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Strategia Fiscale tra le Decisioni della Fed e della BCE

Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in .

A cura di Agostino Agamben

Donald Trump e la Politica Monetaria Globale. La sua Incessante Pressione sulla Fed e il Conflitto con Jerome Powell, tra la Difesa del Debito e la Necessità di Stimolare la Crescita Economica. Un’Analisi del Ruolo del Presidente degli Stati Uniti nel Contesto delle Politiche Monetarie Internazionali e delle Sue Implicazioni per il Futuro dell’Economia Globale

Nel panorama economico globale odierno, le politiche monetarie si intrecciano con dinamiche geopolitiche, energetiche e fiscali in un modo che riflette la complessità di un mondo ormai privo di certezze. Le decisioni assunte dalla Federal Reserve (Fed) e dalla Banca Centrale Europea (BCE) non sono più meri strumenti di gestione economica; esse sono diventate manifestazioni di potere che influenzano profondamente la struttura sociale e politica di ogni nazione. A un livello più profondo, le politiche monetarie sono diventate la via principale attraverso cui si gioca la sovranità nazionale e internazionale, con la moneta che si erge come la leva fondamentale in un sistema che sembra sempre più in bilico tra l’ordine e il caos. La tensione tra controllo e inevitabilità permea non solo le azioni dei banchieri centrali, ma anche il conflitto tra le aspettative sociali ed economiche, in un contesto dove le crisi si susseguono e i rimedi appaiono sempre più incerti.

Al centro di questa riflessione si trovano le figure di Jerome Powell, presidente della Fed, e Christine Lagarde, presidente della BCE, entrambe responsabili delle politiche monetarie delle due economie più grandi al mondo. Tuttavia, la dimensione del loro operato va oltre il tecnicismo e la pura logica economica: le loro scelte si inseriscono in un contesto complesso, dove le sfide economiche sono intrecciate con questioni politiche, fiscali e sociali che necessitano una visione più ampia e strategica. Il 2025 si sta configurando come un anno decisivo per la politica monetaria globale, e la tensione tra le scelte dei banchieri centrali e le richieste provenienti dalla politica statunitense, in particolare da Donald Trump, sta trasformando la gestione dei tassi di interesse in un campo di battaglia decisivo per il futuro dell’economia mondiale.

L’attuale gestione dei tassi d’interesse da parte della Fed è al centro di un acceso dibattito, tanto da parte degli economisti quanto dei politici. La politica monetaria restrittiva della Fed, che dal 2022 ha aumentato progressivamente i tassi per contenere l’inflazione, ha portato a una situazione di stallo economico. Ad esempio, i tassi d’interesse sui fondi federali sono stati portati al 4,25% – 4,5% a partire dal dicembre 2024, il livello più alto da quasi due decenni. Questo cambiamento ha avuto implicazioni profonde non solo sul mercato del credito, ma anche sulle finanze pubbliche, soprattutto in un contesto di crescente debito federale. Il bilancio degli Stati Uniti, infatti, mostra che il debito pubblico è aumentato esponenzialmente, arrivando a toccare il 130% del PIL nel 2024, secondo le stime del Congressional Budget Office (CBO). Una simile cifra è insostenibile a lungo termine, e la gestione di questo debito ha imposto alle politiche monetarie un margine di manovra sempre più ristretto.

In questo quadro, la critica di Donald Trump alla Fed appare come una manifestazione di una lotta politica più ampia, in cui la gestione dei tassi di interesse non è solo una questione economica, ma una battaglia per il controllo delle politiche fiscali. La sua continua insistenza affinché Powell abbassi i tassi non è solo un attacco personale, ma una critica più ampia al sistema economico che Trump ritiene inadeguato, accusandolo di non fare abbastanza per stimolare l’economia e ridurre il carico del debito. La sua affermazione che “dovremmo pagare l’1% di tassi, o anche meno” riflette la sua convinzione che la politica monetaria restrittiva stia soffocando la crescita e il benessere degli Stati Uniti. La critica di Trump si inserisce in un contesto che appare sempre più conflittuale tra la Fed, che punta a contenere l’inflazione, e l’amministrazione Trump, che sollecita misure di stimolo più aggressive.

La BCE, pur mantenendo una politica più cauta, non è immune da queste pressioni. La crisi economica dell’Eurozona, acuita dalla pandemia e dalle sfide geopolitiche, ha spinto la BCE a intraprendere una serie di riduzioni dei tassi per stimolare la crescita, ma queste azioni non sono state sufficienti a risolvere i problemi strutturali che affliggono l’area euro. Ad esempio, l’inflazione nell’Eurozona ha subito un rialzo, toccando il 2% nel giugno 2025, in linea con il target della BCE, ma i rischi di una recessione persistente rimangono elevati, con la crescita del PIL che potrebbe rallentare ulteriormente. La BCE ha già ridotto i tassi di interesse sul deposito a -0,50% nel 2024, ma i margini per ulteriori abbassamenti sembrano limitati, data l’incertezza economica e le pressioni geopolitiche derivanti dai dazi imposti dagli Stati Uniti.

L’inflazione, che nel 2024 ha mostrato segnali di ripresa, rappresenta uno degli aspetti più critici per le politiche monetarie attuali. La politica monetaria restrittiva, come quella messa in atto dalla Fed, mira principalmente a contenere l’inflazione, ma questa misura ha avuto effetti collaterali devastanti sulle economie più fragili, e soprattutto sulle classi sociali a basso reddito. L’inflazione non è più soltanto il risultato di un aumento dei prezzi, ma un fenomeno che interagisce con l’intera struttura socio-politica, poiché essa incide sulla redistribuzione delle risorse e sulla coesione sociale. Ad esempio, l’aumento dei tassi ha reso più costoso il credito per le famiglie e le piccole imprese, impedendo loro di accedere a finanziamenti per la crescita o per il consumo. La continua oscillazione dei tassi d’interesse ha reso difficile per i consumatori e gli investitori pianificare il futuro, aumentando l’incertezza e la frustrazione nei confronti delle istituzioni finanziarie.

Nel contesto dell’Eurozona, l’aumento dei tassi d’interesse ha portato a un forte rallentamento della crescita economica, che ha toccato il suo punto più basso nel 2024, con il PIL dell’area euro che è cresciuto solo dello 0,5%, ben al di sotto delle aspettative. La politica monetaria restrittiva, dunque, sebbene mirata a contenere l’inflazione, ha esacerbato il problema della disoccupazione giovanile e delle disuguaglianze sociali. In Italia, ad esempio, la disoccupazione giovanile ha superato il 30% nel 2024, una cifra allarmante che riflette la difficoltà delle nuove generazioni di trovare lavoro in un contesto di crescita economica stagnante. Le politiche monetarie, quindi, non possono essere considerate in isolamento rispetto ai problemi sociali ed economici che colpiscono ampi strati della popolazione.

Una delle questioni più cruciali legate alla politica monetaria è la sostenibilità del debito pubblico, un problema che affligge in particolare gli Stati Uniti e l’Eurozona. Negli Stati Uniti, il debito pubblico ha superato i 33 trilioni di dollari nel 2024, con una crescita annuale del 7%. Questo aumento esponenziale del debito è legato alla continua espansione delle spese pubbliche, in particolare per la difesa e gli aiuti economici, che sono stati necessari durante la pandemia e la guerra in Ucraina. Tuttavia, la gestione del debito sta diventando sempre più difficile, soprattutto con il continuo aumento dei tassi d’interesse. Il pagamento degli interessi sul debito federale è diventato la seconda voce di spesa più grande del governo degli Stati Uniti, superando i 600 miliardi di dollari all’anno, una cifra che continua a crescere con l’aumento dei tassi.

Anche in Europa la questione del debito è diventata una delle sfide principali. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale (FMI), il debito pubblico dell’area euro ha superato il 100% del PIL nel 2024, con alcuni paesi come Italia e Grecia che registrano livelli ancora più elevati. La gestione del debito è diventata così una questione delicata, che coinvolge non solo la politica fiscale nazionale, ma anche le decisioni della BCE, che si trova a dover bilanciare la necessità di stimolare l’economia con la necessità di contenere il rischio di inflazione e di solvibilità del debito. In quest’ottica, l’adozione di politiche fiscali espansive potrebbe risultare controproducente se non accompagnata da una strategia di crescita sostenibile che riduca la dipendenza dal debito pubblico.

Il contesto energetico gioca un ruolo fondamentale nell’analisi della politica monetaria e fiscale. La dipendenza dall’energia fossile, sebbene in declino, continua a rappresentare una delle sfide principali per le economie avanzate, che si trovano a dover navigare una transizione energetica difficile e costosa. La crescita dei prezzi dell’energia, in particolare del petrolio e del gas, ha alimentato l’inflazione in molte regioni del mondo, aumentando la pressione sui consumatori e sulle imprese. Tuttavia, la transizione verso fonti di energia rinnovabile sta comportando investimenti enormi che, se non ben gestiti, potrebbero aumentare il debito pubblico e rallentare la crescita economica.

Le politiche energetiche adottate dai grandi paesi consumatori, come gli Stati Uniti, l’Europa e la Cina, hanno implicazioni dirette sulle politiche monetarie. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno rafforzato la loro indipendenza energetica grazie all’espansione del fracking, mentre l’Europa sta cercando di diversificare le sue fonti di energia attraverso il Green Deal. Tuttavia, il costo di questa transizione è elevato e le politiche monetarie restrittive potrebbero limitare la capacità di investimento necessaria per affrontare le sfide energetiche e ambientali.

Il contesto attuale della politica monetaria globale è dunque caratterizzato da un’intersezione tra molteplici fattori: la necessità di contenere l’inflazione, la gestione del debito pubblico, la transizione energetica e le sfide geopolitiche. La tensione tra il controllo della moneta e il controllo delle risorse, tra politica monetaria e politica fiscale, appare come un nodo gordiano che necessita di soluzioni complesse e integrate. L’economia globale è strettamente legata alla geopolitica, e la gestione delle politiche monetarie non può prescindere dalle dinamiche commerciali e dalle sfide ambientali. La politica monetaria, per sua natura, deve rispondere non solo a esigenze tecniche, ma a un progetto politico più ampio che sappia conciliare crescita, sostenibilità e giustizia sociale.

La strada verso una politica economica sostenibile richiede, quindi, un cambiamento radicale nelle priorità globali. La gestione dei tassi d’interesse, la riduzione del debito pubblico, la transizione energetica e la gestione delle risorse naturali devono essere parte di una strategia unitaria che vada oltre le politiche monetarie tradizionali. Solo in questo modo sarà possibile affrontare le sfide di un mondo sempre più complesso e interconnesso, dove la lotta per il controllo delle risorse e la gestione della crescita economica non sono mai disgiunte dalla questione sociale e politica. La politica monetaria, insomma, non può essere più vista come un campo separato dalle sfide globali: essa deve essere il fondamento di un progetto di futuro che sappia rispondere alle esigenze delle popolazioni e alle sfide del pianeta.

Il dilemma della politica monetaria globale è ormai evidente: come conciliare la necessità di stimolare la crescita economica con quella di controllare l’inflazione e ridurre il debito pubblico? La risposta non risiede in un singolo strumento economico, ma in un cambiamento radicale delle politiche fiscali e monetarie, che devono essere riconsiderate nel loro complesso. Gli attori principali della scena mondiale – la Fed, la BCE, i governi e le istituzioni internazionali – sono chiamati a prendere decisioni strategiche che vadano oltre le necessità immediate e pongano le basi per un futuro sostenibile e giusto.

 

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