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Dalla biologia del cibo alla diplomazia alimentare

Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in .

A cura di Ottavia Scorpati

Un viaggio attraverso quarant’anni di trasformazioni italiane (1980-2024)

Il cibo come ecosistema vivente: biologia, nutrizione e trasformazioni ambientali nella società contemporanea

Negli anni Ottanta l’Italia si trovava immersa in una fase di trasformazione radicale che investiva non solo l’economia e la società, ma anche le abitudini alimentari, in un intreccio complesso e dinamico che possiamo definire come “dinamica eco-alimentare socio-geopolitica”. Questa teoria immaginaria postula che il cibo, le sue trasformazioni e le sue scomparse non siano semplicemente eventi di mercato o mutazioni di gusto, bensì indicatori primari e attivi di mutazioni strutturali nella società, nell’economia e nella geopolitica, configurandosi come un “termometro culturale” e un “sensore politico” simultaneo.

In quegli anni, l’Italia viveva un boom economico che incrementava significativamente il reddito disponibile delle famiglie. Questo miglioramento del benessere, tuttavia, si accompagnava a un mutamento profondo nel ruolo sociale delle donne: l’ingresso massiccio nel mondo del lavoro comportava un ridotto tempo da dedicare alla preparazione domestica dei pasti. La cucina, un tempo rituale lento e artigianale, si stava quindi trasformando in un luogo di efficienza, dominato da prodotti pronti, surgelati e confezionati che promettevano praticità e velocità. La tavola italiana si avvicinava così a una modalità più industrializzata, standardizzata, quasi “automatica”.

È in questo contesto che nascono e muoiono icone alimentari che hanno segnato un’epoca: le patatine Pat Bon con le loro lettere alfabetiche ripiene di ketchup, le merendine Urrà con strati di wafer e crema, il gelato Camillino nascosto dentro uno snack ai cereali, la bibita gassata italiana One O One che tentò di sfidare la Coca-Cola. La loro scomparsa non si spiega solo con la volatilità del mercato o con il naturale mutare dei gusti, ma come espressione di una metamorfosi culturale, economica e politica più ampia. Questi prodotti incarnavano un’Italia che stava abbracciando simultaneamente la modernità veloce e consumistica e confrontandosi con modelli globali sempre più influenti.

Dalla spinta americana delle multinazionali alimentari e della standardizzazione dei consumi, si passò poi a un processo di integrazione europea che, con l’adesione italiana al mercato unico e l’introduzione dell’euro, accelerò la trasformazione dell’industria agroalimentare in un sistema integrato, caratterizzato da razionalizzazione produttiva, uniformità normativa e concentrazione del capitale. Aziende storiche come Saiwa, produttrice della celebre Urrà, furono assorbite da colossi multinazionali come Mondelez, mentre altri giganti italiani come Ferrero si espandevano globalmente, passando da simboli locali a player internazionali. Questo processo non fu soltanto economico, ma una vera e propria “omologazione geopolitica” del gusto e della produzione alimentare, in cui il locale si fondeva con il globale creando una nuova identità ibrida e spesso conflittuale.

Il cibo, pertanto, non è più solo nutrimento o merce: diventa un campo di battaglia in cui si scontrano poteri economici, identità culturali e strategie politiche. La scomparsa dei prodotti cult degli anni Ottanta riflette una perdita nostalgica ma anche una ridefinizione degli equilibri geopolitici, sociali e culturali. La standardizzazione ha portato con sé la perdita di diversità alimentare, che coincide con una semplificazione e centralizzazione dei poteri economici e politici a livello europeo e globale. Questo fenomeno si manifesta anche nella geografia del consumo: l’ingresso preponderante delle grandi catene della distribuzione organizzata, con le loro linee private a marchio, ha eroso gli spazi sugli scaffali per i piccoli produttori e le icone alimentari storiche, accentuando un processo di omologazione e di “dilatazione del potere distributivo”.

Parallelamente, si assiste all’evoluzione del consumatore italiano, che si segmenta in due poli apparentemente opposti: da una parte, cresce la domanda di prodotti biologici, locali e sostenibili, espressione di una coscienza ambientalista e salutista; dall’altra, per difficoltà economiche, un ampio segmento si rivolge a discount e prodotti low-cost, creando una spia evidente dei crescenti divari socio-economici e della polarizzazione dei modelli di consumo. Il cibo diventa così un riflesso delle disuguaglianze sociali, un ambito in cui si giocano questioni cruciali di equità e accesso.

Entrando nel ventunesimo secolo, le crisi geopolitiche e ambientali hanno ulteriormente elevato la centralità del cibo come asset strategico. Dalla guerra russo-ucraina alle emergenze climatiche globali, la crisi delle catene di approvvigionamento, l’aumento dei costi energetici e la volatilità dei mercati agricoli hanno trasformato il settore agroalimentare in un terreno cruciale per la politica internazionale, la sicurezza alimentare e la diplomazia economica. In questo contesto, le eccellenze italiane – olio extravergine d’oliva, vino, formaggi, pasta – assumono il ruolo di “armi morbide” di soft power, strumenti di promozione dell’identità nazionale e di contrattazione commerciale nei mercati globali.

Il contrasto all’“Italian sounding” rappresenta dunque un conflitto di sovranità economica e culturale: la difesa delle denominazioni di origine protetta diventa una battaglia per mantenere autenticità identitaria e autonomia strategica in un mondo dominato da forze globali e da una produzione alimentare sempre più standardizzata e diffusa. La mozzarella di bufala, ad esempio, non è semplicemente un prodotto ma un simbolo tangibile di identità economica, culturale e territoriale, un totem intangibile di un’Italia che resiste e si riafferma nel contesto globale.

All’interno del Paese, inoltre, le tensioni territoriali e sociali sono sempre più evidenti. Il dualismo tra un Nord tecnologico e industrializzato e un Sud più rurale e infrastrutturalmente fragile, insieme alle condizioni spesso precarie del lavoro bracciantile, affidato in larga parte a migranti, mette in luce l’urgenza di politiche integrate di sostenibilità sociale ed economica. È necessario coniugare innovazione tecnologica, equità e rispetto delle tradizioni per costruire un modello di sviluppo agroalimentare più giusto e sostenibile.

Un fenomeno particolarmente interessante di questi ultimi anni è quello della “retrogusto vintage”: la riscoperta e il rilancio di cibi dimenticati degli anni Ottanta da parte di comunità online, social media e aziende attente ai trend nostalgici. Questo movimento di revival alimentare rappresenta un tentativo simbolico di riappropriazione identitaria e di resistenza alla volatilità globale. La nostalgia per prodotti come il succo Billy, le patatine Pat Bon o il gelato Camillino diventa così un ponte tra generazioni, un rifugio psicologico in un mondo incerto e un modo per ridefinire la storia personale e collettiva attraverso il cibo.

Parallelamente, nuove potenze emergenti come Cina, India e i Paesi del Golfo stanno ridefinendo le dinamiche globali del settore agroalimentare, spostando gli equilibri e imponendo all’Italia la necessità di ripensare strategie, investimenti e posizionamento internazionale. In questo contesto, le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresentano uno sforzo concreto per integrare tecnologia, sostenibilità e sviluppo rurale, ma restano insufficienti se non accompagnate da politiche sociali e territoriali mirate e lungimiranti.

La teoria dell’“eco-alimentare socio-geopolitico” interpreta quindi il cibo come un organismo vivo e complesso che riflette, modella e anticipa le trasformazioni profonde della società italiana ed europea. Dalla nascita delle merendine confezionate alla diplomazia agroalimentare internazionale, passando per la frammentazione sociale, le crisi climatiche, i conflitti geopolitici e l’evoluzione culturale dei consumi, il cibo si rivela un linguaggio potente con cui una nazione racconta se stessa, negozia il proprio ruolo nel mondo e definisce il proprio futuro in un contesto globale fluido e turbolento.

Nonostante i progressi compiuti a livello europeo, rimangono sfide significative da affrontare. La Corte dei conti europea ha sottolineato che i piani strategici della Politica Agricola Comune (PAC) non sono ancora completamente allineati agli obiettivi del Green Deal europeo, evidenziando la necessità di un monitoraggio più rigoroso e di misure più efficaci per garantire il raggiungimento degli obiettivi ambientali. La crescente domanda di cibo sostenibile e la necessità di affrontare disuguaglianze sociali ed economiche richiedono un impegno costante e coordinato per costruire un sistema alimentare equo e resiliente.

In conclusione, l’Unione Europea ha intrapreso un percorso significativo verso un’agricoltura e un sistema alimentare più sostenibili e resilienti. Le politiche adottate, come la PAC 2023-2027 e il Green Deal, rappresentano passi importanti in questa direzione. Tuttavia, sarà essenziale continuare a monitorare, adattare e integrare queste politiche per affrontare le sfide emergenti e garantire un futuro alimentare sicuro, equo e sostenibile per tutti.

Negli anni Ottanta, la trasformazione economica e sociale italiana si rifletteva fortemente nelle abitudini alimentari. L’aumento del reddito disponibile e l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro portarono a una nuova centralità del tempo e della praticità nella preparazione dei pasti. La nascita e diffusione di elettrodomestici come il microonde rivoluzionò la cucina domestica, aprendo la strada a un consumo alimentare più veloce e industrializzato.

Prodotti iconici di quell’epoca, come le patatine Pat Bon – che proponevano uno snack innovativo con forme di lettere ripiene di ketchup – le merendine Urrà, wafer al cioccolato con crema, o il gelato Camillino racchiuso in un guscio di cereali, sono ormai scomparsi ma restano vivi nella memoria collettiva. La bibita gassata italiana One O One, tentativo di competere con la Coca-Cola, rappresenta un altro tassello di quella storia di modernizzazione e competizione globale.

L’evoluzione dei gusti, le nuove sensibilità verso la salute e la sostenibilità, insieme alle pressioni dei mercati globali e delle regolamentazioni europee, hanno portato alla progressiva sparizione di questi prodotti, sostituiti da nuove proposte in linea con le tendenze contemporanee.

La memoria di questi cibi, tuttavia, è un patrimonio culturale che permette di comprendere la società italiana in transizione, i suoi desideri, le sue sfide e le sue contraddizioni. Il revival dei prodotti vintage non è solo un ritorno nostalgico, ma un modo per interrogarsi sul presente, sulle trasformazioni in atto e sulle potenzialità future di un sistema alimentare che deve coniugare tradizione, innovazione e sostenibilità.

Il cibo, dunque, è uno specchio privilegiato per osservare le evoluzioni economiche, sociali e geopolitiche italiane ed europee nell’arco di quarant’anni. Dalla merendina scomparsa alla diplomazia alimentare internazionale, questa storia racconta di un’Italia che cambia, si reinventa, lotta e resiste. La tavola diventa così non solo luogo di nutrimento ma terreno di confronto e negoziazione, in cui si giocano le grandi questioni del nostro tempo: identità culturale, sostenibilità, equità e sovranità.

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