
ETF realtà tra vantaggi e rischi
Scritto da Agostino Agamben il . Pubblicato in Economia e Politica.
A cura di Agostino Agamben
Un’analisi critica del funzionamento e delle implicazioni soggettive degli Exchange Traded Funds, tra trasparenza apparente, rischi nascosti e la dinamica di potere che definisce il rapporto tra investitori, mercato e regolamentazione.
ETF, queste tre lettere che sembrano rimbalzare tra un formalismo tecnico e una sorta di nodo concettuale, disegnano una figura ambigua, uno spazio di tensione che non si lascia ridurre all’evidenza immediata. L’Exchange Traded Fund si presenta come un dispositivo, una macchina apparentemente trasparente che promette accesso diretto e immediato ai meccanismi profondi del mercato, eppure custodisce in sé la traccia di un’opacità radicale, un residuo di incertezza che non può essere eliminato. Non si tratta soltanto di un prodotto finanziario, ma di un intreccio dove diritto, tecnica, potenza e soggettività si incontrano e si scontrano, dove la “trasparenza” si mostra fin da subito come un ideale problematico, un gioco di specchi che cela più di quanto riveli.
L’ETF annuncia la sua doppia natura già nel nome: fondo e scambiato, il profondo e il superficiale, la quiete del capitale accumulato e la continua esposizione al movimento, al flusso incessante di compravendite. Il fondo, che si immagina come ciò che è stabile, nascosto, strutturale, diviene oggetto di negoziazione costante, luogo di un divenire permanente, un’oscillazione senza riposo. Qui il paradosso si palesa: un fondo che non può mai essere quieto, che non può mai esser estraneo al mercato in azione. Come la “nuda vita” di cui parla Agamben, non una vita pura ma sempre attraversata da relazioni di potere, così l’ETF non è mai un mero veicolo finanziario, ma un dispositivo in cui si incrociano molteplici livelli di realtà.
In superficie, la sua struttura appare semplice: un paniere di titoli, un insieme di azioni, obbligazioni, materie prime, che vengono replicati nel loro andamento. Ma replicare è un’operazione complessa, che implica mediazioni tecniche, strategie di tracking, e tensioni tra liquidità e costi. L’ETF si colloca così in un equilibrio precario tra la promessa di trasparenza – il valore patrimoniale netto che si aggiorna quotidianamente, persino istante per istante – e la realtà nascosta delle fragilità sottese a ciascun titolo, ai rischi di controparte, alle correlazioni invisibili, alle vulnerabilità strutturali.
Se ci si volge a confrontare l’ETF con altri prodotti finanziari, non è sufficiente prendere in esame solo gli aspetti tecnici – i costi, i rendimenti, i rischi. Occorre invece un’analisi che si estenda alla soggettività dell’investitore e al modo in cui essa viene situata rispetto al mercato, al diritto e al potere. Il fondo comune tradizionale, per esempio, opera secondo una logica che potremmo definire di delega e attesa: l’investitore conferisce al gestore il compito di curare il portafoglio, e la relazione si svolge in termini di diritti, obblighi e scadenze periodiche. L’ETF invece introduce una soggettività attiva, un investitore che è negoziatore permanente, esposto a un flusso continuo di scambi, a una negoziazione incessante che lo rende parte integrante del dispositivo. Non più un soggetto passivo, ma un agente costantemente mobilitato, connesso a un tempo di mercato che non concede pause.
Questa soggettivazione, però, è tutt’altro che innocente. Essa crea una tensione interna, un conflitto tra il desiderio di controllo e l’effettiva subordinazione al flusso di mercato. L’investitore crede di dominare, di poter agire in modo indipendente, ma si trova invece continuamente esposto a micro-movimenti che sfuggono alla sua presa: oscillazioni di prezzo, scivolamenti imprevisti, lacune di liquidità. L’ETF diviene così un nodo in cui si negozia non solo il capitale ma la relazione tra potenza e impotenza, un luogo di confronto tra la capacità del soggetto di intervenire e la sua vulnerabilità strutturale.
La complessità aumenta con gli ETF “a gestione attiva” o “smart beta”, dove la distinzione tra passivo e attivo si sfuma. Dietro la maschera della replica fedele di un indice, si cela un’operazione discrezionale, una modulazione del rischio, una scommessa sui coefficienti che si allontanano dall’idealità del riflesso perfetto. L’ombra del discrezionale si insinua nella trasparenza, portando alla luce il nodo su cui si fonda ogni dispositivo finanziario: il confine tra ciò che è fondo e ciò che è speculazione.
E allora non è possibile comprendere l’ETF senza restituirlo al quadro normativo che lo include. Non è un’entità al di fuori del diritto, ma anzi ne è attraversato, disciplinato, sorvegliato. Il mercato borsistico lo ingloba in una rete di regole, obblighi di trasparenza, limiti, registrazioni e autorizzazioni che lo rendono un dispositivo normato ma al tempo stesso sospeso in uno spazio di eccezione. In ogni momento, la norma può sospenderlo, cancellarne la negoziabilità, neutralizzarne l’efficacia. In questo potere di sospensione si rivela un aspetto decisivo: l’ETF è soggetto a un potere che lo trascende e che ne determina la condizione stessa di possibilità.
Tra soggetto e oggetto, tra diritto e tecnica, l’ETF si situa in una posizione di mediazione attiva, diventando nodo vivo di relazioni complesse. Le variazioni di titoli e costi nel fondo si intrecciano con le pratiche dell’investitore e con la disciplina regolatoria. Il dispositivo finanziario si manifesta così non come un mero meccanismo tecnico, ma come un campo di battaglia di relazioni di potere, un luogo dove si manifesta la soggettività in tensione.
L’uso stesso degli ETF si configura come una forma di soggettivazione, una scelta che investe la relazione del soggetto con il mercato. L’ETF può essere usato come nucleo centrale di un portafoglio, come strumento di diversificazione a basso costo, o come strumento di esposizione temporanea a settori o mercati emergenti. Ma ogni scelta è una pratica, una forma di vita finanziaria: lentezza e pazienza oppure rapidità e timing, investitore o trader. Non è neutra, ma implica una decisione, un orientamento esistenziale rispetto al mondo finanziario.
Non mancano però le zone problematiche: l’uso speculativo a breve termine, il carry trade implicito nella leva finanziaria, la replicazione sintetica che introduce rischi di controparte tramite derivati e swap. In questi casi, la facciata di semplicità si disgrega, emergono le ombre della tecnica finanziaria e la rete invisibile delle dipendenze e vulnerabilità.
Un ulteriore nodo è rappresentato dagli ETF tematici: ESG, green, factor, smart. Essi testimoniano che il dispositivo non è solo tecnica, ma negoziazione semantica e politica. Cosa significa “sostenibile”? Quale fattore merita attenzione? Come si costruisce un futuro nei coefficienti che definiscono il paniere? Qui l’ETF si fa luogo di ideologia, dove le scelte non sono esteriori, ma costituiscono l’essenza del dispositivo stesso.
Confrontando l’ETF con altri strumenti – gestori azionari attivi, hedge funds, titoli singoli – si nota come la soggettività si sposti in modi differenti. L’azione diretta richiede una presenza più intensa del soggetto, che assume rischi maggiori e paga un prezzo in termini di costi e incertezza. L’ETF offre una soggettivazione disciplinata, in cui il soggetto è dentro il flusso ma limitato da regole, vincoli, limiti all’arbitrio.
Gli strumenti ibridi – fondi a scadenza, certificati, obbligazioni strutturate, ETC – dialogano con gli ETF, tutti attraversati dalla stessa tensione tra trasparenza e tecnica. La scelta non è mai tra ETF o altro, ma tra dispositivi con diversi gradi di esplicitazione del potere, con differenti forme di soggettivazione e distanza dal cuore del sistema.
Il fulcro non è il rendimento o il confronto tecnico, ma la scansione del soggetto che investe, la sua distanza dal dispositivo, la capacità di illuminare le zone d’ombra. L’ETF è frammento del mondo finanziario che si fa esperienza, è ciò che produce in chi lo usa, e non solo ciò che fa.
Quando la trasparenza svanisce – nel tracollo repentino, nella liquidità prosciugata, nel “flash crash” – l’illusione si dissolve e l’ETF si mostra come campo di frattura. L’ombra del rischio emerge con violenza, rivelando l’essenza del dispositivo: intreccio inquieto di tecnica, soggettività, diritto e potere.
E così, tra le pieghe di questo intreccio, emerge un’immagine che sfugge a ogni riduzione: l’ETF, sospeso tra trasparenza e opacità, tra controllo e abbandono al flusso, rivela non solo le sue condizioni tecniche ma anche il suo carattere esistenziale. Non è un semplice strumento, ma una forma di vita finanziaria, una modalità in cui si configura la soggettività economica contemporanea. L’illusione della trasparenza quotidiana — il valore sempre noto, l’andamento replicato — si incrina davanti all’evento imprevedibile, al flash crash, alla crisi di liquidità, che ne svelano la struttura profonda, quella che rimane nascosta sotto la superficie apparente. E ciò che si rivela non è soltanto una vulnerabilità tecnica, ma un nodo dialettico in cui si confrontano potenza e impotenza, autonomia e subordinazione.
La soggettività dell’investitore, se pure immaginata come agente razionale e attivo, si mostra dipendente da processi che la trascendono: mercati regolamentati che disciplinano e sospendono, meccanismi di trasparenza che nascondono fragilità, dispositivi legali che autorizzano e limitano. L’ETF diventa allora un campo di battaglia in cui si negozia non solo il capitale, ma la stessa possibilità di agire nel mondo economico — il potere di decidere, la capacità di anticipare, la condizione di esporre sé stesso a rischi che non si dominano pienamente. Non è un paradosso, ma la cifra di ogni moderno dispositivo finanziario: la tensione tra la promessa di controllo e la realtà dell’incertezza.
Ecco perché il confronto tra ETF e altri prodotti finanziari non può essere mera questione di costi o rendimenti, ma deve approfondire le modalità di soggettivazione che ciascuno propone. Il fondo comune tradizionale, con la sua periodicità, i suoi confini temporali, il ruolo di un gestore delegato, produce una soggettività del deposito e dell’attesa. L’ETF, al contrario, con la sua negoziabilità continua, immerge il soggetto nell’eterna mobilità del mercato, lo trasforma in un negoziatore permanente, sospeso tra decisione e reazione, sempre chiamato a reagire all’imprevedibile. È una soggettivazione meno sicura, più esposta, ma anche più “libera”, nel senso di un’esposizione radicale al flusso del capitale.
La complessità degli ETF “smart” o “attivi” svela ulteriori sfumature: dietro la patina della replica si muovono strategie complesse, calcoli di rischio, interventi discrezionali che spostano la soggettività in modi sotterranei. È il passaggio dal fondo come semplice riflesso all’ETF come dispositivo di scommessa, dove il confine tra investimento e speculazione si fa labile. La tecnologia finanziaria, in questo senso, diventa tecnica di potere, che plasma la relazione tra soggetto e oggetto, tra diritto e mercato, tra trasparenza e segreto.
L’orizzonte normativo, infine, aggiunge un ulteriore livello di ambiguità: l’ETF vive in uno spazio di eccezione regolatoria, dove la norma può sospendere, monitorare, ma mai cancellare il dispositivo. Questa sospensione permanente è la forma più moderna del potere sovrano: non un dominio visibile e statico, ma un controllo fluido e condizionato, una sorveglianza che si esercita nel movimento stesso del mercato. L’ETF è così, più di ogni altro prodotto finanziario, un nodo in cui si incrociano diritto, potere e tecnica — un dispositivo vivo che non smette mai di negoziare la propria esistenza.
La questione non è scegliere il miglior ETF o il prodotto più redditizio, ma costruire un pensiero critico che abiti il dispositivo, che ne riconosca le zone d’ombra e le tensioni interne, che sappia leggere oltre la superficie della trasparenza apparente. Solo così si può sperare di trasformare questa forma di vita finanziaria in un luogo di consapevolezza e di potenza reale, e non in una mera riproduzione di forme di dominio.
Se il mercato è un teatro in cui si rappresenta la dialettica tra potere e impotenza, l’ETF è uno dei suoi più sofisticati dispositivi scenici, una scena dove si giocano le ambivalenze della modernità finanziaria, tra visibilità e opacità, autonomia e soggezione, controllo e imprevedibilità. Abitarlo con consapevolezza significa, dunque, imparare a muoversi nel confine sottile tra ciò che è dato e ciò che è possibile, tra ciò che si crede di dominare e ciò che invece ci domina — e in questo doppio movimento riconoscere la verità del dispositivo, la sua complessità e la sua potenza inquietante.