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Dazi e Riorganizzazione EU

Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in .

A cura di Agostino Agamben

Analisi dei flussi economici transatlantici e delle implicazioni fiscali per l’Unione Europea il bilancio tra rischio dazi, politiche monetarie e l’equilibrio commerciale con Stati Uniti, Giappone e Cina, alla luce delle ultime dinamiche macroeconomiche e dei dati statistici.

Nel cuore di una crisi globale che scuote le fondamenta delle politiche economiche, la recente discussione sui dazi, che ha visto l’Europa protagonista insieme a Stati Uniti e potenze asiatiche, riflette non solo la conflittualità economica, ma anche un più profondo cambiamento geopolitico che ridefinisce il ruolo dell’Occidente nel panorama mondiale. I dazi, da strumento di pressione politica a elemento di negoziazione economica, si pongono oggi al centro di una riflessione che non riguarda solo la politica commerciale, ma la stessa natura dei poteri che governano l’economia globale.

Se da un lato, l’imposizione dei dazi sembra una mossa diplomatica priva di alternative, dall’altro essa nasconde una complessità economica e politica che merita un’analisi più approfondita. Le scelte dell’Unione Europea, alle prese con l’accordo con gli Stati Uniti sui dazi, sono un chiaro segnale di come i confini dell’economia siano ormai sfumati e interconnessi con la politica, creando scenari difficili da decifrare.

Nel luglio 2023, l’Europa e gli Stati Uniti hanno siglato un accordo sui dazi che ha suscitato interrogativi innumerevoli, sia per la sua portata sia per le sue implicazioni politiche. L’accordo, che prevede una tariffa del 15% su una serie di beni strategici, sembra un tentativo di placare le tensioni, ma al contempo solleva questioni cruciali: in che misura questo accordo risponde a logiche economiche globali o piuttosto a equilibri geopolitici? L’Unione Europea, pur cercando di proteggere i suoi interessi, si trova costretta a fare i conti con il potere economico degli Stati Uniti, un potere che, pur rappresentando solo una parte dell’equilibrio mondiale, mantiene una posizione dominante grazie alla sua capacità di influenzare non solo i mercati, ma anche i sistemi finanziari internazionali.

Nel 2024, il volume delle relazioni commerciali tra l’UE e gli Stati Uniti ha toccato i 730 miliardi di euro, un volume che costituisce quasi il 44% del Pil globale, ma che continua a riflettere un disavanzo commerciale che l’Europa sta cercando di ridurre. L’Unione Europea ha infatti registrato un deficit commerciale di circa 305 miliardi di euro con gli Stati Uniti, segnalando un’asimmetria che ha radici sia nella natura delle esportazioni europee che nelle politiche protezionistiche adottate da Washington. In particolare, i settori tecnologico, automobilistico e quello delle energie rinnovabili sono al centro delle negoziazioni, con l’Europa che cerca di tutelare l’industria automobilistica, di cui i Paesi membri sono tra i principali attori globali.

I dazi sono sempre più una risposta a questioni che non riguardano esclusivamente la dimensione economica ma quella politica, un esempio lampante di come l’economia sia funzionale a strategie geopolitiche. Gli Stati Uniti, con l’amministrazione Trump e la sua politica di “America First”, sono riusciti a porre l’Europa di fronte alla necessità di bilanciare la propria politica interna ed esterna in un contesto di crescente incertezze globali.

In effetti, questo accordo sui dazi tra Unione Europea e Stati Uniti non è altro che una temporanea sospensione delle tensioni economiche, un’espediente che riflette la fragilità dei sistemi di alleanze geopolitiche, dove la politica commerciale diventa strumento per ridefinire posizioni di potere. Con il crescente protezionismo che caratterizza la politica estera degli Stati Uniti, l’Europa sembra essere costretta a cedere su alcuni punti, ma ciò che ne emerge è un sistema economico globale sempre più segmentato, in cui la cooperazione tra le potenze sembra essere solo una superficie di una lotta di potere sottostante.

L’Unione Europea, pur sotto la pressione degli Stati Uniti, ha cercato di rispondere in modo strategico alle politiche unilaterali degli americani. Una delle principali risposte è stata l’introduzione dell’Anti-Coercion Instrument (ACI), un meccanismo che è stato concepito per consentire all’Europa di difendersi da politiche coercitive provenienti da Paesi terzi, come gli Stati Uniti. L’ACI si configura come una risposta alle politiche unilaterali di Washington, ma anche come una protezione per l’industria europea, che rischia di essere danneggiata dalle politiche commerciali aggressive.

L’ACI, entrato in vigore nel 2023, è stato presentato come uno strumento di protezione in un mondo in cui i dazi e le tariffe stanno diventando sempre più una parte del repertorio diplomatico globale. Nonostante non sia stato ancora attivato, l’ACI rappresenta un’importante carta che l’Unione Europea può giocare in caso di escalation delle tensioni commerciali. Le misure che l’ACI prevede includono restrizioni sugli investimenti diretti esteri, tariffe sulle esportazioni strategiche e l’imposizione di sanzioni economiche per rispondere a pratiche considerate dannose per gli interessi economici e politici dell’Europa.

In realtà, l’ACI non è altro che una versione “nucleare” delle politiche commerciali europee, un contrattacco mirato a sfidare le politiche protezionistiche di Stati Uniti e Cina, e risponde al principio che, in un mondo globalizzato, il potere economico non si basa solo sul volume degli scambi, ma sulla capacità di costruire alleanze strategiche che vanno oltre i semplici accordi commerciali. L’implementazione di queste misure potrebbe segnare un cambiamento epocale nelle politiche europee, ridefinendo il concetto stesso di “forza economica”.

Se l’Europa e gli Stati Uniti sono al centro di un confronto acceso, l’Asia non rimane esente da dinamiche altrettanto turbolente. L’Asia, e in particolare la Cina e il Giappone, si pongono come protagonisti nella costruzione di nuovi equilibri economici globali, che tendono a ridisegnare le frontiere economiche mondiali, aprendo scenari di cooperazione e conflitto.

La Cina, infatti, continua a essere uno degli attori più rilevanti a livello economico, con un Pil che ha raggiunto i 18 trilioni di dollari nel 2024, superando le aspettative di crescita. Il valore delle esportazioni cinesi verso l’Europa è aumentato a 730 miliardi di euro nel 2024, ma la Cina continua a subire un enorme disavanzo commerciale con l’Europa. L’Unione Europea, nel frattempo, ha cercato di diversificare le sue relazioni economiche con la Cina, spingendo su questioni legate alla sostenibilità e alla protezione dei dati.

Il Giappone, pur mantenendo un profilo più basso rispetto a Cina e Stati Uniti, gioca un ruolo fondamentale nelle dinamiche economiche mondiali. Il 2024 ha visto un aumento delle sue esportazioni verso l’Europa, che sono cresciute di oltre il 6%, raggiungendo i 150 miliardi di euro. Il Giappone, attraverso il suo accordo con gli Stati Uniti, ha cercato di migliorare l’accesso al mercato americano, ma continua a concentrarsi sull’innovazione tecnologica e sulla sua capacità di mantenere un mercato interno competitivo. Il Giappone è un esempio di come le politiche commerciali possano intersecarsi con la diplomazia internazionale, cercando di costruire alleanze stabili in un mondo sempre più multipolare.

In questo scenario di negoziati internazionali, la politica fiscale gioca un ruolo fondamentale. La Banca Centrale Europea (BCE), alla luce dei recenti sviluppi, si trova nella necessità di mantenere un equilibrio tra stimolo economico e controllo dell’inflazione. Nel 2024, l’inflazione nell’area euro è scesa al 3,1%, rispetto al 5,2% dell’anno precedente, segnando una tendenza positiva ma comunque insoddisfacente. La BCE ha ridotto progressivamente i tassi d’interesse per stimolare la crescita economica, ma le politiche protezionistiche globali rischiano di frenare i progressi.

L’inflazione core, che esclude i beni energetici e alimentari, continua a essere un tema centrale per la BCE, che si trova a bilanciare tra il rischio di un rallentamento economico e la necessità di evitare che l’inflazione prenda una piega incontrollabile. Se da un lato la politica monetaria sta cercando di stimolare la crescita, dall’altro le tensioni globali, soprattutto quelle commerciali, alimentano l’incertezza e aumentano la pressione sulle economie. Con l’inasprirsi delle politiche protezionistiche, la BCE potrebbe trovarsi costretta a rallentare la propria politica di allentamento monetario, sebbene, come osservato da Christine Lagarde, il contesto globale di incertezze rende difficile una pianificazione a lungo termine.

Le politiche fiscali, inoltre, stanno evolvendo. I Paesi dell’UE stanno cercando di rafforzare il loro bilancio fiscale per affrontare le sfide interne ed esterne. La Germania, storicamente il motore economico dell’Europa, ha iniziato a diminuire il surplus di bilancio per stimolare gli investimenti pubblici e privati. Un’ulteriore sfida per l’Europa risiede nel fatto che molti dei suoi Stati membri non sono ancora riusciti a rispettare i vincoli di bilancio imposti dal Patto di Stabilità e Crescita. Questo crea una disomogeneità tra i vari Paesi, con alcuni che si trovano sotto la pressione dei mercati finanziari, mentre altri, come la Francia, sono riusciti ad allentare un po’ le maglie delle politiche fiscali senza compromettere la loro credibilità.

Il rischio inflazionistico, infatti, non è solo interno: le guerre commerciali e i dazi imposti da Stati Uniti, Cina e altre potenze stanno creando una pressione esterna sui prezzi, aggravando la situazione economica. La pressione inflazionistica derivante da questi fattori è uno degli aspetti meno analizzati, ma tra i più devastanti. I produttori europei e globali si trovano a fronteggiare aumenti dei costi per materie prime e componenti, il che potrebbe portare a una spirale di aumenti dei prezzi che danneggerebbe il potere d’acquisto delle famiglie.

L’Italia, in particolare, vive una situazione complessa: la crescita economica è frenata da una bassa produttività e da alti livelli di debito pubblico. I tassi di interesse molto bassi, attuati dalla BCE, hanno alleviato temporaneamente il peso del debito, ma la sostenibilità fiscale è una preoccupazione crescente, soprattutto con la possibilità di un nuovo round di dazi americani che potrebbero ostacolare la capacità di esportazione.

Oltre agli Stati Uniti, l’Unione Europea si trova ora a dover fare i conti con la crescente assertività della Cina nel panorama economico globale. La Cina, con il suo Pil in crescita, ha continuato a rafforzare la sua posizione sia nei mercati emergenti che in quelli sviluppati, grazie a una strategia di investimenti diretti esteri e alla sua iniziativa della “Belt and Road Initiative” (BRI). Questa strategia, che si estende in gran parte delle regioni del mondo, dalla Russia all’Africa, dall’Asia Centrale all’Europa, ha reso la Cina una potenza economica ancora più globale. Il 2024 ha visto la Cina aumentare la sua influenza in Europa, non solo attraverso la compravendita di infrastrutture, ma anche grazie alla sua crescente presenza nelle filiere industriali strategiche, come quella delle tecnologie digitali, delle telecomunicazioni e dei semiconduttori.

Nonostante l’UE cerchi di mantenere una relazione cooperativa con la Cina, le sfide sono molteplici. Le differenze nei modelli economici – quello europeo, incentrato sulla competitività e sui diritti sociali, e quello cinese, di tipo statalista e interventista – continuano a creare frizioni. La Cina, pur avendo promesso di aprire ulteriormente i suoi mercati alle aziende europee, ha continuato a usare pratiche che destano preoccupazione, come il trasferimento obbligatorio di tecnologia e la protezione della sua industria interna, che rimane poco accessibile alle imprese europee.

La competizione tra Occidente e Oriente non si limita ai confini della politica commerciale. Si estende alle dinamiche tecnologiche, dove la guerra sul 5G e le tecnologie emergenti sono ormai questioni geopolitiche cruciali. I Paesi europei si trovano a dover scegliere se aderire alla crescente influenza cinese o mantenere una linea di indipendenza tecnologica, sostenuta da alleanze con gli Stati Uniti e, in alcuni casi, con il Giappone. Un aspetto ancora più rilevante è l’incidenza della politica monetaria cinese, che ha un impatto diretto sui flussi di capitale verso l’Europa e sui tassi di cambio globali, modificando così le condizioni economiche per gli investitori internazionali.

Il panorama economico globale del XXI secolo è radicalmente cambiato rispetto al passato. L’Occidente, da sempre dominato dalle potenze economiche anglosassoni, si trova ora a fare i conti con una crescente sfida da parte della Cina e di altre economie emergenti. L’Europa, con le sue divisioni interne e le sue politiche economiche eterogenee, sembra incapace di trovare una risposta univoca e strategica. La competizione globale sui dazi non è che un aspetto di un conflitto molto più grande, che include la politica energetica, la gestione delle risorse naturali, l’innovazione tecnologica e il controllo delle infrastrutture critiche.

La capacità dell’Unione Europea di adattarsi a questa nuova realtà, attraverso strumenti come l’Anti-Coercion Instrument (ACI) o la riforma delle sue politiche fiscali, potrebbe essere determinante per il suo futuro. Tuttavia, la strada non è facile: le pressioni interne ed esterne sono immense, e l’Europa dovrà trovare un equilibrio tra protezione e apertura, tra cooperazione e indipendenza. La concorrenza con le potenze emergenti, la gestione dei flussi migratori, e la lotta contro il cambiamento climatico impongono a Bruxelles di fare scelte audaci. La vera sfida per l’Europa non è solo quella di navigare attraverso una guerra commerciale, ma di costruire un futuro più inclusivo e resiliente, in grado di affrontare le incognite economiche di un mondo sempre più multipolare.

In un contesto globale sempre più frammentato e incerto, l’Europa ha bisogno di reinventarsi. L’Europa del XXI secolo dovrà riscoprire la propria identità in un mondo che non è più unipolare, ma multipolare, dove potenze emergenti e vecchie alleanze si intrecciano. L’anti-coercion instrument, pur essendo un passo importante, è solo un capitolo di una lunga e complessa narrazione geopolitica ed economica. L’Unione Europea dovrà continuare a sperimentare, adattarsi e, soprattutto, imparare a giocare una partita che non si limita più alle negoziazioni commerciali, ma che abbraccia la strategia economica, politica e sociale di un intero continente.

L’Europa ha davanti a sé il compito di fare delle sue crisi delle opportunità, cercando di usare la propria forza economica e politica in modo coordinato e lungimirante. Il futuro del continente, e la sua capacità di navigare tra le sfide poste dal nuovo ordine mondiale, dipenderanno dalla sua capacità di rimanere unita, ma al contempo di adattarsi al nuovo scenario che sta prendendo forma sotto i suoi occhi.

 

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