A cura di Ottavia Scorpati
Analisi delle dinamiche di potere, partecipazione e giustizia sociale nella crisi climatica globale: perché includere le donne è essenziale per politiche climatiche efficaci eque.
A cura di Ottavia Scorpati
Analisi delle dinamiche di potere, partecipazione e giustizia sociale nella crisi climatica globale: perché includere le donne è essenziale per politiche climatiche efficaci eque.
I cambiamenti climatici rappresentano una delle sfide più pressanti e complesse del nostro tempo, e la loro evoluzione mette a dura prova le comunità di tutto il mondo, in particolare quelle più vulnerabili e con minori risorse. La recente Conferenza delle Parti, COP29, tenutasi a Baku, ha affrontato numerosi temi cruciali quali l’innovazione tecnologica nel settore climatico, i finanziamenti per l’adattamento e la mitigazione, la gestione del bilancio globale e il coinvolgimento dei giovani, ma soprattutto ha posto una particolare attenzione alla questione della disparità di genere. La relazione tra cambiamenti climatici e disparità di genere emerge come un nodo centrale non solo dal punto di vista sociale, ma anche per la sua influenza diretta sull’efficacia delle strategie di adattamento e mitigazione climatica.
In molte regioni del mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, gli effetti del cambiamento climatico si manifestano con crescente intensità: l’innalzamento del livello dei mari, ondate di calore estreme, eventi meteorologici sempre più violenti e imprevedibili mettono in crisi le economie locali e la sicurezza alimentare. In questi contesti, la vulnerabilità non è distribuita equamente; chi vive in condizioni di povertà, con accesso limitato alle risorse essenziali e alle opportunità, è costretto a fronteggiare un rischio molto più alto. Tra queste persone, le donne risultano essere particolarmente esposte agli impatti negativi, proprio a causa delle disuguaglianze di genere che caratterizzano molti sistemi sociali e culturali. Nei paesi rurali, dove spesso la sopravvivenza dipende dall’agricoltura di sussistenza, le donne sono le principali responsabili della produzione alimentare e della gestione delle risorse familiari. Tuttavia, la loro capacità di adattarsi ai cambiamenti è limitata da barriere strutturali: difficoltà nell’accesso alla terra, alla proprietà, ai finanziamenti, all’educazione e alle tecnologie.
Le donne, pur essendo tra le più colpite, rappresentano anche una risorsa fondamentale per l’azione climatica e la costruzione della resilienza ambientale. Grazie alla loro conoscenza diretta del territorio e delle pratiche agricole sostenibili, nonché alla loro leadership a livello comunitario, esse hanno dimostrato un ruolo chiave nella gestione delle risorse naturali. La loro inclusione nei processi decisionali a tutti i livelli – dalle comunità locali alle sedi internazionali – ha mostrato di migliorare significativamente la qualità e l’efficacia delle politiche ambientali e climatiche. Quando le donne partecipano attivamente alla governance locale, si osserva un aumento della cooperazione tra diversi gruppi sociali, una maggiore attenzione alle esigenze reali delle famiglie e una promozione di pace e stabilità, elementi essenziali in un contesto segnato da crisi ambientali e sociali.
L’assenza o la marginalizzazione della partecipazione femminile, invece, può aggravare le disuguaglianze esistenti, rendendo inefficaci o addirittura dannosi gli interventi climatici. Questo vale anche nella gestione dei finanziamenti dedicati all’adattamento e alla mitigazione: è necessario che i progetti climatici adottino un approccio sensibile alle questioni di genere, affinché non solo contribuiscano a ridurre le emissioni o a migliorare la resilienza, ma promuovano anche una trasformazione sociale che superi discriminazioni e disuguaglianze. La progettazione di interventi efficaci deve includere una partecipazione significativa delle donne in tutte le fasi, dalla consultazione all’implementazione, riconoscendo e rispondendo alle loro specifiche esigenze e potenzialità. Ad esempio, iniziative che favoriscano l’accesso alle energie rinnovabili – come il solare domestico – possono ridurre drasticamente il carico di lavoro delle donne, migliorando nel contempo la sostenibilità ambientale.
Parallelamente, la gestione dei fondi climatici deve essere guidata da competenze interdisciplinari, che comprendano non solo esperti tecnici e scientifici, ma anche specialisti di questioni sociali e di genere. Solo così le politiche possono ampliarsi oltre la dimensione meramente economica e tecnica, abbracciando una visione olistica in cui gli aspetti umani, culturali e sociali sono parte integrante delle strategie. Fondamentale è inoltre che le donne abbiano un ruolo decisionale nei comitati che governano tali fondi, potendo così influenzare le priorità, le strategie e la distribuzione delle risorse. Per garantire un reale cambiamento, i finanziamenti dovrebbero essere accessibili direttamente a gruppi di donne o imprenditrici impegnate nell’azione climatica, consentendo loro di diventare protagoniste di iniziative innovative legate alla sostenibilità e alle energie pulite.
Il rapporto pubblicato dalla FAO nel 2023, “The status of women in agrifood system”, offre un quadro approfondito e aggiornato della condizione delle donne nel settore agroalimentare globale. L’analisi mostra come il rafforzamento del potere femminile e la promozione della parità di genere siano strettamente collegati a miglioramenti tangibili nel benessere delle donne stesse, delle loro famiglie e delle comunità intere. Investire nell’empowerment femminile significa non solo aumentare redditi e produttività agricola, ma anche rafforzare la resilienza economica e sociale di intere popolazioni. Il concetto di empowerment si è evoluto da una mera attenzione alle disuguaglianze di genere a un processo trasformativo che mira a demolire strutture e relazioni di potere, formali e informali, che perpetuano l’oppressione e limitano le scelte delle donne.
Naila Kabeer, studiosa di riferimento in materia, definisce l’empowerment come quel processo attraverso cui individui precedentemente privati della capacità di effettuare scelte strategiche di vita riescono a recuperare tale capacità. Questo processo include non solo l’acquisizione di risorse materiali, ma anche di competenze, opportunità e l’azione consapevole. Nel contesto dei sistemi agroalimentari, risorse quali la terra, l’acqua, la tecnologia, i servizi finanziari e le infrastrutture sono essenziali. Allo stesso tempo, risultano fondamentali l’educazione, la formazione, la partecipazione collettiva e il sostegno di reti sociali che possono aiutare le donne a superare le barriere culturali e strutturali. Senza un quadro normativo e politico che supporti la partecipazione delle donne nelle decisioni chiave sull’uso della terra e del reddito, gli sforzi rischiano di rimanere inefficaci o parziali.
A livello globale, circa il 36% delle lavoratrici è impiegato nei sistemi agroalimentari, ma il lavoro femminile in questo settore è spesso meno remunerato e meno riconosciuto rispetto a quello maschile. Ad esempio, le donne guadagnano mediamente l’82% di quanto guadagnano gli uomini nello stesso ambito. Questa disparità economica si intreccia con norme sociali restrittive, che limitano il diritto delle donne alla proprietà terriera e all’accesso agli input produttivi, come sementi, fertilizzanti, macchinari o tecnologie digitali. Il livello di istruzione è un ulteriore elemento critico: in molti Paesi, meno dell’1% delle donne povere nelle aree rurali raggiunge il completamento dell’istruzione secondaria, compromettendo la loro capacità di accedere a informazioni, finanziamenti, tecnologie e opportunità di lavoro dignitose. La mancanza di educazione rappresenta un ostacolo chiave per l’effettivo esercizio dei diritti, la partecipazione politica e la possibilità di migliorare le condizioni di vita.
Gli effetti di un maggior investimento nell’uguaglianza di genere sono straordinari. Secondo stime della FAO, colmare il divario di produttività agricola tra uomini e donne e ridurre le disparità salariali potrebbe portare a un incremento del 1% del PIL globale, pari a quasi 1 trilione di dollari. Tale progresso si tradurrebbe anche in una riduzione del 2% dell’insicurezza alimentare mondiale, con benefici diretti per circa 45 milioni di persone. Altri studi indicano che se la metà dei piccoli produttori agricoli ricevesse interventi mirati all’empowerment femminile, si potrebbe assistere a un aumento significativo dei redditi di 58 milioni di persone e a un rafforzamento della resilienza di altre 235 milioni, con conseguenze positive sull’intero sistema socio-economico.
In questo scenario, le politiche climatiche e gli investimenti devono necessariamente includere una dimensione di genere per essere veramente efficaci. Solo attraverso un approccio integrato che promuova la partecipazione femminile e che combatta le disuguaglianze si può creare un ambiente favorevole alla resilienza e alla sostenibilità. Le soluzioni devono essere scalabili, agendo tanto a livello locale, coinvolgendo le comunità e trasformando le norme culturali, quanto a livello globale, con interventi strutturali che coinvolgano governi, organizzazioni internazionali, società civile e settore privato. Solo così sarà possibile costruire un tessuto sociale più equo, capace di rispondere in modo inclusivo e duraturo alle sfide ambientali.
L’analisi dell’impatto della disparità di genere sulla crisi climatica richiede una riflessione multidimensionale che abbraccia teologia, filosofia, economia e geopolitica. Da una prospettiva teologica, la questione si radica nella concezione del valore umano e del ruolo delle comunità nella custodia della Terra come casa comune. Tradizioni religiose spesso hanno storicamente sancito ruoli di genere gerarchici, relegando le donne ai margini del potere decisionale. Questa eredità si riflette nelle pratiche di gestione delle risorse naturali, spesso dominate da dinamiche patriarcali. Le correnti di eco-teologia femminista sottolineano che una vera cura del pianeta implica la liberazione di tutti i soggetti oppressi, e in particolare delle donne, affinché possano contribuire pienamente a una società sostenibile. L’idea di cura e responsabilità verso la Terra è quindi inseparabile dalla giustizia di genere: un’ecologia integrale non può prescindere dalla valorizzazione della diversità e dall’eliminazione delle disuguaglianze di potere.
Dalla crisi climatica impone di superare un’antropocentrismo tradizionale che ha giustificato lo sfruttamento indiscriminato della natura. Tale visione, profondamente radicata in modelli sociali patriarcali, ha plasmato relazioni di dominio sia tra uomo e natura sia tra uomini e donne. L’epistemologia femminista invita a un ripensamento basato su un paradigma relazionale, inclusivo e interconnesso, dove la natura non è oggetto da sfruttare ma parte di una rete di interdipendenze da proteggere. Le disuguaglianze di genere sono così viste come manifestazioni di una crisi epistemologica più ampia, che necessita di un superamento dei dualismi uomo/donna, cultura/natura, soggetto/oggetto, per affrontare efficacemente la crisi climatica.
Economicamente, la disparità di genere limita fortemente la capacità di adattamento e mitigazione degli effetti ambientali. Le donne, specialmente nei Paesi più poveri, affrontano condizioni di vulnerabilità accentuate dalla scarsa accessibilità a risorse economiche, educative e sanitarie, rendendole più esposte a disastri ambientali e migrazioni forzate. La loro presenza nel mercato del lavoro è spesso caratterizzata da precarietà, sottopagamento e mancanza di riconoscimento, elementi che riducono la loro influenza nelle scelte politiche ed economiche. Politiche climatiche prive di una prospettiva di genere rischiano quindi di rafforzare tali disuguaglianze, compromettendo la sostenibilità e l’inclusività delle soluzioni adottate.
Le dinamiche politiche riflettono e amplificano questi squilibri di potere, con governi e organizzazioni internazionali ancora dominati da élite maschili. Questa rappresentanza squilibrata esclude le esperienze e i bisogni di metà della popolazione globale, influenzando negativamente la definizione di priorità e l’allocazione delle risorse. La crisi climatica, inoltre, acuisce le tensioni internazionali e i conflitti per risorse scarse, colpendo in modo più drammatico le donne nelle regioni più fragili. La governance globale deve quindi garantire una rappresentanza equa e inclusiva, rendendo le donne protagoniste delle decisioni geopolitiche legate al clima.
Nelle pratiche quotidiane e nelle culture locali, le donne spesso custodiscono conoscenze tradizionali fondamentali per la gestione sostenibile delle risorse naturali, l’agricoltura rigenerativa e la conservazione della biodiversità. Tuttavia, la loro marginalizzazione economica e politica ne limita la diffusione e il riconoscimento. Promuovere il loro ruolo nelle economie locali non è solo una questione di giustizia sociale, ma una strategia essenziale per rafforzare la resilienza e costruire sostenibilità a lungo termine. Programmi di empowerment, educazione e accesso alle tecnologie verdi rappresentano strumenti indispensabili per valorizzare queste competenze e generare soluzioni climatiche efficaci e inclusive.
Culturalmente, la crisi climatica alimenta dinamiche di invisibilizzazione delle donne, che vengono spesso considerate solo come vittime passive degli impatti ambientali, mentre la loro capacità di agire come agenti di cambiamento è sottovalutata. Questa narrazione riduttiva alimenta un circolo vizioso che limita la loro partecipazione e rafforza stereotipi di genere, ostacolando il cambiamento culturale necessario a sostenere una transizione ecologica giusta. Una trasformazione culturale profonda deve quindi accompagnare le riforme strutturali per garantire una partecipazione effettiva e una distribuzione equa dei benefici derivanti dall’azione climatica.
L’analisi delle disparità di genere nel contesto climatico solleva anche interrogativi di responsabilità e etica. Il modello di sviluppo capitalistico, basato sulla crescita infinita e sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, è stato storicamente costruito e gestito prevalentemente da uomini, spesso ignorando o minimizzando le voci femminili e le prospettive di giustizia sociale. La responsabilità morale per l’attuale crisi climatica è quindi intrecciata con questioni di potere e disuguaglianza di genere. Un cambiamento reale implica una trasformazione radicale dei modelli di produzione e consumo, con un ripensamento dei valori sociali, che deve includere il riconoscimento e il rispetto delle diversità e dei diritti delle donne come parte integrante della soluzione.
La relazione tra cambiamenti climatici e disparità di genere è complessa e multidimensionale, richiedendo un approccio integrato che tenga conto di fattori sociali. L’empowerment delle donne rappresenta non solo una questione di giustizia sociale, ma anche una strategia fondamentale per la sostenibilità ambientale e la resilienza globale. Affrontare queste sfide significa promuovere un cambiamento sistemico, capace di trasformare le strutture di potere, valorizzare il contributo femminile e garantire una governance climatica equa e inclusiva, in cui tutti possano partecipare e beneficiare. Solo così si potrà sperare di costruire un futuro sostenibile e giusto per le generazioni presenti e future.