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Crocevia di Potere e Giustizia nella Roma dei Papi

Scritto da Fulvio Muliere il . Pubblicato in .

A cura di Fulvio Muliere

Un viaggio attraverso secoli di storia, prigionie, condanne e speranze nel monumento simbolo dello Stato Pontificio

Nel cuore pulsante di Roma, sulle rive del Tevere, si erge Castel Sant’Angelo, monumento dalla storia straordinariamente stratificata, capace di raccontare attraverso le sue pietre e i suoi ambienti quattro secoli di vicende legate al potere, alla giustizia, alle sofferenze e alle speranze di una città eterna. Nato come mausoleo imperiale per l’imperatore Adriano nel II secolo d.C., il monumento ha subito una trasformazione radicale nel corso dei secoli, assumendo ruoli di fortezza militare, rifugio papale, prigione di Stato e simbolo pregnante dell’autorità pontificia, incarnando un crocevia di eventi che hanno segnato la storia di Roma e dello Stato Pontificio.

Il mausoleo costruito da Adriano, che inizialmente doveva custodire le spoglie dell’imperatore e della sua famiglia, simboleggiava la grandiosità del potere imperiale e la sacralità dell’autorità romana. Tuttavia, il tempo e le vicissitudini della città hanno trasformato questo edificio, modificandone la funzione e il significato. Dalla sepoltura imperiale alla fortezza militare, Castel Sant’Angelo divenne una struttura inespugnabile, testimone di eventi tragici come il sacco di Roma del 1527, quando le orde dei Lanzichenecchi, pur avendo devastato la città, non riuscirono ad espugnarla. La sua funzione si ampliò fino a diventare rifugio dei Papi, che vi trovarono protezione e base di comando, e successivamente si trasformò in prigione di Stato, luogo di detenzioni, processi, condanne e sofferenze umane. Fu in questo contesto che Castel Sant’Angelo divenne simbolo della giustizia papale, ma anche della sua severità, delle contraddizioni e delle ingiustizie che spesso ne derivavano.

Oggi, grazie alla mostra “La bilancia e la spada. Storie di giustizia a Castel Sant’Angelo”, visitabile fino al 1° ottobre 2023 presso il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, è possibile immergersi in un percorso culturale che intreccia le storie di prigionieri, giudici, carnefici, e di tutte quelle figure che hanno attraversato la vita di questo luogo emblematico. Curata da Mariastella Margozzi, direttrice dei Musei statali della Città di Roma e del Museo nazionale di Castel Sant’Angelo, con la collaborazione di Vincenzo Lemmo, Michele Occhioni e Laura Salerno, la mostra si sviluppa in cinque sezioni principali che guidano il visitatore attraverso la complessa e sfaccettata storia della giustizia nello Stato Pontificio tra il XV e il XIX secolo.

Nella prima sezione, intitolata “Armerie Superiori – Volti e simboli della giustizia”, si incontrano alcune delle figure più emblematiche che hanno attraversato la storia penale romana, personaggi la cui esistenza incarna le contraddizioni, le sofferenze e le vicende drammatiche legate all’esercizio della giustizia. Tra queste spicca la figura di Beatrice Cenci, giovane nobildonna romana che, insieme alla sua famiglia, fu accusata di parricidio e giustiziata nel 1599 proprio davanti a Castel Sant’Angelo. La sua storia, intrisa di tragedia e ingiustizia, ha ispirato numerosi artisti, tra cui Caravaggio, il quale immortalò l’esecuzione di Beatrice in una delle sue opere più intense, oggi esposta nella mostra. Beatrice diviene così il simbolo delle vittime di un sistema giudiziario spesso severo e implacabile, capace di alimentare leggende e memorie dolorose che si sono radicate nel tessuto culturale romano.

Accanto a Beatrice, la mostra presenta anche la figura di Benvenuto Cellini, artista e orafo rinascimentale noto per la sua vita avventurosa e turbolenta. Imprigionato a Castel Sant’Angelo per motivi politici e personali, Cellini viene raccontato attraverso le sue memorie e le opere d’arte che rivelano un uomo tormentato, ma anche capace di lasciare un segno indelebile nell’arte europea. La sua prigionia assume così un valore simbolico, un punto d’incontro tra la creatività artistica e la repressione politica di un’epoca complessa.

Un altro personaggio affascinante e controverso è il Conte di Cagliostro, noto per le sue pratiche esoteriche, alchimiche e negromantiche. Arrestato e rinchiuso per eresia e stregoneria, la sua figura rappresenta il conflitto tra sapere occulto e potere religioso. La mostra lo presenta attraverso testi, oggetti e documenti che permettono di comprendere la natura ambigua di questo personaggio, che ha oscillato tra il genio e la truffa, tra il mistero e la condanna.

In questa sezione viene dato spazio anche a Giuseppe Francesco Borri, medico e alchimista visionario, la cui celebre “Porta Magica” viene ricostruita digitalmente per rappresentare il simbolo di un sapere nascosto e filosofico, segno delle sperimentazioni alchemiche e delle dottrine misteriche che affascinarono e spesso terrorizzarono la società dell’epoca. La sua presenza evidenzia come la ricerca di conoscenza si sia spesso scontrata con le strutture di potere e con la paura del diverso.

Infine, figura centrale e inquietante è Mastro Titta, il boia ufficiale dello Stato Pontificio dal 1796 al 1864, il cui ruolo nel sistema di giustizia papale era tanto temuto quanto indispensabile. Le sue esecuzioni, narrate anche attraverso i sonetti pungenti e realistici del poeta dialettale Giuseppe Gioachino Belli, restituiscono il volto umano e crudele di chi era chiamato a eseguire le sentenze capitali. La sua storia si intreccia con quella della società romana, che osservava con paura e curiosità il suo lavoro, simbolo tangibile della bilancia e della spada che regolavano la giustizia.

La seconda sezione, denominata “Sala Clemente VIII – Filosofia, eresia e violenza legale”, approfondisce il rapporto tra potere temporale e repressione delle idee libere. Qui emerge la figura di Giordano Bruno, filosofo e teologo che pagò con la vita la sua sfida all’ortodossia religiosa, venendo arso vivo nel 1600. Il processo che lo condannò, i documenti originali e il monumento che gli è dedicato in Campo de’ Fiori sono esposti per testimoniare il costo altissimo della libertà di pensiero in un’epoca di intolleranza e oscurantismo. La sua vicenda mette in luce il conflitto insanabile tra autorità e pensiero critico, un tema ancora oggi di grande attualità.

Accanto a questa storia di eresia e condanna, la mostra esplora il fenomeno dei duelli e delle armi nell’epoca barocca, con un particolare riferimento a Caravaggio, artista tormentato e coinvolto in molteplici episodi di violenza privata. Le norme sociali e legali che regolavano i duelli sono illustrate per comprendere come la violenza privata fosse parte integrante della cultura del tempo, spesso tollerata o giustificata da codici d’onore. Le incisioni delle “Carceri d’Invenzione” di Giovanni Battista Piranesi, presentate in questa sezione, offrono una visione surreale e metaforica della detenzione, spostando il discorso sulla prigionia da una dimensione fisica a una condizione mentale e spirituale, sottolineando il lato oscuro della giustizia e della punizione.

La “Retrosala Clemente VIII” accoglie testimonianze e documenti che raccontano la vita quotidiana dei prigionieri e dei carcerieri nel XVIII e XIX secolo, svelando aspetti meno noti e più umani di un sistema giudiziario spesso visto solo nella sua dimensione di severità. Lettere, registri e memorie restituiscono le condizioni di detenzione, le relazioni tra detenuti e guardie, le speranze di fuga o di clemenza, disegnando un quadro complesso e sfaccettato della realtà carceraria dell’epoca. Attraverso queste fonti, emerge il tentativo di mantenere una parvenza di dignità umana anche in contesti di sofferenza e oppressione, segno della complessità dei rapporti sociali e dell’umanità che non si spegne neppure dietro le mura di una prigione.

La “Sala della Giustizia” è dedicata agli strumenti materiali della pena capitale: la spada, la forca, e altri strumenti di esecuzione usati nei processi e nelle condanne del XIX secolo nello Stato Pontificio. Attraverso documenti che illustrano le procedure legali, le udienze pubbliche e le sentenze definitive, si ricostruisce il rigido percorso giudiziario dell’epoca, caratterizzato da un formalismo severo e da una visione della giustizia come strumento di mantenimento dell’ordine e del potere. Qui ancora una volta Mastro Titta emerge come figura centrale, il cui mestiere, raccontato attraverso poesie e memorie, si presenta in tutta la sua crudezza e umanità, mostrando la difficile posizione di chi eseguiva la sentenza ultima e definitiva.

Il percorso espositivo si conclude nelle “Prigioni Storiche” di Castel Sant’Angelo, ambienti carichi di un silenzio carico di dolore e di attesa. Il Sammalo, la Sala del Tesoro, la Cagliostra e le Segrete sono testimoni silenziosi delle sofferenze, delle torture e delle attese infinite vissute da coloro che vi furono imprigionati. Questi luoghi, oggi aperti alla visita, evocano storie di disperazione, resistenza e redenzione, rappresentando un patrimonio di memoria che conserva le tracce di un passato segnato dal potere e dalla sofferenza.

Un omaggio speciale è dedicato all’opera lirica “Tosca” di Giacomo Puccini, ambientata proprio a Castel Sant’Angelo nel XIX secolo. Il dramma di Tosca culmina nella prigionia e nella fucilazione del protagonista Mario Cavaradossi, raccontati con intensità e passione, elementi che si intrecciano alla storia vera del luogo, facendo di Castel Sant’Angelo non solo un monumento storico, ma anche un simbolo della cultura e dell’arte italiana.

Questa mostra, organizzata da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e realizzata con il supporto della Direzione Regionale Musei Lazio e in collaborazione con il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, offre un viaggio affascinante e profondo nella storia della giustizia, della punizione e della società romana, mettendo a confronto il rigore delle leggi, la crudeltà delle pene e la resilienza degli individui che hanno vissuto e segnato quei secoli.

 

 

 

 

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