Trasformare il settore automobilistico attraverso l’adozione di veicoli elettrici, la digitalizzazione delle flotte aziendali e la promozione di politiche di mobilità condivisa per un futuro più equo e a basso impatto ambientale.
Strutture, vincoli e simulazioni dell’energia, entropia e illusioni di un progetto tecnico diventato meccanismo di governo del presente; un apparato di gestione del consenso dietro la retorica green e il ritorno della dipendenza sistemica al fossile come forma di potere.
Strategie di adattamento e leadership dinamica nella gestione aziendale tra incertezze politiche, innovazione tecnologica e la necessità di ripensare la catena del valore in un contesto di transizione epocale. Riflessioni critiche sulla crisi e trasformazione dell’industria automobilistica europea e un’analisi interdisciplinare delle implicazioni strutturali, economico-produttive e delle condizioni materiali di lavoro nell’epoca della transizione energetica e tecnologica globale. Soglie di identità e metamorfosi della soggettività lavorativa nella dissoluzione degli spazi tradizionali di produzione, come il mutamento della fabbrica e l’ibridazione tra corpo, macchina e algoritmo ridefiniscono il senso di appartenenza, la temporalità esperienziale e le forme di vita nell’epoca della precarizzazione e della digitalizzazione globale.
Il potere come strategia e trame elettriche, disallineamenti e la metamorfosi dell’auto europea.
Nell’era della guerra ibrida e delle catene del valore come fronti operativi, la penetrazione industriale cinese in Europa non è una semplice espansione commerciale ma una manovra di occupazione infrastrutturale; CATL e Chery non vendono solo batterie e veicoli, ma posizionano asset strategici nel cuore del continente, ridisegnando la mappa della sovranità produttiva europea; l’Europa si scopre terreno conteso tra logistica militare ed energetica, tra supply chain come armi e stabilimenti come basi avanzate, mentre il confine tra industria e difesa evapora e la mobilità elettrica diventa teatro di un conflitto senza dichiarazione, in cui chi controlla la soglia — della tecnologia, dell’energia, della decisione — controlla il futuro.
In un presente dominato dall’incertezza e dall’erosione dei riferimenti economici, sociali e simbolici, l’oro riemerge come soglia, rifugio, linguaggio. Non è solo materia o moneta: è un orizzonte che interroga il nostro rapporto con il tempo, la fiducia, il rischio. Investire in oro oggi non è un gesto tecnico, ma un atto culturale e politico: un modo per prendere posizione nell’instabilità, per scegliere cosa attraversare e cosa lasciare indietro.
Nel pieno della riconfigurazione dell’ordine mondiale, l’Unione Europea affronta la pressione incrociata tra l’unilateralismo americano, l’espansionismo asiatico e la competizione per le risorse strategiche. I nuovi trattati commerciali si trasformano in strumenti di difesa ibrida, di diplomazia energetica e di consolidamento di una fragile sovranità continentale. Le negoziazioni economiche non sono più meri atti di apertura mercantile, ma atti geopolitici che definiscono alleanze, sfere di influenza e nuovi equilibri regionali, in un contesto in cui i dazi, le carbon tax e le mappe marittime valgono quanto le basi militari e i trattati di sicurezza.