non trova riscontro in altre economie avanzate. In effetti, i dati sull’occupazione sono un’indicazione che le previsioni di un rallentamento della crescita sono, al momento, premature. La resistenza del mercato del lavoro statunitense non solo dimostra la sua capacità di recupero, ma anche il consolidamento di una struttura economica che sembra, se non immune, quantomeno meno vulnerabile di altre.

In effetti, il settore bancario ha risposto positivamente a questi segnali, con alcuni titoli come Mediolanum e Unicredit che hanno visto aumenti consistenti, riflettendo l’affidabilità del sistema economico americano e la sua connessione con i mercati finanziari globali. Il caso degli Stati Uniti è emblematico: l’economia in salute non solo si traduce in un’elevata creazione di posti di lavoro, ma anche nella crescita di quella fiducia fondamentale che alimenta la speculazione e gli investimenti. Ma anche questa solidità nasconde le sue insidie. La Federal Reserve, con il suo atteggiamento prudente, potrebbe infatti precludere qualsiasi possibilità di spinta ulteriore.

Le commodities, come sempre, si pongono al centro delle dinamiche economiche mondiali, in particolare quelle legate al petrolio e all’oro. Il petrolio, che ha visto un rialzo significativo nelle ultime settimane, superando la soglia degli 80 dollari al barile, è un altro punto nevralgico delle speculazioni finanziarie globali. Il supporto dato dalla crescente domanda cinese e le decisioni politiche di Washington, che non hanno escluso ulteriori sanzioni sul petrolio russo, sono segnali di come l’equilibrio energetico globale stia vivendo una fase di alta tensione.

Da un lato, la domanda cinese sembra riprendersi, dando ossigeno ai produttori di petrolio, ma dall’altro c’è il rischio che l’instabilità geopolitica metta a dura prova l’offerta. La posizione dell’amministrazione Biden, che ha imposto sanzioni aggiuntive contro la Russia, evidenzia la continua tensione nelle relazioni internazionali e il suo impatto sul mercato energetico. L’aspetto interessante è che, nonostante le preoccupazioni su inflazione e crescita, il mercato del petrolio sta dimostrando una resilienza che riflette una situazione in cui l’instabilità diventa nuova norma.

Nel frattempo, l’oro si muove in modo più moderato, con Goldman Sachs che ha rivisto le proprie previsioni, spostando l’obiettivo di 3.000 dollari l’oncia a metà 2026, pur con un incremento più modesto previsto per la fine del 2025. La correzione di queste stime suggerisce che la politica monetaria della Fed, insieme ai fattori geopolitici, è destinata a mantenere il metallo giallo in un limbo di incertezze, senza un vero e proprio scatto verso altezze straordinarie.

Se la Borsa americana, con Wall Street in particolare, si prepara a una settimana di cali dopo la lunga fase di recupero, le piazze europee stanno vivendo un momento di stabilità. Milano, Francoforte, Parigi e Madrid hanno visto performance positive, anche se con differenze marcate. Milano, con un guadagno del 2%, ha superato le aspettative, mentre Londra ha mostrato segni di debolezza, una continua riflessione sulle difficoltà che il Regno Unito sta vivendo sotto il peso delle sue scelte politiche interne.

All’interno di questi mercati, spiccano i titoli bancari che, come spesso accade in periodi di incertezze globali, riescono a ottenere performance positive, grazie alla loro solidità percepita. La performance di Mediolanum, BPER, e MPS è un indicatore della fiducia che gli investitori ripongono nelle istituzioni finanziarie, capaci di resistere alle fluttuazioni esterne grazie alla loro stabilità interna.

Le prossime settimane si prospettano decisive. La Fed, pur rimanendo cauto, dovrà confrontarsi con la continua solidità del mercato del lavoro e l’incertezza politica che grava sulle sue decisioni future. La BCE, al contrario, sembra voler mantenere un’ulteriore cautela, nonostante l’inflazione si sia moderata. L’Europa, ancora una volta, si trova a dover rispondere a sfide di crescita e stabilità che non si limitano alla gestione dei tassi di interesse, ma riguardano anche l’intera struttura dell’Eurozona e le sue politiche fiscali. In un mondo che sembra oscillare tra i movimenti delle banche centrali e l’incertezza geopolitica, i mercati sono condannati a muoversi sulla linea sottile della fragilità e della resilienza, in attesa di un segnale definitivo che faccia chiarezza sul futuro prossimo.

 

 

 

 

 

Condividi su: