
Il crocevia del voto Moldavia
Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in Economia e Politica.
a cura di Agostino Agamben
Un’analisi dettagliata delle elezioni legislative del 2025 che mette in luce non solo la vittoria del Partito d’Azione e Solidarietà e il suo progetto filo-europeo, ma anche le profonde fratture sociali ed economiche, le tensioni politiche tra Est e Ovest, le pressioni esercitate da Russia e Unione Europea, e le tenzoni interne legate alla corruzione, all’inflazione e alla crisi energetica. In un contesto di instabilità e aspirazione democratica, queste elezioni rivelano una società divisa e un paese sospeso tra orbite geo-politiche contrapposte, dove il filo europeo si intreccia con memorie sovietiche, difficoltà economiche e strategie di destabilizzazione. La Moldavia si trova al centro di un complesso gioco di potere che riflette le tensioni più ampie del continente e il difficile cammino verso una sovranità autentica e condivisa, configurandosi come il nodo cruciale di un destino europeo più ampio.
Nel cuore di quella porzione d’Europa che si prostra tra gli orizzonti del Mar Nero e le vette dei Carpazi, la Moldavia si rivela come un nodo critico di tensioni geopolitiche e culturali che oscillano tra il passato sovietico e un futuro intravisto oltre le mura dell’Unione Europea. Le elezioni legislative del 28 settembre 2025, più che un rituale democratico, si configurano come il palinsesto di un conflitto d’identità, il crocevia in cui il tempo si piega su se stesso e il presente si carica di una pregnanza storica capace di decifrare il destino di una nazione sospesa tra orbite divergenti.
Non è solo il risultato elettorale a parlare; è il dato stesso, crudo e frammentato, a dischiudere la trama intricata di un popolo diviso e insieme unitario, che si misura con il proprio desiderio di sovranità e con le influenze che dall’esterno tentano di riconfigurarlo. Il Partito d’Azione e Solidarietà (PAS) emerge vittorioso con il 50,20% dei voti e 55 seggi su 101, una maggioranza che, seppur meno ampia rispetto alla scorsa legislatura, mantiene saldo il timone di una rotta europea. La cifra, apparentemente matematica, cela una volontà politica che si fa decisione ontologica: quella di scegliere un orizzonte di libertà, di riforma, di allontanamento dal peso opprimente di un passato ingombrante.
Allo stesso tempo, il Blocco Patriottico, che raccoglie il 24,18%, e il Blocco Alternativa, con il 7,96%, rappresentano non semplici formazioni parlamentari, ma linee di faglia profonde che riflettono un’identità ancora intrappolata nelle dinamiche di influenza russa, nel nostalgico abbraccio di un’egemonia che tenta di resistere alle spinte centrifughe del cambiamento. A queste forze si aggiungono il Nostro Partito (6,20%) e Democratia Acasa (5,62%), soglie minori ma significative, espressioni di un malessere sociale e politico che si manifesta nella ricerca di un equilibrio diplomatico ambiguo, quasi un ponte instabile tra due mondi che sembrano incompatibili.
Il filtro netto della soglia di sbarramento, che ha cancellato 17 liste, non è un gesto meramente tecnico, ma l’espressione di una dialettica che definisce ciò che può essere legittimamente ascoltato e ciò che viene espulso dal discorso politico ufficiale, un’operazione di esclusione che incide profondamente sulla rappresentazione della pluralità sociale moldava e sul suo accesso al potere.
Il voto, dunque, è più di un atto formale; è un gesto di resistenza e di affermazione, una dichiarazione collettiva che si impone contro le minacce di destabilizzazione, le campagne di disinformazione, gli attacchi informatici orchestrati da reti che trascendono i confini nazionali, con eco che si propagano fino a Roma, Bruxelles e Washington. Questo quadro di guerra ibrida, in cui il cyberspazio diventa campo di battaglia, svela una realtà politica dove la sovranità si gioca non solo nelle urne, ma nella capacità di preservare l’autenticità del voto da manipolazioni esterne, dove la politica si sovrappone alla strategia militare sotto nuove forme di conflitto.
L’eco delle parole di Maia Sandu, presidente della Repubblica e guida del PAS, risuona oltre il dato elettorale: “Abbiamo dimostrato al mondo intero che non ci siamo lasciati intimidire.” Non è una semplice affermazione di vittoria, ma un grido di autodeterminazione che si oppone all’ombra che grava sulla Moldavia, la quale da decenni vive sotto la costante pressione di un antagonismo geopolitico che mette in discussione la stessa nozione di Stato e di libertà. Sandu, con la sua presenza simbolica e politica, incarna una tensione dialettica tra il desiderio di cambiamento e le forze reazionarie che aspirano a preservare un ordine che ha segnato profondamente la storia recente.
Il giudizio espresso da Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, non si limita alla mera lettura dei risultati, ma si trasforma in un commento geopolitico che assume i contorni di una ideologica; “La Russia non è riuscita a destabilizzare la Moldova, nonostante abbia speso enormi risorse. Ha vinto l’idea dell’Europa, l’idea di uno sviluppo nazionale normale e stabile.” Qui si condensa una contrapposizione epocale tra un’egemonia disgregatrice, basata sulla paura e il caos, e un progetto di costruzione che si fonda su stabilità e progresso. Non si tratta solo di geopolitica, ma di una battaglia culturale per il senso stesso di appartenenza e di futuro.
Il sostegno manifestato dall’Unione Europea, espresso attraverso figure come Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Kaja Kallas, si configura come un coro che reclama chiarezza: Europa è sinonimo di democrazia, libertà e opportunità. “La nostra porta è aperta,” afferma von der Leyen, un invito che si carica di responsabilità e di attese. Ma questa apertura non è un gesto romantico, bensì una promessa che implica trasformazioni radicali, un percorso lastricato di riforme complesse, che richiede una capacità di rinnovamento istituzionale ed economico capace di superare l’eredità di fragilità e corruzione.
Tuttavia, non si può ignorare l’ombra che si allunga sul cammino europeo della Moldavia, un paese tra i più poveri del continente, con un’inflazione prossima al 7%, infrastrutture energetiche precarie, un mercato del lavoro che spinge i giovani all’emigrazione e un tessuto sociale che ancora soffre di disuguaglianze e insicurezze. In questo scenario, il consenso popolare, per quanto forte, è carico di aspettative ma anche vulnerabile alle delusioni che potrebbero derivare da un percorso di adesione percepito come lontano e incerto.
Le forze filo-russe, sebbene sconfitte alle urne, non sono state cancellate. La loro presenza resta significativa e carica di potenzialità di conflitto. Igor Dodon, leader del Partito Socialista, ha già annunciato proteste, contestando la legittimità delle elezioni e accusando Sandu di manipolazioni. Queste tensioni non sono solo politiche, ma segnano una frattura esistenziale nel tessuto sociale moldavo, una guerra di narrazioni e potere che si incarna in uno spazio politico dove la Transnistria, regione separatista filo-russa e fuori dal controllo centrale, resta un pericoloso fattore di instabilità.
Le minacce e le azioni violente che hanno accompagnato la campagna elettorale – attacchi informatici, falsi allarmi bombe, disinformazione – delineano un contesto in cui la Moldavia è un terreno di scontro tra strategie di destabilizzazione e volontà di autodeterminazione. Come evidenziato da Stanislav Secrieru, consigliere per la sicurezza nazionale, si è trattato di un’“ulteriore escalation” in un confronto che travalica la dimensione politica per assumere quella di una guerra ibrida, dove la tecnologia diventa arma e la sovranità si negozia anche nel dominio virtuale.
Il voto diventa un atto di affermazione identitaria e politica. La maggioranza conquistata dal PAS non è solo un risultato numerico, ma la rappresentazione di una scelta collettiva che vuole superare la frammentazione, la corruzione e l’instabilità, per costruire una Moldavia ancorata a principi democratici autentici e a un progetto europeo credibile. Ma questa scelta si confronta con una realtà complessa: un’economia fragile, un sistema energetico vulnerabile, una società divisa che esprime nostalgia per un passato sovietico che non si riesce a dimenticare completamente.
Le storie personali, come quella di Viorica Burlacu, venditrice di frutta a Chişinău, che vede nell’Europa una speranza di protezione e stabilità, si intrecciano con il ricordo di Maria Scotari, 82 anni di Balti, che custodisce la memoria di un tempo in cui la Moldavia era parte integrante dell’impero sovietico. Queste narrazioni individuali incarnano la contraddizione profonda di un paese sospeso tra passato e futuro, tra paura e speranza, tra frammentazione e unità.
L’orizzonte fissato per il 2030 come data di adesione all’Unione Europea è un progetto che va ben oltre la politica formale; è una trasformazione totale che investe l’identità istituzionale, economica e culturale del paese. Le riforme richieste sono tanto complesse quanto indispensabili: lotta alla corruzione, modernizzazione delle infrastrutture, stabilità energetica e crescita economica sostenibile. Il rischio, tangibile, è quello di una disillusione che potrebbe minare la stessa base di consenso costruita con tanto impegno.
Le operazioni di polizia contro i finanziamenti illeciti dei partiti filorussi testimoniano un tentativo di riaffermare la sovranità dello Stato in un contesto di pressioni esterne e interne. L’esclusione di due partiti filorussi dalle elezioni, per irregolarità nei finanziamenti, apre interrogativi sulle dinamiche di potere interno e sul funzionamento della democrazia sotto stress geopolitico.
Il profilo elettorale della Moldavia riflette una società in movimento: giovani in fuga, insicurezza economica, malessere sociale e culturale che si traduce in una base elettorale eterogenea, dove sogni europei e nostalgie sovietiche convivono in un equilibrio fragile, pronto a oscillare tra speranza e sfiducia. Il sostegno al PAS, dunque, non è solo un voto politico ma un gesto esistenziale, un segno tangibile di una decisione collettiva.
Il nodo energetico si presenta come uno dei fattori più critici nella stabilità politica ed economica del paese: i costi elevati dell’energia e la dipendenza da fonti esterne si intrecciano con le strategie politiche che vedono la Moldavia come terreno di scontro tra interessi divergenti. Questo influisce direttamente sulla capacità del governo di mantenere le promesse di cambiamento e sviluppo.
Il Parlamento moldavo appare così come uno specchio di questa realtà frammentata: un predominio del PAS isolato da alleanze significative e contrapposto a un’opposizione filo-russa frammentata ma ancora capace di influenzare il dibattito politico con una narrazione nazionalista e patriottica. Il governo Sandu si trova così a dover gestire una maggioranza solida ma fragile, chiamata a misurarsi con un dissenso organizzato e determinato.
Il discorso di Maia Sandu, che parla di un “mandato forte per il processo di adesione”, si carica dunque di un peso che supera la dimensione politica ordinaria per trasformarsi in un appello alla responsabilità nazionale, in un impegno a fare della Moldavia un paese che non solo aspira all’Europa, ma che si assume la responsabilità di custodire e difendere la propria libertà contro chi vorrebbe negarla.
La reazione internazionale, incarnata nelle dichiarazioni di Zelensky, von der Leyen, Metsola e Kallas, non è un semplice gesto di solidarietà, ma una partecipazione attiva a un progetto che vede nella Moldavia la linea di frontiera di una lotta tra visioni del mondo contrapposte. La vittoria del PAS diventa così un segnale che ribadisce la possibilità di un’Europa capace di resistere all’aggressione, di affermare i suoi valori contro le minacce di destabilizzazione e paura.
Eppure, la Moldavia rimane un luogo di contraddizioni profonde, uno specchio della fragilità della condizione democratica e della forza di una volontà collettiva che, pur attraversata da fratture e contrasti, si fa storia. Un tessuto di opposizioni e convergenze che non si scioglie facilmente, ma che richiede un impegno di pensiero e azione capace di ascoltare la complessità del presente senza cedere alle semplificazioni della retorica politica convenzionale.
In questo intreccio di passato e futuro, di sovranità e dominio, di speranza e minaccia, la Moldavia si rivela un paradigma del dramma europeo contemporaneo, un crocevia dove la politica diventa filosofia e la filosofia si fa politica, un luogo in cui ogni voto è un gesto di fiducia e al contempo una sfida, un rischio e una promessa. E dove il confine tra Est e Ovest si dissolve, richiedendo un nuovo pensiero, una nuova forma di resistenza e mutazione della società.