
Dalla Pila di Volta alle Onde Gravitazionali
Scritto da Danilo Pette il . Pubblicato in Voci Aperte.
.Un secolo e mezzo di scoperte, invenzioni che hanno plasmato il progresso scientifico mondialeLa storia della fisica italiana è un racconto di genialità, passione e sfide, intrecciato con le vicende politiche e sociali di un Paese che, nonostante le difficoltà, ha saputo contribuire in modo decisivo allo sviluppo della scienza mondiale. Dalla modestia di un laboratorio settecentesco nella città di Como, dove Alessandro Volta inventò la pila elettrica, alla modernità di sofisticati laboratori come il CERN e VIRGO, l’Italia ha percorso un cammino ricco di innovazioni e personaggi indimenticabili. Questa narrazione non è solo una cronologia di eventi, ma una riflessione sul rapporto tra scienza, società e responsabilità etica, un tema che ha attraversato ogni epoca, dalla rivoluzione industriale fino all’era quantistica e digitale. L’approfondimento che segue esplora questo patrimonio, mettendo in luce non solo le scoperte tecniche, ma anche le storie umane che hanno animato la ricerca italiana, le tensioni morali e le sfide future di una fisica sempre più globale e interdisciplinare.
Nel cuore del Settecento, in una penisola italiana ancora divisa in stati, ducati e regni, affacciata su un’Europa in fermento scientifico, nasce a Como nel 1745 Alessandro Volta. La sua infanzia si svolge in un contesto provinciale ma culturalmente effervescente, in una società in cui la scienza è ancora vista come un territorio d’élite, spesso confinato nei salotti aristocratici o nei laboratori di pochi studiosi eccentrici. Volta non è figlio dell’aristocrazia, ma la sua mente, affilata e curiosa, supera ogni barriera sociale. Nei suoi primi esperimenti con l’elettricità, in un modesto laboratorio privato, inizia ad apparire quel filo invisibile che collegherà i futuri sviluppi della fisica italiana.
Con l’invenzione della pila nel 1800, Volta compie un salto epocale: per la prima volta nella storia dell’umanità, l’uomo dispone di una fonte stabile e continua di energia elettrica. I suoi dischi di zinco e rame, intervallati da panni imbevuti in soluzione salina, trasformano l’elettricità da spettacolo naturale a fenomeno riproducibile. L’elettricità si fa oggetto di studio sistematico, e con essa la fisica si sposta dalla teoria alla pratica. Nel 1801, Napoleone stesso assiste alla dimostrazione della pila, affascinato e consapevole della portata rivoluzionaria dell’invenzione. Da quel momento, la scienza italiana assume un volto riconoscibile nel panorama internazionale, e la tensione verso l’innovazione diventa una costante.
La lezione di Volta si propaga attraverso l’Ottocento, lasciando un’eredità non solo tecnica ma anche etica: la ricerca come atto di emancipazione, la scienza come risorsa pubblica. Ed è su questo solco che si muove Antonio Meucci, nato a Firenze nel 1808. Emigrato negli Stati Uniti, si dedica con passione alla sperimentazione. In un’epoca in cui le comunicazioni a distanza sono lente e macchinose, Meucci intuisce la possibilità di trasmettere la voce attraverso un filo. Il suo “telettrofono” anticipa di decenni l’invenzione che sarà attribuita a Bell. Ma Meucci è povero, senza sostegno istituzionale, e le sue scoperte rimangono a lungo ignorate. Solo nel 2002, il Congresso degli Stati Uniti riconoscerà il suo ruolo pionieristico. È una storia emblematica dell’Italia che eccelle nella scienza ma fatica a proteggerla. Meucci rappresenta il genio isolato, capace di visioni straordinarie ma privo delle strutture per renderle durature.
Nel frattempo, un altro italiano sogna di produrre diamanti artificiali. È Alessandro Cruto, nato nel 1847 in Piemonte. Le sue ricerche, apparentemente eccentriche, lo conducono a un risultato inatteso: la produzione di filamenti di grafite, che scopre essere perfetti per le lampade a incandescenza. Nel 1880, accende la sua prima lampada, offrendo una luce più intensa e pulita rispetto a quella di Edison. Ma Cruto, più scienziato che imprenditore, rifiuta la logica del profitto e abbandona la produzione industriale. È l’incarnazione dell’inventore puro, la cui dedizione alla conoscenza prevale sulla ricerca del successo economico. La sua parabola riflette la difficoltà, tutta italiana, di coniugare innovazione e impresa.
Nel passaggio tra Otto e Novecento, la fisica italiana vive un’espansione senza precedenti. Bologna vede nascere, nel 1874, Guglielmo Marconi, destinato a cambiare per sempre la comunicazione umana. Affascinato dagli studi di Maxwell e Hertz, Marconi non si accontenta della teoria: vuole inviare segnali senza fili. I suoi esperimenti nel giardino di casa si trasformano presto in una rivoluzione planetaria. Nel 1895 trasmette i primi segnali radio, nel 1901 attraversa l’Atlantico. Fonda una compagnia, ottiene brevetti, riceve il Nobel nel 1909. Marconi è il primo fisico-imprenditore italiano, capace di tradurre l’intuizione scientifica in infrastruttura globale. Le sue tecnologie danno origine alla radio, al radar, e a tutto il mondo delle telecomunicazioni. È il trionfo della fisica applicata, della ricerca che si fa industria e trasforma la società.
Accanto a lui si muovono altre figure fondamentali: Antonio Pacinotti con la sua dinamo, Galileo Ferraris con la corrente alternata. Ferraris, in particolare, costruisce una rete educativa che sopravvive tuttora. Insegna nei politecnici, forma generazioni di tecnici e ingegneri, trasforma la fisica in un sapere diffuso. Non è più una disciplina d’élite: entra nei licei, nelle università, nelle fabbriche. Si fa linguaggio della modernità, mezzo di emancipazione sociale. L’Italia comincia a strutturare un sistema scientifico, ancora fragile ma promettente.
Negli anni Trenta del Novecento, Roma diventa un punto focale della fisica mondiale grazie al gruppo di via Panisperna, guidato da Enrico Fermi. Nato nel 1901, Fermi è uno dei pochi scienziati capaci di eccellere sia nella teoria che nella sperimentazione. Dopo aver elaborato la statistica quantistica che porterà il suo nome, dirige un team di giovani brillanti: Amaldi, Segrè, Majorana, Pontecorvo. Insieme scoprono la radioattività indotta e studiano le proprietà dei neutroni. I loro esperimenti aprono la strada alla fissione nucleare, ponendo le basi della fisica moderna. Ma il contesto politico si fa cupo. Le leggi razziali del fascismo colpiscono anche la comunità scientifica. Fermi, la cui moglie è ebrea, fugge negli Stati Uniti. Nel 1938 riceve il Nobel e si imbarca verso l’America. Lì partecipa al Progetto Manhattan, costruisce il primo reattore nucleare. È un trionfo scientifico, ma anche una frattura etica: la fisica diventa arma.
Nello stesso gruppo, Ettore Majorana rappresenta il lato oscuro e profondo del sapere. Genio assoluto, teorizza la simmetria tra materia e antimateria, prevede l’esistenza del neutrino di Majorana. Ma non regge il peso delle implicazioni morali della sua scienza. Si ritira, si isola, scompare nel 1938 in circostanze misteriose. Forse suicida, forse nascosto. Forse spinto da un’angoscia esistenziale, incapace di accettare una fisica al servizio della distruzione. La sua scomparsa diventa mito, ma anche monito: la conoscenza senza etica può diventare pericolo.
Dopo la guerra, l’Italia è in macerie. Ma la scienza rinasce. Edoardo Amaldi guida questa resurrezione. Fondatore dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), partecipa alla creazione del CERN, rafforza i legami internazionali. Nasce una generazione nuova. Nicola Cabibbo scopre l’omonimo angolo, fondamentale nell’interazione debole. Carlo Rubbia scopre i bosoni W e Z, conquista il Nobel nel 1984. Bruno Pontecorvo, passato in URSS, lavora sulle oscillazioni dei neutrini: saranno confermate nei laboratori del Gran Sasso. La fisica italiana torna protagonista nel mondo, forte di un sistema sempre più organizzato.
Gli anni Settanta vedono la crescita dei grandi laboratori: Frascati, Gran Sasso, Trieste. Si lavora su astrofisica, fisica delle particelle, cosmologia. Le collaborazioni internazionali si intensificano. Emergenze nuove spingono la ricerca: l’energia, l’ambiente, la struttura dell’universo. In questo contesto emerge una figura unica: Margherita Hack. Prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia, Hack è scienziata e divulgatrice, atea e umanista. Porta la scienza in televisione, nei giornali, nelle piazze. Rende la fisica popolare, accessibile. Fa della ricerca un atto pubblico. Incarna una nuova generazione di fisici, capaci di parlare alla società.
Nel nuovo millennio, la fisica italiana si affaccia a territori inesplorati. La partecipazione al progetto LIGO-VIRGO porta, nel 2015, alla prima rilevazione delle onde gravitazionali. È una scoperta epocale: la conferma della teoria di Einstein, ma soprattutto l’apertura di una nuova finestra sull’universo. Per la prima volta, l’umanità “ascolta” i sussurri dello spazio-tempo. Il laboratorio VIRGO, situato vicino a Pisa, diventa simbolo della collaborazione internazionale e della capacità italiana di contribuire a scoperte globali.
Si sviluppa la fisica quantistica applicata: informatica quantistica, sensori di nuova generazione, reti di comunicazione basate su fotoni. Enti come il CNR, l’Istituto Italiano di Tecnologia, il Politecnico di Milano investono in queste tecnologie di frontiera. Giovani ricercatori nascono in ambienti ibridi, dove la ricerca di base si intreccia con l’imprenditoria e le startup. Il fisico torna a essere inventore e innovatore, abbracciando il rischio e la creatività.
Ma l’avanzamento scientifico riporta alla luce questioni etiche complesse. L’intelligenza artificiale, la sorveglianza quantistica, il controllo dei sistemi complessi sollevano dilemmi non solo tecnici, ma sociali e morali. I fisici italiani partecipano a questi dibattiti con consapevolezza. Come Majorana, sanno che “possono fare” ma devono chiedersi “se devono”. L’eredità del gruppo di via Panisperna non è solo tecnica: è anche riflessione sull’uomo e sul progresso.
Modelli matematici aiutano a prevedere la diffusione del virus, simulazioni sui flussi d’aria migliorano la sicurezza degli ambienti chiusi, nuovi sensori sono sviluppati per il monitoraggio. La scienza diventa un bene comune, uno strumento per la sopravvivenza e la solidarietà. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e i progetti europei Next Generation puntano molto sulla fisica: energie sostenibili, materiali innovativi, tecnologie quantistiche sono al centro della strategia nazionale.
Il centenario del CNR, testimonianza di un secolo di scienza e progresso. L’Italia mantiene una posizione di rilievo nei grandi esperimenti internazionali come il CERN, ITER, telescopi spaziali come Athena. I giovani fisici italiani viaggiano, studiano, collaborano, portano la loro esperienza fuori e dentro i confini nazionali. La “fuga dei cervelli” si trasforma in circolazione: idee e persone si spostano in un continuo scambio globale. Nasce una nuova identità scientifica, radicata ma aperta, italiana e cosmopolita.
Tra questi protagonisti si colloca anche la figura unica di Marcello Creti, nato a Roma nel 1922. Creti rappresenta un’anomalia rispetto alla scienza istituzionale, un outsider geniale e visionario. Autodidatta, inventore precoce, brevettò decine di dispositivi prima ancora di compiere vent’anni: dal cacciavite prensile a uno dei primi telefoni vivavoce, strumenti ottici e meccanici innovativi. Fu premiato da figure militari come Pietro Badoglio, ma la sua fama fu sempre accompagnata da un’aura mistica. Credeva di ricevere le sue invenzioni in sogno o trance, creando un ponte tra tecnica e spiritualità. Fondò il C.R.E.T.I. e il gruppo degli “Ergoniani”, unendo ricerca tecnica e energia cosmica chiamata “Ergos”. Fu esploratore, divulgatore, mineralogista e mistico, un personaggio che mostra come in Italia la scienza si sia sviluppata non solo nelle accademie, ma anche ai margini, tra immaginazione e ricerca.
Oggi, nel 2024, la fisica italiana continua questo cammino, forte delle sue radici e pronta a esplorare l’ignoto. Le nuove tecnologie, le sfide globali, le domande etiche segnano il percorso di una generazione che eredita una storia luminosa e la responsabilità di portarla avanti. Il viaggio cominciato con Volta, con la pila e con l’energia, si estende ora verso orizzonti impensabili: l’infinitamente piccolo delle particelle quantistiche, l’infinitamente grande dell’universo, le complesse reti dell’intelligenza artificiale. La fisica italiana non si ferma mai, continua a interrogare, a scoprire, a sognare.
©Danilo Pette