
Crisi Globale e cura dell’Umano
Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in Attualità.
Un’analisi critica del 2023 tra geopolitica, dipendenze economiche e tecnologie invasive, che mette in luce come la crisi sanitaria e energetica si intreccino a strategie di potere, rivelando la perdita di una visione politica ed etica capace di mettere al centro la dignità e la cura dell’essere umano.
Il 2023 ha rivelato un quadro mondiale segnato da una crisi profonda che travalica le tensioni geopolitiche superficiali, configurandosi come un confronto serrato tra potere, disuguaglianze economiche e avanzamento tecnologico, che mette in discussione la stessa natura dell’umano. L’Occidente, sempre più frammentato, appare incapace di presentare un fronte unito e una strategia condivisa per rispondere alle sfide poste da attori globali quali Cina e Russia, i quali adottano un realismo strategico privo di vincoli morali, focalizzato esclusivamente sul consolidamento del potere e degli interessi nazionali. Questa condizione pone la comunità internazionale davanti a una scelta critica: agire con coesione e responsabilità oppure abbandonarsi all’indifferenza, rischiando così di tradire i principi universali di giustizia e umanità.
Il dominio sulle risorse chiave, dalla salute all’energia, si conferma come il nuovo terreno di scontro globale. Negli Stati Uniti, la crisi delle forniture farmaceutiche ha raggiunto livelli record con la carenza di oltre 300 farmaci essenziali, una situazione che riflette la dipendenza da catene globali, in particolare dalla Cina, e la fragilità di sistemi incapaci di garantire autonomia e sicurezza. Analogamente, in Europa la Francia affronta la scarsità del Doliprane, mentre il dibattito sulla sovranità sanitaria si infiamma a causa della cessione di quote di aziende strategiche a investitori stranieri. Così, la salute pubblica si trasforma in un campo di battaglia geopolitico, dove scelte economiche hanno ripercussioni dirette sulla vita e la dignità delle persone.
Parallelamente, la transizione energetica, accelerata dalla guerra in Ucraina e dal piano REPowerEU, espone nuove vulnerabilità. Se da un lato la riduzione della dipendenza dal gas russo è un successo apparente, dall’altro nasconde una nuova dipendenza da minerali critici quali litio, cobalto e terre rare, controllati da pochi Paesi come Cina e Congo. Questa dinamica rischia di sostituire vecchie forme di dipendenza con nuove catene di sfruttamento, evidenziando come la ricerca di emancipazione energetica possa trasformarsi in nuove schiavitù materiali e spirituali.
Il potere contemporaneo si manifesta in modo sempre più sottile e impersonale: non più confinato alle stanze dei governi, ma diffuso nelle reti di algoritmi, nei sistemi di gestione e nelle piattaforme digitali che plasmano le nostre vite. Questo “potere invisibile” sfugge alle tradizionali forme di controllo politico, imponendo una tecnocrazia che antepone efficienza, sicurezza e profitto al bene comune e all’etica. Di fronte a questa smaterializzazione del potere emerge un vuoto di senso profondo, che soltanto filosofia e teologia sembrano in grado di colmare, offrendo riflessioni sul perché e sul significato delle nostre azioni collettive.
La salute è divenuta il nuovo “terreno sacro”, ma in un’accezione secolarizzata e ridotta a mera gestione di dati e protocolli. L’essere umano perde la propria centralità ontologica, ridotto a oggetto clinico, paziente-utente-cliente, un corpo da monitorare e ottimizzare. Hans Jonas aveva messo in guardia contro una società che sacralizza la tecnica senza un fondamento etico, con il rischio che la cura si trasformi in controllo e selezione. Questa crisi sanitaria è emblematica dello smarrimento occidentale più ampio, che ha perso le radici nella ragione, nel diritto e nella fede: la ragione piegata alla statistica, il diritto sacrificato all’interesse, la fede dissolta nel pluralismo dei desideri.
La politica occidentale, spesso ridotta a mera amministrazione, non riesce più a proporre una visione etica condivisa e un progetto di futuro. Il pragmatismo senza ideali lascia spazio a potenze globali che costruiscono egemonie basate su interessi concreti, senza pretesa di diffondere valori universali. Cina e Russia, insieme ad altri attori emergenti, si affermano con strumenti materiali — infrastrutture, risorse, dati — mentre l’Occidente continua a declamare diritti e libertà difficilmente vissuti in modo coerente.
Questa realtà impone una riflessione radicale sul concetto di cura, non solo sanitaria ma anche culturale, politica ed esistenziale. Heidegger ricordava che l’essere umano è “essere-nella-cura”, ma oggi questa è delegata a sistemi esterni, mercati e algoritmi, facendo dimenticare cosa significhi veramente “avere a cuore”. Tecnologia senza saggezza ed economia senza giustizia rischiano di trasformarsi in strumenti di dominio anziché di liberazione.
Il tempo presente si configura come un momento apocalittico nel senso originario del termine: una rivelazione che squarcia la normalità e costringe a guardare oltre l’apparenza delle crisi. L’umanità si trova di fronte a un bivio cruciale, tra una piena umanizzazione — che implica responsabilità, limite e compassione — e una corsa cieca verso l’autodistruzione. Non è in gioco solo la sovranità energetica o sanitaria, ma quella antropologica: chi decide cosa sia l’uomo? Un algoritmo, un mercato globale o una scelta politica centralizzata? Forse è giunto il momento di riconoscere che l’essere umano è immagine di una realtà più grande e che ogni politica, economia e tecnologia deve inchinarsi a questa verità ontologica e sacra.
Nel tumulto di guerre, crisi farmaceutiche, dati e disuguaglianze, permane un grido sommesso, quello dell’umano che chiede di essere riconosciuto non come problema o merce, ma come mistero e volto, non come mezzo ma come fine. Solo ascoltando questo grido sarà possibile immaginare un futuro in cui politica, economia e tecnologia servano la vita e non la dominino. La sfida è tornare a una cura che sia vocazione, relazione, amore, restituendo all’umano la sua dignità e centralità in un mondo che altrimenti rischia di dissolversi nel vuoto di senso e nella freddezza di un potere tecnocratico e disumanizzante.
Il 2023 si è concluso mettendo in luce una crisi globale che non riguarda soltanto conflitti geopolitici o instabilità economiche, ma un vero e proprio smarrimento ontologico. L’Occidente, storicamente fondato sull’incontro tra filosofia greca, diritto romano e fede cristiana, appare oggi svuotato delle sue fonti vitali, con un’unità ideale evaporata e sostituita da volontà divergenti prive di progetto condiviso o visione. Non è solo un fallimento di egemonia culturale, ma la perdita dell’anima del mondo occidentale. La strategia ha ceduto il passo alla tattica, la coesione alla gestione emergenziale, l’etica all’utile.
In questo disordine, altre potenze si affermano con pragmatismo spietato, mosse non da ideali universali ma da realismo strategico che non arretra davanti all’uso del potere come dominio. Cina e Russia, insieme a potenze emergenti, costruiscono egemonie fondate non su valori condivisi, ma su interessi concreti. Non evangelizzano con i diritti, ma conquistano con infrastrutture, risorse e dati. A questo nuovo impero delle cose, l’Occidente oppone un linguaggio svuotato, dove i diritti sono proclamati ma non vissuti e la libertà è uno slogan senza destino.
La crisi della salute pubblica, divenuta luogo strategico del potere, è emblematica di questa trasformazione. Il corpo umano è diventato campo di battaglia tra sovranità politica, capitalismo farmaceutico e intelligenza algoritmica. La carenza di farmaci negli USA, la fragilità dell’autonomia sanitaria europea e la dipendenza globale dalle forniture cinesi evidenziano come il corpo umano non sia più un bene inviolabile, ma una posta in gioco nelle strategie di potere. La salute non è più solo questione medica, ma geopolitica, e il paziente è un nodo di filiere industriali, portatore di dati clinici e unità Politica da sorvegliare e ottimizzare.
Hans Jonas aveva ammonito che una società che sacralizza la tecnica senza etica si espone a rischi enormi: la gestione della vita può facilmente degenerare in controllo della vita e la cura trasformarsi in selezione. Oggi l’algoritmo prescrive dosi, monitora battiti, suggerisce diagnosi, ma chi interroga l’algoritmo? Chi decide se ciò che è tecnicamente possibile è umanamente accettabile? Abbiamo strumenti potenti ma manca un’ermeneutica del limite.
Così, l’uomo, invece di essere soggetto della cura, ne diventa oggetto: oggetto di protocolli, target di campagne, segmento di mercato. La cura, spogliata della sua dimensione relazionale e spirituale, si riduce a gestione dell’organismo. Il malato non è più chi domanda senso nella sofferenza, ma colui che esige prestazioni. Un mondo dove la cura si dissocia dall’amore e la medicina dimentica la compassione è un mondo senza anima.
Nel frattempo, l’Occidente si dibatte in una crisi politica e culturale. La mancanza di un progetto comune produce isolamento, divisione e vuoto ideale. Il liberalismo si riduce a amministrazione, il sogno di democrazia si appanna in pratiche burocratiche. Invece di aprire orizzonti di senso, si chiudono in difese egoistiche e paure. Questa crisi è anche crisi del pensiero, dell’immaginazione, della capacità di pensare un futuro che non sia mera ripetizione del presente.
Il 2023 si chiude come un anno in cui la crisi globale si fa crisi dell’umano. Un anno in cui politica, economia e tecnologia mostrano il loro volto ambivalente: strumenti di liberazione o di dominio. La sfida è riscoprire la cura come fondamento etico e ontologico, come responsabilità verso la vita e la dignità umana, come vocazione che trascende ogni utilitarismo. Solo così sarà possibile ritrovare un senso profondo e una direzione che non si limiti al contingente, ma apra a un futuro autenticamente umano.
A cura di Ottavia Scorpati