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Carburante e Competitività

Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in .

A cura di Agostino Agamben

Un’analisi delle cause economiche e politiche dietro l’elevato costo del carburante, le sue implicazioni per la competitività del paese e le sfide della transizione energetica in un contesto europeo disomogeneo. Mentre i prezzi del carburante continuano a fluttuare, il mercato italiano è chiamato a rispondere a sfide ambientali, economiche e politiche che influenzano la mobilità e le politiche energetiche future.

Il prezzo della benzina in Italia non è semplicemente un tema che riguarda il costo di un prodotto di consumo. Esso rappresenta un vero e proprio indicatore di una serie di anomalie economiche e politiche che influenzano e determinano la vita quotidiana degli italiani. Ogni aumento del costo del carburante sembra scatenare un ondata di reazioni, ma raramente c’è una vera riflessione sulle cause profonde di questo fenomeno. Nonostante i tentativi di abbassare i prezzi o di trovare soluzioni temporanee, la realtà è che il costo della benzina in Italia continua ad essere tra i più alti d’Europa, con effetti devastanti sulla competitività e sulla sostenibilità economica del paese. Il 2024 è stato un anno emblematico, segnato dalla denuncia dell’Adoc (Associazione per la Difesa e l’Orientamento dei Consumatori), che ha sottolineato come la media dei prezzi sia arrivata a 1,98 euro al litro, con punte che toccano i 2,05 euro.

Quando si guarda alla situazione della benzina in Italia, il dato più impressionante non è solo l’alto costo del carburante, ma la sua sproporzione rispetto ad altri paesi europei. La Germania, pur avendo una tradizione industriale consolidata e una rete logistica di altissimo livello, ha un prezzo della benzina che si aggira attorno a 1,86 euro al litro, circa 10 centesimi in meno rispetto all’Italia. La Spagna, ancora più virtuosa, si attesta sui 1,72 euro al litro, cifra che lascia davvero poco spazio all’immaginazione quando si fa un confronto con la realtà italiana. Ancora più sbalorditivo è il divario con paesi come la Bulgaria e la Turchia, dove il prezzo del carburante è rispettivamente 1,39 e 1,25 euro al litro.

Questa disomogeneità evidenzia un problema strutturale che va oltre la semplice comparazione dei prezzi tra diverse nazioni. In un mercato unico come quello europeo, la possibilità di ottenere carburante a prezzi così diversi non è solo una questione di tassazione o di accise, ma riflette un più ampio disequilibrio economico che merita attenzione. La disuguaglianza nei costi energetici tra paesi come l’Italia e altri membri dell’Unione Europea mina la coesione economica europea stessa e crea tensioni, soprattutto per quei paesi che si trovano a dover fronteggiare una continua perdita di competitività.

Uno degli aspetti più complessi della questione del prezzo della benzina in Italia riguarda il sistema delle accise, una tassa che il paese ha introdotto già negli anni ’30 e che è cresciuta in maniera esponenziale nel corso del tempo. L’Italia ha una lunga tradizione di tassazione sul carburante, cominciata nel 1935, quando le accise furono introdotte per finanziare la guerra d’Etiopia. Da allora, ogni emergenza, da terremoti a crisi migratorie, ha trovato nel sistema delle accise una fonte di finanziamento, determinando un accumulo di carico fiscale che oggi incide in modo pesante sul prezzo finale del carburante.

L’attuale livello di tassazione è molto elevato: quasi il 59% del costo della benzina in Italia è rappresentato dalle accise. In altre parole, senza questa ulteriore imposta, il prezzo del carburante sarebbe circa un euro in meno per ogni litro. Se consideriamo che il prezzo medio del carburante in Italia è di 2 euro al litro, questo significa che il peso delle accise è decisivo nella determinazione del costo del carburante. Queste accise non sono solo un elemento fiscale, ma anche un elemento politico che segnala la difficoltà del paese di implementare politiche fiscali innovative o di riformare un sistema che è ormai obsoleto.

Se confrontiamo questa situazione con quella di altri paesi europei, le differenze diventano ancora più evidenti. La Germania, pur avendo una tassazione relativamente alta, ha una gestione più efficiente delle risorse e una minore incidenza delle accise sul prezzo finale. La Spagna, con una politica fiscale più favorevole al consumatore, riesce a contenere i costi, anche grazie ad un sistema energetico che ha investito significativamente in energie rinnovabili, riducendo la dipendenza dal petrolio e da altre fonti di energia non rinnovabili.

Il costo della benzina non è un dato isolato. In Italia, oltre l’80% delle merci viaggia su gomma, un dato che evidenzia la centralità del carburante nelle dinamiche economiche del paese. Il trasporto su strada è il motore di una parte fondamentale dell’economia italiana, dalle piccole imprese locali alle grandi industrie. Le piccole e medie imprese italiane, che costituiscono il cuore pulsante dell’economia, sono particolarmente vulnerabili agli aumenti del costo del carburante. Ogni incremento dei prezzi si traduce in un aumento dei costi di produzione e distribuzione, minando la competitività delle imprese e riducendo il margine di profitto.

L’impatto sui consumatori è, naturalmente, immediato. Ogni aumento del prezzo del carburante si riflette in un aumento dei prezzi dei beni di consumo, aggravando ulteriormente la crisi del potere d’acquisto che sta già colpendo molte famiglie italiane. Ma la stagnazione economica non è solo una questione di aumento dei costi. Si tratta di un fenomeno strutturale che coinvolge la difficoltà del paese a modernizzare il proprio sistema produttivo, a digitalizzare l’economia e ad adattarsi ai cambiamenti globali.

Il settore logistico italiano, a causa dell’alto costo dei carburanti, si trova spesso in una situazione di inefficienza, incapace di competere con i sistemi logistici di paesi come la Germania o la Spagna, dove le infrastrutture sono più moderne e l’organizzazione è più snella. Non solo, ma l’assenza di un piano di lungo periodo per il rinnovamento delle infrastrutture e per una gestione ottimizzata delle risorse sta contribuendo a rallentare la crescita economica e a indebolire il paese.

Il prezzo della benzina in Italia non è solo il riflesso di politiche nazionali sbagliate, ma anche delle contraddizioni interne all’Unione Europea. Il Vecchio Continente sta attraversando una fase di transizione ecologica che non sta avvenendo senza scossoni. Da un lato, l’Unione Europea ha posto obiettivi ambiziosi in termini di riduzione delle emissioni di CO2 e di promozione delle energie rinnovabili, ma dall’altro lato non è riuscita ad armonizzare le politiche energetiche tra i suoi Stati membri, creando disuguaglianze significative.

Se da un lato la transizione ecologica è una necessità imperiosa, dall’altro la sua attuazione sta creando difficoltà economiche che stanno minando la coesione interna dell’Unione. Le normative europee, che impongono obblighi stringenti per la riduzione delle emissioni, stanno mettendo a dura prova i settori più tradizionali, come quello automobilistico, che si trova ad affrontare sfide enormi nel processo di elettrificazione. La Volkswagen, Stellantis, e altre case automobilistiche europee stanno cercando di adattarsi alla crescente domanda di veicoli elettrici, ma sono costrette a fare i conti con una concorrenza agguerrita, soprattutto da parte dei produttori asiatici.

Nel 2023, la produzione di auto in Germania è crollata, passando da 5,65 milioni di veicoli nel 2017 a soli 4,1 milioni, segnando un calo vertiginoso che riflette le difficoltà del paese a reinventare il proprio modello produttivo. Un fenomeno che, purtroppo, non è solo tedesco, ma che coinvolge tutta l’Europa, dove la produzione di veicoli a combustione sta lentamente scivolando verso il declino, con una continua battaglia per cercare di bilanciare la sostenibilità con la necessità di rimanere competitivi sui mercati globali.

Il passaggio all’elettrico non è stato facile per le aziende automobilistiche europee. Sebbene l’Unione Europea abbia dato segnali chiari sul futuro del settore, la realtà è che la transizione energetica sta avvenendo in modo disordinato. Molti paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, non sono pronti ad abbandonare completamente i veicoli a combustione, e la mancanza di un’infrastruttura adeguata per i veicoli elettrici complica ulteriormente la situazione. In Italia, ad esempio, la rete di ricarica per le auto elettriche è ancora insufficiente, e i costi di installazione delle colonnine sono troppo alti per molti piccoli imprenditori.

La transizione ecologica dovrebbe essere un’opportunità per l’Europa, ma senza una visione chiara e senza investimenti significativi, rischia di diventare un peso. Per l’Italia, la sfida è ancora più difficile, perché il paese non ha una politica energetica coesa e manca di una strategia integrata per la gestione della crisi del settore automobilistico.

Il prezzo della benzina non è solo un aspetto tangibile della nostra economia quotidiana, ma un sintomo di una crisi più profonda. La difficoltà italiana a conciliare la necessità di un’economia più sostenibile con le strutture obsolescenti del nostro sistema produttivo è una delle grandi sfide del futuro. Se non affrontata con politiche innovative e coraggiose, questa crisi energetica potrebbe minare la stabilità sociale ed economica del paese, rallentando la crescita e riducendo la competitività a livello europeo.

La risposta non può essere solo una questione di abbassamento delle accise o di interventi superficiali, ma una riforma strutturale e una visione di lungo periodo che metta al centro la sostenibilità economica e la resilienza energetica. Senza una strategia coerente e ambiziosa, l’Italia rischia di rimanere indietro, prigioniera di un sistema che non sa evolversi e di politiche energetiche che non riescono a tenere il passo con il cambiamento globale.

La vera sfida sarà quella di riuscire a tradurre questa crisi in un’opportunità: solo allora il prezzo della benzina, e con esso la qualità della vita degli italiani, potrà davvero migliorare.

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