
Fine dell’Equilibrio e l’Inizio del Disordine
Scritto da Ottavia Scorpati il . Pubblicato in Attualità.
L’anno della rivelazione, il mondo vecchio è crollato, ma quello nuovo non è ancora natoIl 2024 è stato l’anno in cui l’illusione della stabilità globale si è infranta definitivamente, ha rappresentato una frattura epocale nella traiettoria dell’economia globale e nelle geometrie politiche internazionali. Un anno in cui si è manifestata la convergenza di forze centrifughe che hanno accelerato il disfacimento dell’ordine multilaterale postbellico, evidenziando la fragilità dei legami commerciali e diplomatici costruiti nel secondo dopoguerra. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha subito una nuova escalation che ha messo in crisi l’architettura del commercio internazionale, minacciando le fondamenta stesse della globalizzazione. Le politiche tariffarie aggressive imposte dall’amministrazione statunitense, tornata a un protezionismo muscolare, hanno alimentato un clima di sfiducia sistemica, innescando una spirale di ritorsioni che hanno colpito duramente l’interconnessione economica planetaria. Le economie più esposte alle catene globali del valore hanno iniziato a subire contraccolpi gravi, tra cui l’Europa, il cui tessuto industriale è stato messo sotto pressione non solo da costi energetici fuori controllo, ma anche dalla crescente incertezza politica interna e dalla frammentazione decisionale a livello comunitario.
Nel mezzo di questa tempesta geopolitica, ha preso forma l’“Axis of Upheaval”, una coalizione informale e asimmetrica che ha messo in discussione il primato occidentale e le sue istituzioni regolative. Russia, Cina, Iran e Corea del Nord hanno stretto un patto di fatto, fatto di cooperazione militare, sinergie tecnologiche e convergenze strategiche nei teatri di crisi. Non un’alleanza nel senso classico, ma un fronte fluido di resistenza contro l’ordine globale imposto da Washington e Bruxelles. In questa cornice, il 2024 ha anche visto un profondo ridisegno delle geografie produttive e dei flussi di capitali: la regionalizzazione ha preso il sopravvento sulla globalizzazione, mentre i concetti di “decoupling” e “nearshoring” sono diventati parole chiave nelle strategie industriali. L’India, da parte sua, ha mantenuto una posizione oscillante, alimentando relazioni strategiche con il blocco occidentale ma senza rinunciare a rapporti privilegiati con la Russia e una cooperazione pragmatica con la Cina. Il vertice del G20 a Rio de Janeiro ha tentato di dare una risposta collettiva a queste trasformazioni, ma si è scontrato con divergenze profonde tra Nord e Sud del mondo, incapace di produrre una sintesi efficace.
La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto un punto di rottura. Le tariffe introdotte a partire dal 2023 sono aumentate progressivamente, toccando settori chiave come semiconduttori, tecnologie verdi e metalli rari. L’approccio dell’amministrazione statunitense ha abbandonato qualsiasi ambizione cooperativa, adottando una logica di contenimento sistematico del rivale asiatico. Le accuse di dumping, violazioni della proprietà intellettuale e manipolazione monetaria sono diventate strumenti ricorrenti nel discorso politico americano. La Cina ha risposto con misure di controboicottaggio, investendo massicciamente in innovazione domestica e intensificando i propri legami commerciali con i paesi del Sud Globale, promuovendo un’idea di “via cinese alla globalizzazione” basata sulla Belt and Road Initiative e sulla costruzione di un’economia internazionale meno dipendente dal dollaro.
Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno espresso crescente preoccupazione per l’indebolimento del sistema multilaterale. La Bank of England ha definito l’intero impianto post-Bretton Woods “gravemente minacciato” dalle dinamiche unilaterali statunitensi. Le proiezioni dell’OCSE hanno registrato un rallentamento significativo della crescita globale, con previsioni al ribasso per il biennio successivo. Le imprese multinazionali hanno visto evaporare in pochi mesi anni di investimenti nelle filiere transcontinentali, mentre le PMI sono state travolte dai costi crescenti delle materie prime e della logistica. Il commercio internazionale ha subito un contraccolpo psicologico prima ancora che reale, con una diffusa ritrazione dagli scambi e un’ondata di protezionismo che ha coinvolto anche attori finora marginali.
L’Europa è diventata uno degli epicentri di questa instabilità globale. La crisi energetica che ha investito il continente ha assunto tratti strutturali. L’interruzione delle forniture di gas russo – un’azione politica e strategica orchestrata da Mosca come risposta alle sanzioni – ha messo in ginocchio le economie più industrializzate. La Germania ha visto esplodere i prezzi dell’elettricità e del gas, mettendo a repentaglio settori come la chimica e la siderurgia. Il ritorno a fonti fossili per compensare l’abbandono del nucleare ha scatenato reazioni politiche e sociali, con un’impennata dei movimenti ecologisti ma anche il rafforzamento di partiti sovranisti. La Francia, già attraversata da proteste strutturali e da un’incapacità cronica di riformare il proprio sistema sociale, ha assistito alla caduta del governo, con elezioni anticipate che hanno ulteriormente alimentato l’incertezza.
La debolezza dell’Unione Europea si è resa manifesta nella difficoltà di trovare una linea comune in materia di difesa, energia e politica estera. Le divergenze tra Est e Ovest, tra Paesi fondatori e nuove adesioni, hanno paralizzato il processo decisionale. Le richieste di una nuova governance energetica, basata su un mix diversificato e su accordi di lungo periodo con partner alternativi, si sono scontrate con le resistenze nazionali. Le divisioni interne hanno fatto sì che l’Europa non fosse in grado di giocare un ruolo autonomo nelle crisi internazionali, finendo per reagire più che agire.
Nel frattempo, l’“Axis of Upheaval” ha guadagnato slancio. Russia, Cina, Iran e Corea del Nord hanno intensificato le esercitazioni militari congiunte nel Mar del Giappone, nel Golfo Persico e in Africa Orientale, sfidando direttamente la presenza militare americana. Le cooperazioni si sono estese anche al campo tecnologico: Pechino ha fornito a Teheran e a Mosca infrastrutture digitali per aggirare le sanzioni, mentre Pyongyang ha collaborato nella condivisione di tecnologia missilistica. In Africa, la presenza russa si è consolidata grazie a gruppi paramilitari e al sostegno a regimi autoritari, mentre la Cina ha continuato a finanziare infrastrutture in cambio di accesso a risorse strategiche. L’Iran, uscito parzialmente dall’isolamento, ha accresciuto la propria influenza in Iraq, Siria e Yemen, offrendo sostegno diretto ai movimenti sciiti in tutto il Medio Oriente.
Questo blocco informale ha posto una sfida diretta all’egemonia occidentale, non solo sul piano militare, ma anche valoriale. I leader dell’“Axis” hanno denunciato l’ipocrisia dei diritti umani usati come strumento geopolitico, rivendicando una visione alternativa dell’ordine mondiale basata su sovranità, multipolarismo e “non interferenza”. Il soft power occidentale ha subito una battuta d’arresto nei paesi emergenti, dove cresce la domanda di modelli alternativi allo sviluppo neoliberista.
A livello economico, il 2024 ha sancito l’ingresso pieno nell’era della regionalizzazione. Le grandi aziende hanno iniziato a dislocare la produzione in paesi più vicini ai mercati di consumo: il Messico ha vissuto un boom di investimenti statunitensi, mentre l’Europa ha guardato con crescente interesse ai Balcani e al Nord Africa. Il reshoring e il nearshoring non sono stati però fenomeni puramente economici: sono stati espressione di una nuova logica di sicurezza economica e resilienza strategica. Negli Stati Uniti, il Chips and Science Act ha generato una corsa alla produzione domestica di semiconduttori, mentre l’Inflation Reduction Act ha rilanciato la manifattura verde come asse centrale della nuova industrial policy americana.
In Asia, la Cina ha cercato di mantenere il proprio ruolo pivotale nella regione. Sebbene pressata dalle tensioni con gli Stati Uniti, ha rafforzato le relazioni commerciali con paesi come Vietnam, Thailandia, Malesia e Indonesia. Il Vietnam in particolare si è affermato come nuovo hub manifatturiero, benefici
ando sia del dislocamento di aziende cinesi, sia degli incentivi americani per la diversificazione. Si è delineata una nuova “fabbrica dell’Asia”, più diffusa, meno dipendente da un singolo polo, ma sempre con Pechino come nodo indispensabile per i componenti ad alta tecnologia.
L’India ha continuato a muoversi su un crinale delicato. Partner strategico degli Stati Uniti all’interno del Quad, ha partecipato a esercitazioni navali nel Pacifico e firmato accordi tecnologici nel settore aerospaziale. Tuttavia, il legame storico con la Russia ha continuato a influenzare la politica estera di Nuova Delhi, che ha mantenuto aperti i canali commerciali con Mosca, soprattutto per l’importazione di energia e armamenti. Il governo Modi ha adottato una postura pragmatica: apertura selettiva agli investimenti occidentali, difesa della propria autonomia strategica, e al tempo stesso cauta cooperazione con la Cina in iniziative multilaterali asiatiche. Questa doppia appartenenza ha reso l’India una pedina fondamentale nello scacchiere globale, corteggiata da entrambe le sfere di influenza.
Il vertice del G20 di Rio de Janeiro, tenutosi nel novembre 2024, ha provato a costruire un terreno di dialogo. La presidenza brasiliana, guidata da Luiz Inácio Lula da Silva, ha posto al centro dell’agenda temi strutturali come la giustizia climatica, la riforma del FMI e il finanziamento dello sviluppo sostenibile. Il trattato “Global Alliance Against Hunger and Poverty” ha rappresentato un tentativo concreto di costruire un’alleanza planetaria per contrastare la disuguaglianza, ma le tensioni tra le grandi potenze hanno impedito la sua piena adozione. L’assenza di una visione condivisa sul futuro delle istituzioni globali ha evidenziato un mondo in piena transizione, dove le regole del passato non sono più sufficienti, ma quelle del futuro non sono ancora scritte.
L’incapacità di raggiungere un consenso su temi fondamentali – dai dazi alle criptovalute, dalla governance climatica all’intelligenza artificiale – ha trasformato il vertice in un simbolo delle contraddizioni dell’epoca attuale. Le divisioni tra paesi sviluppati e in via di sviluppo sono emerse con forza, così come quelle tra democrazie liberali e autocrazie illiberali. Il G20 non è riuscito a offrire risposte all’altezza delle sfide: ha mostrato, piuttosto, la fine di un ciclo storico.
da Ottavia Scorpati analista