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Guerra Invisibile della Rana Bollita

Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in .

a cura di Agostino Agamben

(La Rana e buona l’Asino Pure ma il Gonzo com’è?)

Dalla militarizzazione delle tecnologie alla geopolitica delle risorse naturali: come l’economia globale è stata trasformata in un campo di battaglia permanente, tra la digitalizzazione dei conflitti, il controllo delle risorse naturali e l’ascesa di un nuovo ordine geopolitico, dove le potenze occidentali e orientali definiscono il loro dominio attraverso l’industria bellica e il neo-colonialismo energetico, in un contesto dove la guerra è diventata un processo invisibile e pervasivo.

Il mondo contemporaneo è attraversato da una logica economica che potrebbe essere definita come economia di guerra. Non si tratta più solo di un concetto relativo agli scontri militari, ma di un paradigma che pervade ogni aspetto della nostra vita economica, politica, sociale e tecnologica. In questo nuovo ordine globale, la guerra, con le sue implicazioni, non è un’eccezione, ma una condizione di esistenza permanente, una giustificazione ideologica per il perpetuarsi della spesa per la difesa e della militarizzazione della società. Il conflitto, quindi, non riguarda più solo le tradizionali aree di battaglia, ma si è esteso a dimensioni più sottili e invisibili, in cui la tecnologia, la finanza, e la politica si intrecciano per formare una nuova forma di potere economico.

Le grandi potenze occidentali, come gli Stati Uniti e le principali nazioni europee, hanno costruito la loro economia di guerra su un concetto che va ben oltre il mero sviluppo e la gestione di risorse militari. Questa guerra è fatta di tecnologie avanzate, cybersicurezza, e una rete invisibile di flussi economici e politici che sostiene un sistema di dominio globale. Allo stesso tempo, le nazioni orientali come la Russia, la Turchia e la Cina, sebbene con approcci differenti, hanno anch’esse contribuito alla trasformazione dell’economia mondiale, utilizzando le risorse naturali e il controllo delle rotte energetiche come strumenti di potere geopolitico.

In questo contesto, la guerra è diventata un fenomeno pervasivo, che travalica i confini del conflitto tradizionale. L’industria bellica non si limita alla produzione di armi, ma si è evoluta in un sistema economico integrato che coinvolge attori globali, multinazionali tecnologiche, governi e istituzioni finanziarie. La sua esistenza è supportata da una continua spesa per la difesa, che non solo rafforza la capacità militare degli Stati, ma alimenta anche la crescita di un intero settore industriale. La guerra permanente non è più solo una necessità per la protezione dei confini nazionali, ma una condizione che permette a pochi attori globali di consolidare e perpetuare il proprio potere.

Nel periodo tra il 2020 e il 2022, l’industria bellica globale ha visto una crescita del 3,7%, con gli Stati Uniti che da soli rappresentano circa il 38% delle esportazioni mondiali di armi. Questo dato non solo evidenzia l’importanza dell’industria della difesa, ma anche la centralità della guerra come strumento di mantenimento dell’ordine mondiale. Le spese per la difesa e per la sicurezza nazionale sono aumentate in modo significativo negli ultimi decenni, con gli Stati Uniti che, per esempio, hanno destinato oltre il 70% delle loro spese per la sicurezza alla cybersicurezza e alla difesa informatica. La militarizzazione della tecnologia è diventata una delle principali caratteristiche di questa nuova economia bellica, dove i confini tra guerra e pace sono sempre più labili.

Il concetto di “economia di guerra” oggi si estende molto oltre la semplice spesa per armamenti, raggiungendo anche il controllo e la protezione dei flussi di informazioni, dei dati e delle infrastrutture digitali. Le tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la blockchain, e il 5G sono diventate componenti fondamentali della strategia geopolitica di molte potenze mondiali, e sono utilizzate tanto per mantenere il controllo politico quanto per sostenere la guerra invisibile condotta nei cyberspazi. Gli Stati non si limitano più a proteggere i loro confini fisici, ma devono difendere anche le frontiere digitali, che ormai costituiscono una delle maggiori minacce alla sicurezza nazionale.

Le guerre, dunque, non sono più solo battaglie combattute con armi fisiche, ma sono combattute tramite attacchi informatici, cyberwarfare, propaganda digitale e hacking. Questo nuovo tipo di conflitto ha portato alla nascita di un nuovo modello di guerra che non solo è invisibile, ma che coinvolge un intero ecosistema di attori: governi, multinazionali tecnologiche e attori non statali. La Silicon Valley è ormai diventata un alleato strategico di molti governi, contribuendo con le proprie risorse e tecnologie alla costruzione di questa economia digitale di guerra. In questo contesto, la cybersicurezza non è più solo un settore industriale, ma una vera e propria area politica in cui si combatte per il predominio globale.

Mentre l’Occidente ha costruito la sua economia di guerra intorno alla tecnologia, le potenze orientali come la Russia, la Turchia e la Cina hanno scelto una strada differente. Per loro, la guerra è prima di tutto una questione di risorse naturali e controllo energetico. La Russia, in particolare, ha fatto del controllo delle risorse energetiche, in particolare il gas e il petrolio, uno dei suoi principali strumenti di potere geopolitico. La sua posizione strategica e il controllo di alcuni dei più grandi giacimenti di gas naturale al mondo le permettono di esercitare una potente influenza geopolitica, utilizzando le risorse energetiche come strumento per influenzare le politiche interne e le alleanze internazionali.

Nel 2022, oltre il 60% delle entrate statali russe provenivano dalle esportazioni di gas verso l’Europa, un dato che non solo mostra quanto la Russia dipenda dalle risorse naturali, ma evidenzia anche quanto queste possano essere utilizzate per esercitare una pressione politica. Le politiche russe, come la costruzione del gasdotto Nord Stream, sono un chiaro esempio di come la Russia abbia trasformato le risorse naturali in un potente strumento di dominanza politica. Non solo la Russia è il principale fornitore di gas naturale in Europa, ma ha anche investito in infrastrutture che le permettono di proiettare la sua influenza su vaste aree del mondo, dal Caucaso al Medio Oriente, passando per l’Europa.

La Turchia, pur non disponendo delle stesse risorse naturali della Russia, ha saputo affermarsi come una potenza regionale grazie alla sua posizione strategica e al controllo di alcune delle rotte energetiche più cruciali del mondo. Il suo ruolo come punto di passaggio per il gas e il petrolio diretti verso l’Europa le consente di esercitare una notevole influenza sulle politiche energetiche del continente. Il gasdotto Turkish Stream, che collega la Russia alla Turchia e poi all’Europa, è uno degli esempi tangibili della crescente influenza della Turchia nel settore energetico globale.

Inoltre, la Turchia ha investito in progetti infrastrutturali come la creazione di un hub energetico nel Mediterraneo orientale, che le consente di diversificare le sue fonti energetiche e di rafforzare la sua posizione nel contesto geopolitico. Nel 2021, gli scambi energetici tra la Turchia e l’Europa sono aumentati del 12%, un segno del crescente peso della Turchia nel settore energetico globale. Sebbene non sia una potenza energetica come la Russia, la sua posizione strategica la rende un attore fondamentale nelle dinamiche geopolitiche legate all’energia.

Se la Russia e la Turchia si sono concentrati sul controllo delle risorse naturali e sul rafforzamento della loro posizione geopolitica, la Cina ha sviluppato un progetto che va oltre la semplice espansione territoriale, mirando a costruire una rete economica globale che lega a sé i Paesi in via di sviluppo attraverso la Belt and Road Initiative (BRI). Lanciata nel 2013, la BRI rappresenta una strategia imperialista che mira a ridisegnare l’ordine mondiale attraverso il controllo delle infrastrutture globali e l’investimento in grandi progetti di sviluppo in Asia, Africa ed Europa.

Attraverso la BRI, la Cina ha potuto espandere la sua influenza economica, trasformandosi nel principale partner commerciale di oltre 140 Paesi. Tuttavia, questo potere non è solo il risultato di un’espansione

commerciale, ma di un sistema di prestiti e investimenti che ha portato molti Paesi in via di sviluppo a indebitarsi con Pechino, creando una forma di dipendenza economica che mette a rischio la loro sovranità. La Cina ha quindi sviluppato una forma di colonialismo economico che si nasconde dietro la facciata di progetti di sviluppo e infrastrutture, ma che ha l’obiettivo di consolidare il suo potere globale attraverso l’accumulo di risorse naturali e il controllo di rotte strategiche.

Nel 2023, le esportazioni cinesi hanno superato i 3,5 trilioni di dollari, rendendo la Cina il maggiore esportatore mondiale. Ma la vera chiave del suo potere non risiede solo nei beni materiali, ma nella sua capacità di legare le economie dei Paesi poveri a sé attraverso il debito. Il controllo delle risorse naturali e la costruzione di infrastrutture sono diventati gli strumenti principali attraverso cui la Cina esercita il suo potere geopolitico, riscrivendo le regole del gioco economico globale.

In un mondo dominato da una economia di guerra invisibile e pervasiva, le leggi internazionali hanno assunto un ruolo ambiguo. Quelle leggi che un tempo erano destinate a regolamentare i conflitti e promuovere la pace sono oggi divenute strumenti di legittimazione di una nuova forma di dominio. Le politiche neoliberiste hanno concentrato il potere nelle mani di un numero sempre minore di attori globali, in particolare multinazionali e governi dominanti, mentre la sovranità politica degli Stati è sempre più erosa dalle necessità del libero mercato e dal flusso incontrollato di capitali.

Il paradosso della sovranità emerge in un sistema che, pur essendo teoricamente fondato sul principio dell’autodeterminazione dei popoli, vede gli Stati sacrificare la loro autonomia per diventare parte di una rete globale interconnessa in cui il potere economico e la geopolitica sono determinati dalla capacità di controllare risorse e flussi finanziari. La globalizzazione, pur essendo una forza che ha promosso il commercio e la crescita, ha anche accelerato l’accumulo di ricchezze nelle mani di pochi, creando un divario crescente tra Paesi ricchi e Paesi poveri.

Il mondo di oggi è un mondo in guerra. Non più una guerra fatta di soldati e armamenti, ma una guerra invisibile che si combatte attraverso tecnologie, finanza, cybersecurity e infrastrutture globali. Le grandi potenze mondiali, da un lato le nazioni occidentali con la loro economia di guerra tecnologica, e dall’altro le nazioni orientali con il loro imperialismo energetico, sono protagoniste di un nuovo ordine mondiale che ha radicalmente trasformato l’economia, la politica e le leggi internazionali.

In questo scenario, la guerra non è più un’eccezione, ma una condizione permanente che pervade ogni aspetto della nostra vita. La guerra economica e la militarizzazione digitale hanno ridefinito la geopolitica, rendendo il mondo un campo di battaglia invisibile, dove il potere si gioca non più solo sui campi di battaglia, ma in altri spazi, invisibili, ma altrettanto pervasivi e cruciali.

 

 

 

 

 

 

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